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Recuperata la «Camera del Camin Nero» nel Magno Palazzo

Altro tassello storico del Castello del Buonconsiglio restituito al mondo

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La Camera del Camin Nero deve il suo nome a un grande caminetto, che un tempo accendeva di riflessi l'oro utilizzato nelle decorazioni.
Sala, caminetto e decorazioni erano state fatte costruire dal più famoso principe vescovo trentino, Bernardo de Cles nel 1532.

Bernardo Clesio aveva fatto l'università a Bologna insieme con i Medici che poi sarebbero divenuti Papa Leone X e Clemente VII. Grazie ai ricchi emolumenti ricevuti dal Soglio Pontificio per i suoi servigi, Bernardo costruì il castello del Buonconsiglio.

La parte padronale è quella sita al primo piano ed è quella che comprende anche la sala del Camin Nero, chiamata così perché il caminetto era fatto con marmo nero.
Le decorazioni del soffitto erano fatte con moltissimi particolari in oro purissimo e le fiamme del camino si riflettevano generando effetti suggestivi.
Per questo divenne il salotto dove si svolgevano gli incontri confidenziali.

Nella seconda metà dell'800 il caminetto venne distrutto, pare, dalla guarnigione militare austroungarica, che vi acquartierò le truppe. Cerchiamo di non inorridire pensando che era divenuta una caserma vera e propria.

Nel 1927 fu deciso di ricostruire il camino che un tempo ospitava. Giuseppe Gerola lo tracciò, disegnandolo sull'intonaco aiutandosi con delle incisioni.

Le volte del soffitto non vennero distrutte, ma i materiali usati per le decorazioni erano di natura organica e non ressero nel tempo.
Naturalmente vennero più volte restaurati da qualcuno che aveva a cuore l'arte, ma non le necessarie competenze.
Solo oggi il lavoro è stato fatto come si deve.

Insomma, possiamo dire che solo la disponibilità della provincia autonoma di Trento ha concesso il recupero tecnicamente corretto e artisticamente ineccepibile, anche se non potremo mai vedere l'effetto dell'oro che riflette le fiamme del camin nero.

Questa mattina la presentazione, con Franco Panizza, assessore provinciale alla cultura, Laura Dal Prà, dirigente della Soprintendenza, Franco Marzatico, direttore del Castello del Buonconsiglio e Claudio Strocchi direttore dei lavori, il quale ha raccontato la storia così come abbiamo provato noi a riassumerla in queste righe.

«Oggi possiamo ammirare il risultato di un articolato intervento di restauro, che ci conferma la qualità dei nostri restauratori e del progetto complessivo - ha commentato l'assessore provinciale Franco Panizza. - Il castello del Buonconsiglio è uno dei nostri gioielli più importanti e rappresenta una parte importante nella storia europea, per questo l'attenzione della Provincia autonoma di Trento a questo patrimonio è massima.»

A sua volta la soprintendente Laura Dal Prà ha messo l'accento sulle maestranze impegnate nel complesso restauro.
«Quella che inauguriamo oggi è un'opera corale, frutto del lavoro di molte professionalità, che valorizza il già grande patrimonio culturale della nostra provincia, la ricchezza artistica del Trentino del '500 dovuta al mecenatismo illuminato del principe vescovo Bernardo Clesio.
«Siamo inoltre contenti - ha proseguito la Dalprà - che in questo intervento ci siamo potuti avvalere di restauratori trentini, che si sono formati in zona proprio attraverso la campagna di restauri che da alcuni anni la Soprintendenza promuove.»

Interventi, come espresso dal direttore Marzatico, spesso incentrati proprio sul Castello del Buonconsiglio e su altre dimore importanti come Castel Thun.
In chiusura Claudio Strocchi ha ripercorso i lavori di restauro, che hanno ridato luce agli affreschi dei fratelli Dossi.

Il Castello del Buonconsiglio è il vero gioiello monumentale della città di Trento ed è stato sottoposto nel corso degli ultimi anni a importanti restauri che hanno riguardato in particolare i cicli affrescati e gli apparati stucchivi.
Merita forse leggere alcune parole di Claudio Strocchi sul recupero di questo splendido recupero.

Gli interventi si sono concentrati soprattutto negli ambienti rinascimentali di quella parte del castello costruita per il Principe Vescovo Bernardo Clesio fra il 1527 ed il 1536 e conosciuta con il nome di Magno Palazzo.
Alla sua decorazione hanno lavorato artisti di grande talento come il pittore bresciano Gerolamo Romanino, i fratelli Dosso e Battista Dossi, celebri artisti della corte estense di Ferrara e il veneto Marcello Fogolino.

La «Camera del Camin Nero» (o «chamara di stucchi), ubicata al primo piano del Magno Palazzo, è contraddistinta da una rigorosa partitura architettonica realizzata in stucco da maestranze mantovane, che ricorsero all'impiego di motivi fitomorfi e antropomorfi (vegetali e umani) ed elementi delle imprese clesiane e cornici di ispirazione classica creando un sistema ornamentale unitario all'antica.

Nel 1532, come si legge in una delle lunette dipinte a monocromo, al termine della messa in opera delle decorazioni plastiche, i fratelli Dosso e Battista Dossi maestri frescanti eseguirono nelle superfici risparmiate del soffitto molteplici raffigurazioni di carattere profano.
In tal modo iI complesso della decorazione a stucco ideato per creare un effetto bidimensionale fu sovvertito dai dipinti situati sia nei quattro pennacchi angolari occupati da figure sedute viste da sotto in su, sia nei due campi rettangolari pensati come quadri riportati.

I temi raffigurati ad affresco dai Dossi sono le Virtù cardinali (Giustizia, Fortezza, Prudenza e Temperanza), le armi gentilizie dell'imperatore Carlo V e del pontefice Clemente VII, episodi mitologici relativi alla Virtù (entrambi a monocromo), e al centro del soffitto un ardito sfondato di forma circolare con giocosi putti, riecheggiante il celebre prototipo mantovano della Camera degli Sposi di Andrea Mantegna.

Li vediamo nella foto in basso.

Nelle lunette lungo le pareti, delimitate inferiormente da un fastoso cornicione in stucco parzialmente dorato e ravvivato da iscrizioni esplicative in caratteri capitali ed anch'esse dorate su fondo blu, sono dipinte le sette Arti liberali con i rispettivi dotti dell'antichità più rappresentativi, immaginati entro studioli ricolmi di libri e strumenti: Apollodoro e la Grammatica, Gorgia e la Retorica, Crisippo e la Dialettica, Pitagora e l'Aritmetica, Archimede e la Geometria, Beroso e l'Astrologia, Pandemphion e la Musica.

Nei quattordici pennacchi delle vele, entro clipei sorretti da aquile realizzati in stucco, sono dipinti (sempre a monocromo) le teste di profilo degli imperatori romani.
Naiadi, tritoni, centauri, putti, animali fantastici e una fantasiosa varietà di tralci e foglie costituiscono il repertorio figurativo dei ricchi stucchi parzialmente dorati che movimentano e impreziosiscono la totalità delle superfici non affrescate.


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