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Davide Susanetti, conferenza a Palazzo Trentini – Di D. Larentis

Il professore di Letteratura greca ha parlato di «Ulisse tra le ombre: perdersi per ritrovarsi», evento collegato alla VII Biennale Fida Trento e Bolzano – L’intervista

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Davide Susanetti, professore di Letteratura greca presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell'Università di Padova, lo scorso 13 dicembre in occasione della conferenza intitolata «Ulisse tra le ombre: perdersi per ritrovarsi», tenutasi a Trento nella suggestiva ambientazione della Sala Aurora di Palazzo Trentini, ha incantato il folto pubblico presente.
Tema affrontato: la dimensione del viaggio, prendendo spunto da quello intrapreso dall’eroe greco nell’Ade.
Due sono i poemi omerici di straordinaria potenza, l’Iliade e l’Odissea.
L’Odissea narra le vicende di Odisseo, Ulisse, dopo la fine della Guerra di Troia, narrata nell’Iliade.
 
L’incontro, presentato da Fiorenzo Degasperi, è collegato alla VII Biennale Fida Trento e Bolzano dallo stimolante titolo Logos Manìa | Logo Smània, in corso dal 6 dicembre in via Manci, visitabile nella sede del Consiglio provinciale fino al 7 gennaio 2023.
Un’importante mostra, elogio della molteplicità dei linguaggi espressivi, che vede protagonisti una trentina di artisti operanti nella provincia di Trento e Bolzano, pensata e organizzata, come gli eventi ad essa collegati, dalla presidente dell’associazione Barbara Cappello.
 
Il viaggio di Ulisse nell’Ade è un’esperienza di trasformazione, di morte e rinascita.
L’eroe è lontano ormai da 12 anni da casa, vuole ritornare a Itaca, quel luogo in cui è racchiusa la sua storia. Ha combattuto con i Troiani e ha trascorso un anno dalla maga Circe, una delle figlie del dio del sole.
Lei lo lascia partire ma gli lancia un avvertimento: non dovrà andare verso la luce, verso Oriente, ma dovrà indirizzare la prua della sua nave verso l’assoluta oscurità dell’Occidente, verso il rischio assoluto.
 
Per poter proseguire il suo viaggio egli deve infatti chiedere consiglio a Tiresia, l’indovino cieco che si trova nell’Ade.
Là Ulisse incontra molti personaggi della mitologia classica; l’incontro più toccante è quello con la madre Anticlea, della cui morte non era a conoscenza. Tiresia gli svela che lui e i suoi uomini potranno sfuggire all’ira del dio solo se seguiranno istruzioni precise.
Un viaggio, quello dell’eroe che scende nell’oltretomba alla ricerca del proprio destino, metafora del viaggio dell’uomo.
 
Alcune brevi note biografiche prima di passare all’intervista.
Professore di Letteratura greca all’Università di Padova, Davide Susanetti si occupa di teatro antico, di filosofia greca e di tradizioni esoteriche.
Davvero lungo l’elenco delle sue pubblicazioni. Fra i volumi pubblicati da Carrocci Editore, ricordiamo: «Catastrofi politiche. Sofocle e la tragedia di vivere insieme»; «Sofocle. Antigone»; «Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni»; «Atene post-occidentale. Spettri antichi per la democrazia contemporanea»; «Favole antiche. Mito greco e tradizione letteraria europea»; «Euripide. Fra tragedia, mito e filosofia»; «La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione»; «Il simbolo dell’anima. La ricerca di sé e le vie della tradizione platonica»; «Il talismano di Fedro».
Abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.
 

Foto della conferenza.
 
Su quale aspetto ha voluto focalizzare maggiormente l’attenzione nella conferenza di Palazzo Trentini?
«Ho cercato di mettere in luce un aspetto interessante parlando del viaggio di Ulisse nell’Ade: c’è una cosa che temiamo, e della quale non si dovrebbe però avere paura, che ha a che vedere con l’orientarsi dopo essersi disorientati.
Per trovare la strada bisogna anche saperla perdere, il che significa fare un giro più lungo, un giro non ovvio e controintuitivo. La dimensione dell’intento è importante, un conto è subire una perdita o essere disorientati dagli altri o da eventi inconsulti, un conto è consapevolmente avere l’intenzione di non scegliere le cose più ovvie, di non identificare l’orientarsi con la prima cosa che ci viene in mente.
«È dunque un disorientamento da intendersi come ricerca.»
 
