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«Patria», rilettura di Roberto Zappalà sul concetto di appartenenza

InDanza lo porta in scena martedì 25 gennaio al Teatro SanbàPolis di Trento e giovedì 27 gennaio all'Auditorium Melotti di Rovereto

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Dopo aver preso il via lo scorso 19 gennaio da Bolzano nel segno del Balletto di Roma, la Stagione di inDanza.22 (rassegna del Centro Servizi Culturali S. Chiara affidata alla direzione artistica di Renato Zanella) prosegue portando in Trentino un’altra eccellenza del panorama coreutico italiano: la Compagnia Zappalà Danza.
La compagnia fondata nel 1989 a Catania dal coreografo di fama internazionale Roberto Zappalà sarà protagonista con un doppio appuntamento che nel giro di pochi giorni farà tappa prima a Trento (martedì 25 gennaio, Teatro SanbàPolis) e successivamente a Rovereto (giovedì 27 gennaio, Auditorium Fausto Melotti).
In scena ci sarà «Patria - un bisogno che si sposta», una creazione nata da un’idea di Nello Calabrò e dello stesso Zappalà (che ne ha firmato anche le coreografie), tratta dal repertorio della Compagnia Zappalà Danza.
 
Patria rappresenta il terzo step del progetto «Sudvirus» relativo all’appartenenza, ed è il prologo del successivo progetto del coreografo «Transiti Humanitatis».
Una produzione Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza-Centro di Produzione della Danza, in collaborazione con Fondazione Nazionale della Danza (Reggio Emilia).
Concepito inizialmente nel 2013 come «Anticorpi», dal 2017 lo spettacolo ha cambiato titolo in «Patria».
Quattro anni necessari a Zappalà per operare una rilettura interna della sua creazione, incentrata ora sul concetto di patria alla luce della situazione attuale dove «globalizzazione e immigrazione fanno emergere tutta la fragilità delle democrazie e dei valori liberali, mentre spinte populistiche ne destabilizzano i fondamenti politici e sociali».
 
Partendo dalle situazioni scenico-coreografiche già presenti, Zappalà ha messo in scena una partitura convulsa e minuziosa, in cui i danzatori replicano e ritrasmettono sul palco l’apparente caoticità di virus microscopici.
Un caos organizzato in cui i danzatori si disperdono e si allontano da un centro vorticoso per poi ritornarvi alla ricerca di un approdo che non è soltanto quello interno al palcoscenico, ma anche il soli di un diritto ingiustamente negato.
A fare da sfondo, un preludio di Bach e uno scioglilingua siciliano ripetuto come un mantra si insinuano nel tessuto percussivo/ossessivo della musica elettronica per indicare nuovi percorsi estetici e narrativi.
 
Patria è un’opera che vuole farsi monito contro la «retorica nazionale, è un inno all’appartenenza che non è esclusività ma diventa partecipazione.
Perché patria è una parola singolare ma che andrebbe declinata al plurale.
Così come umanità. E perché, in fondo, per citare «Lo straniero» di Richard Sennett, «la patria non è un luogo fisico ma un bisogno che si sposta».
 

 
 Roberto Zappalà  
Roberto Zappalà è direttore artistico e coreografo principale della Compagnia Zappalà Danza, che ha fondato nel 1989 a Catania. Oggi la compagnia è una delle più importanti realtà di danza in Italia ed é regolarmente sostenuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali sin dal 1996 e dalla Regione Siciliana.
In 22 anni di attività con la compagnia Roberto Zappalà ha realizzato oltre trenta produzioni che sono state presentate in tutta Europa, Centro e Sud America, Medioriente, Sudafrica. Per le sue creazioni, il coreografo spesso elabora dei percorsi articolati con progetti ampi.

La Compagnia Zappalà Danza si distingue per la disponibilità di un repertorio ampio e articolato, frutto del lavoro sinergico e prolifico di Roberto Zappalà e Nello Calabrò che negli ultimi dieci anni hanno tracciato un percorso progettuale in continua espansione, che ha permesso la realizzazione di produzioni di diversa tipologia, la maggior parte con musica dal vivo.

Come ha scritto Silvia Poletti su delteatro.it, da 30 anni Roberto Zappalà corre e racconta, come nessun altro, un sud vivo e vibrante insieme alla sua Compagnia «con tenacia, lucidità, visione e continua voglia di andare avanti, di perfezionare la sua poetica, di dare una casa alle sue idee di danza, naturalmente umanista e filosofica».
Il suo stile coreografico, dopo anni di ricerca del movimento insieme ai suoi danzatori, è divenuto un linguaggio con una sua ben definita e singolare identità che si chiama MoDem.

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