Mostra collettiva alla Galleria d'Arte Boccanera Contemporanea
«Affinità Elettive» a Trento dall'8 aprile: Abbiati / Penone, Cetera / Viola, Miorandi / Isgrò, Monzo / Boetti
Dall'8 aprile all'8 giugno, a Trento
(in via Milano 128/130), la Galleria Arte Boccanera Contemporanea
di Giorgia Lucchi ospiterà la mostra collettiva intitolata
«Affinità Elettive. |
«Ormai è tutto un labirintico ritornare e riandare e riprendere,
riprodurre, far trasparire».
Così si esprime in un'intervista Giulio Paolini. Ed è un dato di
fatto: siamo «uomini postumi», che non cercano più prove
sperimentali, grandi visioni metafisiche, progetti radicali.
La stessa idea di storia ha smesso di essere unitaria, perché si è
spezzata la logica di uno sviluppo lineare, in favore di una
composizione di eventi eterogenei.
E l'arte, in quanto espressione del suo tempo, ha abbandonato ogni
culto del nuovo, ogni tensione progressiva, per mettere assieme
pezzi di mondo, orizzonti occasionali, rivisitazioni della
storia.
Essa non pratica più un pensiero sistematico, ma un pensiero
«accumulativo, modulare, combinatorio». Soprattutto non guarda al
futuro, ma al passato, cercando in esso «una sorgente di immagini»,
a cui attingere a piene mani.
Senza però, per questo, rifarsi alle vestigia della storia per
riciclarle, restaurarle, aggiornarle (come aveva fatto, ad esempio,
la Pittura Colta): ritorna su determinate immagini, come se queste
avessero ancora una vita addormentata nella loro forma o avessero
ancora qualcosa da esprimere.
L'esposizione «Affinità Elettive», mettendo a confronto quattro
giovani emergenti (Elena Monzo, Pierluca Cetera, Valentina
Miorandi, Stefano Abbiati) con quattro maestri storici (Alighiero
Boetti, Bill Viola, Emilio Isgrò, Giuseppe Penone) intende
evidenziare la migrazione di motivi, di ipotesi, di composizioni
tra l'ieri e l'oggi, tra energie antiche e nuovi quesiti.
L'intenzione non è però quella di indagare il «ritorno del sepolto»
e forse neppure quella di mettere in risalto come, dalle
comparazioni, emergano segrete e mai sospettate influenze
linguistiche.
Sarebbe come ammettere che i «precursori» ci inondano e che le
nostre immagini possono annegare in loro.
L'intendimento di questa mostra è si quello di collegare tracce,
far intuire parentele, ma soprattutto svelare l'inconscio delle
immagini.
Già Beaudelaire, del resto, più di un secolo e mezzo fa, parlava di
lunghi echi che si confondono in una «unità tenebrosa e profonda,
vasta come la notte e il chiarore»: ecco, anche qui, aldilà di
confluenze e parallelismi, si vuole analizzare la zona limite,
inafferrabile, imprecisata e misteriosa, molto interna e nascosta
tra opera e opera.
Non quindi uno sguardo diretto, imperioso, ostinato,
monodirezionale, ma uno sguardo che deborda, che intreccia
relazioni, che trasforma conoscenze, che ridefinisce l'ordine delle
cose, dei luoghi, dei tempi.
Un'avventura intellettuale aperta, in cui si palesa tutto il
bisogno dell'attualità di riappropriarsi delle proprie radici ma,
nel contempo, tutta la possibilità di osservare le immagini del
passato nelle fibre più celate o dalle angolature più inedite.
È come se ricordo e contemporaneità si intrecciassero, per far
sorgere imprevisti e sorprendenti significati.
Così le «cancellature» di Isgrò con i loro inabissamenti visivi si
relazionano con «L'Inno d'Italia» di Miorandi ridotto a pochi,
emblematici passaggi e quel bisogno di «mettere al mondo il mondo»
di Boetti diventa nella figurazione della Monzo una connessione
scintillante e insieme inquieta di corpi.
Mentre l'azione di Penone che lascia sulle cose l'impronta della
propria identità si rovescia in Abbiati in un'ombra che sembra
essudare dal fondo delle sue tavole e le immagini di Viola che si
muovono impercettibilmente sullo schermo si trasformano in Cetera
in una pittura retroilluminata che sembra paradossalmente prendere
vita davanti ai nostri occhi.
Dunque «Affinità Elettive», intese come «focolai di contatto», come
«flussi di risonanza», dove i motivi si influenzano,
interferiscono, creano un mosaico del visibile capace di suscitare
nuove visioni.
Soprattutto dove tutti i tempi «danzano insieme, come si addice ad
un'epoca post-storica» come la nostra.
Luigi Meneghelli
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