Il viaggio di Ulisse può essere letto come metafora del viaggio dell’uomo. Che cosa simboleggia, in breve?
«È un viaggio in cui c’è la nostalgia del passato e c’è il desiderio di ritornare in un punto da cui se era partiti.
«Però, nel momento in cui si ha nostalgia del passato e si vuole ritornare, attraverso il labirinto marino delle avventure, forse in realtà si approda ad un’Itaca che non era mai esistita, vista e percepita prima di aver attraversato effettivamente il labirinto.
«Noi siamo abitati da una nostalgia, da un desiderio di tornare a un qualche cosa che è familiare, ma che cosa sia questo luogo del ritorno non lo sappiamo, lo possiamo cogliere solo dopo aver compiuto il viaggio, scoprendo che non corrisponde esattamente a ciò che immaginavamo prima di intraprenderlo.»
 
Secondo l’antica tradizione orfica l’anima non è che il divino presente nell’uomo. Può condividere un pensiero a riguardo?
«Mi viene in mente il testo inciso sulla sottilissima lamina d’oro ritrovata nel territorio dell’antica Magna Grecia, in una tomba di un iniziato alla religiosità orfica.
«L’anima del defunto che scende nell’aldilà si presenta al cospetto degli dei dicendo io sono il figlio della greve terra e del cielo stellato.
«Non si presenta nominando il proprio nome, non fa riferimento all’identità corrente, che è pure è preziosa, dice un’altra cosa. Dice che è figlio del cielo e della terra.
«Questa, secondo me, è una dimensione orfica che ancora una volta è una dimensione della relazione. Noi siamo qualcosa che, certo, abita un qui ed ora che corrisponde a un nome e a un’identità personale e familiare, ma contemporaneamente l’anima orfica è quella che sa di essere anche qualcosa d’altro, tra cielo e terra.»
 
Uno dei suoi più recenti libri è intitolato «Il talismano di Fedro. Desiderare, vedere, essere». Che tema affronta e come è strutturato?
«È un tentativo di riattraversare uno dei Dialoghi più belli di Platone, il Fedro, proprio per porre la dimensione del rapporto fra il desiderio e l’immagine e di come questo rapporto possa, secondo delle discipline e delle pratiche antiche, essere la possibilità di un dischiudersi a una identità più profonda di noi stessi.
«Cioè, nella relazione d’amore, nel momento in cui l’anima si infiamma nell’innamoramento dell’altro o dell’altra, in realtà incontra un’immagine, un’immagine in cui contemporaneamente comincia a vedere emergere in modo più nitido il profilo della propria identità profonda.
«Il profilo della propria identità profonda è un profilo divino; è un gioco a tre, sostanzialmente, in cui c’è un amante, un amato o un’amata, un’immagine che si lega tra i due ma che si unisce in un vertice che è una dimensione legata al sacro e al divino.
«Il libro è strutturato in tre parti: la parte più ampia si collega al Fedro di Platone, la seconda alla Persia dei sufi, la terza a Thomas Mann e al suo celebre racconto La morte a Venezia, dove c’è l’esperienza di un soggetto moderno, tutto cerebrale, che conosce il mondo antico, ma solo come l’oggetto da museo, come l’oggetto storico, culturale, e che incontra sulla sua strada, che ancora una volta è un viaggio, delle figure, dei segni mandati dagli dei che non sa riconoscere.»
 
Progetti editoriali futuri?
«A marzo uscirà per Carocci un libro dal titolo L’altrove della tragedia greca.
«Mi sono chiesto, partendo da una bella scena del Faust di Goethe: la tragedia greca oggi ha un effetto, funziona ancora? E se sì, in che modo?»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it


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