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«I Nirvana e Nevermind» – Di Roberto Vivaldelli

I primi vent’anni di un capolavoro degli Anni Novanta

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24 settembre 1991: Nevermind arrivò nei negozi.  
Alla Geffen Records c’era grande attesa, 250.000 copie vendute necessarie a eguagliare Goo dei Sonic Youth.   
A grande sorpresa, in meno di tre mesi il disco arrivò in vetta alla classifica Billboard Americana, scalzando Dangerous di Micheal Jackson e vendendo venticinque milioni di copie in tutto il mondo.  
 
Un successo con pochi precedenti che lanciò il gruppo di Seattle nell’olimpo tra i grandi del rock e non solo.  
Il rock alternativo americano abbandonò la circoscritta cerchia di fan e fu ascoltato da tutti, ma proprio tutti.  
La miscela esplosiva messa a punto da Kurt Cobain, Krist Novoselic e dal nuovo batterista Dave Grohl, divenne epocale: dodici canzoni senza cadute di tono, la furia del punk e l’orecchiabilità del Pop, con le liriche del carismatico e tormentato leader che presto sarebbe diventato un mito – a suo discapito - della sua generazione e di quelle future.   
 
La sola Smells Like Teen Spirit – uno dei migliori incipit della storia – basterebbe a renderlo memorabile ma In Bloom, Come As You Are, Lithium non hanno bisogno di presentazioni.
Il tutto era sapientemente prodotto da Butch Vig e mixato dal mago Andy Wallace, colui anni dopo che fece un lavoro superlativo anche con Grace di Jeff Buckley.   
 
Suono potentissimo ma dal facile appeal che lo rese alla portata di tutti. Immortale.  
Le asprezze furono magistralmente smussate, senza privarne dello spirito originario e conservandone la purezza stilistica. Tra i principali ispiratori vi erano i Beatles e i Pixies.  
Un disco invecchiato benissimo, merito di melodie senza tempo. Un mix di nichilismo Punk epidermico e intimismo Folk-pop. Crisi isteriche, malinconia, e tenerezza. Si chiude con il grande pathos di Something in The Way oscura ballata da bassifondi urbani. 
 
Nevermind scardinò le regole discografiche dell’epoca e sdoganò una serie di gruppi – molti già attivi prima dei Nirvana stessi – portandoli al successo.  
Soundgarden, Alice in Chains, Screaming Strees, Stone Temple Pilots e soprattutto Pearl Jam (tanto per citare i più famosi), dominarono il mercato discografico per almeno tre o quattro anni da lì in poi.  
A sorprendere però fu proprio il fermento creativo della cosiddetta scena Grunge di Seattle di quegli anni. Gli stucchevoli edonisti del Glam rock che, invece, avevano dominato fino alla fine degli Anni ’80 – ricordiamo Motley Crue, Poison, Bon Jovi – in cui si cantava di donne, party, sniffate e poco altro, avevano lasciato spazio a liriche di autentica disperazione e profondo disagio.  
 
Il benessere reaganiano era un’illusione e un’altra sconfitta del sogno americano, e i gruppi di Seattle seppero essere attuali, interpretando il nuovo sentimento comune.  
Kurt Cobain dovette fare i conti con un successo enorme e una fama incredibile. Nevermind portò i Nirvana a essere la band americana più celebre degli anni novanta, ad emergere dal rock alternativo.  
Un po’ come successe negli anni’ottanta ai R.E.M di Micheal Stipe. 
 
La fragile personalità di Cobain non resse e non fu mai in grado di godersi la sua posizione di rockstar e, complice anche l’aggravarsi della sua tossicodipendenza, sprofondò verso il baratro.  
Da questo sentito malessere, due anni più tardi, nacque però un altro capolavoro, stavolta prodotto da Steve Albini ma con pezzi cruenti, rumorosi e nevrotici che riportarono i tre di Seattle alle sonorità dell’esordio Bleach del 1989.
 
«La rabbia giovanile ha pagato bene ora sono annoiato e vecchio» – canta in Serve the Servant. Quasi un testamento, un preludio di quello che sarebbe successo da lì a poco.  
Ci fu ancora spazio per un live, quell’Unplugged per Mtv che spogliò le canzoni dal marasma elettrico e rumorista tipico del loro sound.  
Con il cuore in gola si arriva all’apice drammatico di Where Did You Sleep Last Night. Dopodiché calò il sipario.  
Per Sempre. Kurt Cobain andò in overdose il 2 marzo 1994 a Roma. Dopo alcuni giorni di come farmacologico si riprese e promise alla moglie Courtney Love – cantante delle Hole – di disintossicarsi.  
 
Purtroppo il tentativo fu vano e l’8 aprile 1994 il suo corpo senza vita fu trovato nella sua casa sul Lago Washington: Vicino a lui un fucile a pompa e una lettera d’addio. 
«È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente», scrisse citando Hey hey, My My di Neil Young. 
 
Morì in solitudine  almeno quattro o cinque giorni prima. 
Il mondo della musica perse nel modo peggiore un’altra stella. Un talento innato che non riuscì mai a trovare un suo equilibrio, tra eccessi e depressione.
Dopo il dolore e il cordoglio, Dave Grohl intraprese la carriera di cantante con i Foo Fighters, mentre Krist Novoselic si ritirò dalle scene musicali per candidarsi con il Partito Democratico. 
 
A noi tutti invece l’eredità dei Nirvana e in particolare di quel Nevermind ancora oggi fondamentale e attuale. Per festeggiare l’anniversario dei vent’anni dalla prima uscita, è arrivato nei negozi un gustoso cofanetto di cinque dischi con rarità, canzoni inedite e live.
 
r.vivaldelli@ladigetto.it

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