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«Dove la parola non arriva. Evasioni di un ergastolano»

La mostra di Mario Trudu allestita dal primo giugno all’8 luglio a palazzo Libera

La mostra di Mario Trudu «Dove la parola non arriva. Evasioni di un ergastolano», allestita dal primo giugno all’8 luglio a palazzo Libera, apre importanti riflessioni.
È un’occasione per interrogarsi sulla vita da reclusi e sui meccanismi della giustizia in Italia.
Trudu è nato ad Arzana (Ogliastra) nel 1950, era un pastore. Nel 1979 fu arrestato con l’accusa di sequestro di persona a scopo di estorsione.
Condannato per un delitto del quale si è sempre dichiarato innocente, durante una breve latitanza è stato responsabile nel 1987 del sequestro dell’industriale Eugenio Gazzotti, poi morto in una tragica sparatoria, delitto che gli è costato l’ergastolo.
 
«L’arte di Mario Trudu che metaforicamente evade dalla prigione e la sua storia ci offrono l’opportunità di porre il tema della condizione carceraria in Italia - ha affermato l’assessore alla cultura Marco Vender in occasione dell’inaugurazione - del compito che la Costituzione assegna allo Stato di riabilitare chi, avendo sbagliato, giustamente paga un debito ma potendo conservare integra la propria dignità e soprattutto la speranza di tornare, da cittadino, nella società.»
Durante l’inaugurazione, è stata letta anche una lettera scritta dallo stesso Trudu, a cui è stato negato il permesso di partecipare all’evento.
Nel suo scritto, l’artista ergastolano si scusa coi presenti e ringrazia tutti; urla anche il suo dolore per una pena che non avrà mai fine e per una giustizia che per lui si è trasformata in ingiustizia.
La lettera è stata portata dalla giornalista, scrittrice, amica e curatrice dei libri di Mario, Francesca de Carolis.
 
La mostra è stata curata dall’Associazione Stefano Frapporti Cabana (www.circolocabana.it), di cui Trudu è socio, nata dopo la morte di Stefano (Cabana per gli amici), trovato impiccato nel carcere di Rovereto il 21 luglio 2009 in circostanze mai chiarite.
Scopo dell’associazione è organizzare iniziative per informare e sensibilizzare riguardo le problematiche carcerarie.
Come evento collaterale, venerdì 15 giugno alle 21 in Sala Nobile di Palazzo Libera sarà proiettato «Non è sogno (la vita)» https://www.comune.villalagarina.tn.it/events/event/non_aumlaut_sogno, progetto di film di Giovanni Cioni, nato dal Laboratorio Nuvole della casa circondariale di Capanne (PG) e promosso dall'Associazione Itinerari, con il sostegno del PerSo-Perugia Social Film Festival, della Fondazione Città del Sole, di Banca Etica e un crowdfunding tramite Produzioni dal Basso. Sarà presente il regista.
Mario Trudu è al trentottesimo anno di detenzione. Gli sono stati concessi solo due permessi, di 6 ore l’uno, di 8 l’altro, per partecipare alla presentazione di lavori realizzati mentre si trovava nel carcere di Spoleto, dove si è diplomato nell’Istituto d’Arte, ormai più di 10 anni fa.

 

Poi più nulla e solo lo scorso anno, dopo tanto che lo chiedeva, è stato trasferito in un carcere della sua terra, a Oristano, dove almeno può con una certa frequenza ricevere la visita dei familiari.
A raccontare la storia di Mario è Francesca de Carolis. «Trudu, per il meccanismo che nasce dalle norme emergenziali introdotte dopo le stragi di mafia degli anni ’90, è ostativo, che significa che il suo è un fine pena mai effettivo, che lo esclude dall’applicazione dei benefici di legge perché non è stato collaboratore di giustizia. Non è un pentito, si dice, confondendo quella che è una scelta processuale (diventare collaboratore di giustizia), con il percorso di un pentimento intimo, reale. Insomma, alla nostra giustizia non sembra importare quanto Mario Trudu sia stato recuperato, come pure prevede la Costituzione.
Di quanto grave sia stato il suo reato Mario è oggi assolutamente consapevole, anche se ci tiene a sottolineare che il suo comportamento, per quanto ora sappia sbagliato, sia stato reazione alla prima grande ingiustizia subita, la condanna per un sequestro cui non ha mai partecipato. Vive un durissimo, lunghissimo ergastolo, che non è riservato neppure chi ha avuto condanna per feroci stragi in Italia; subisce anche l’ingiustizia di norme che gli sono state applicate retroattivamente.»
 
«Mi sono chiesta, quando l’ho incontrato la prima volta, come si fa a sopravvivere a tanti anni di prigione. La risposta è nei suoi racconti, nei bellissimi disegni che li accompagnano. Corredo, come quelli esposti in mostra, della sua autobiografia e del libro Cent’anni di memoria, omaggio ai miei vecchi, che è il racconto della sua terra, del suo paese, negli anni che lo hanno visto bambino e poi adolescente. Disegni che, specie quando raccontano della sua terra, sembrano affiorare da un mondo arcaico, a volte onirici, dal tratto sottile, delicato e forte, inciso come sulla pietra. Perché, ho sempre pensato, se non avesse imparato a scrivere, è sulla pietra che Mario avrebbe inciso le sue narrazioni.
Ciò che ha tenuto in vita Mario Trudu è il ricordo degli anni del tempo libero, della sua terra, del suo paese, rimasti intatti in lui, e la sua capacità, come racconta, di vivere due vite: quella morta del tempo del carcere, e quella che immagina di rivivere nel mondo che ricorda, rivivendone, attimo per attimo, i colori, gli odori, le storie... una sorta, anche lui, di vagabondo delle stelle. Come sulle tracce di Jack London...»

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