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Il Censis: sanità, terapie efficaci per la schizofrenia

«Ma resta drammatico l’impatto sulle esistenze di malati e familiari»

Il 72,1% dei pazienti è soddisfatto della capacità del medico di coinvolgerli nelle scelte terapeutiche e il 71,5% per l'efficacia dei farmaci.
Uno su quattro ha ricevuto la diagnosi alla prima visita, ma spesso durante un ricovero ospedaliero. 
Molto pesante l'impatto sociale per i malati: il 47,2% ha lasciato il lavoro, il 33,8% non ha potuto terminare gli studi.

Vita dura anche per i caregiver per le ricadute delle attività di assistenza sul lavoro e nelle relazioni.

Di seguito i principali risultati della ricerca «Vivere con la schizofrenia: il punto di vista dei pazienti e dei loro caregiver» realizzata dal Censis con il contributo non condizionato di Lundbeck e Otsuka, che è stata presentata oggi a Roma da Ketty Vaccaro, Responsabile dell'Area Welfare e salute del Censis, e discussa da Bernardo Carpiniello, Presidente della Sip-Società italiana di psichiatria, Luigina Di Liegro, Presidente della Fondazione internazionale Don Luigi Di Liegro, Alberto Siracusano, Presidente della Sopsi-Società italiana di psicopatologia, Fabrizio Starace, Presidente della Siep-Società italiana di epidemiologia psichiatrica.

 Una patologia ad esordio precoce 
La schizofrenia è una grave malattia mentale dai sintomi complessi che possono provocare significativi cambiamenti comportamentali.
I dati riportati dall'Istituto Superiore di Sanità fanno riferimento per l'Italia a circa 245.000 persone che soffrono di questo disturbo.
La malattia esordisce in giovane età (tra i 15 e i 35 anni) e può avere effetti dirompenti sul progetto di vita della persona che ne è affetta.
Nella ricerca realizzata dal Censis, con il contributo non condizionato di Lundbeck e Otsuka, su un campione di pazienti con diagnosi di schizofrenia e su un campione di familiari di pazienti, l'esordio più frequente si registra in media a 23,5 anni, ma il percorso che porta alla diagnosi dura circa 3 anni.
 
 Il ritardo nella diagnosi 
Ai primi sintomi, il 58,8% dei pazienti si è rivolto a uno specialista (nel 39,9% dei casi a uno specialista pubblico, mentre nel 18,9% a un professionista privato).
Tra gli specialisti, gli psichiatri sono stati i medici più consultati (34%), mentre lo psicologo è stato indicato dall'11,7%.
Poco più di un paziente su quattro ha ricevuto la diagnosi di schizofrenia alla prima visita (il 27,2%), mentre il 15,2% ha ottenuto l'inquadramento della patologia dopo oltre cinque controlli, il 12,6% dopo tre o quattro consulti medici, il 7,9% dopo il secondo incontro.
Vi è poi un'alta percentuale di pazienti (il 37,1%) che non ricorda il numero di visite necessarie al riconoscimento della patologia. Il 59,7% dei pazienti ha ottenuto la diagnosi durante una visita ambulatoriale presso uno specialista, il 35,4% durante un ricovero in una struttura pubblica, il 2,1% durante un ricovero presso una clinica privata.
 
 Nella cura è essenziale la fiducia 
La fiducia riposta nei confronti del proprio medico costituisce un fattore essenziale. Il 72,1% dei pazienti è soddisfatto della capacità del proprio medico di coinvolgerlo nella scelta della terapia e il 71,5% per l'efficacia dei farmaci.
Il giudizio positivo nei confronti dei farmaci prescritti si traduce in buoni livelli di compliance: il 66% dichiara di non scordare mai di assumere le medicine e il 20,3% di prenderle la maggior parte delle volte.
Nonostante il paziente possa godere di lunghi periodi di remissione dalla sintomatologia, è frequente la possibilità di ricadute: è rilevante il numero di pazienti (il 22,9%) che nel corso dell'ultimo anno ha avuto un ricovero in ospedale o in una clinica privata a seguito di una ricaduta.
 
 Drammatico l'impatto sociale sin dai primi sintomi 
I pazienti che ricevono quotidianamente aiuto nella gestione della malattia dai familiari sono la maggioranza.
Il 70,7% (l'84,2% dei più giovani) ha un familiare in casa che si prende cura del suo benessere.
L'impatto della schizofrenia è sin dai primi sintomi di grande rilevanza: il 42,1% dei pazienti considera la qualità della propria vita prima dell'inizio dei trattamenti sotto la media (17,8%) o scarsa (24,3%).
L'attività lavorativa è stata largamente pregiudicata dal sopraggiungere della patologia: il 47,2% ha dovuto lasciare il lavoro, il 25,4% ha perso ore di lavoro, il 23,2% è stato costretto a cambiare attività lavorativa e il 16,2% ha ridotto il tempo dedicato alla propria occupazione.
La precoce età media di comparsa della patologia ha impedito al 33,8% di ultimare il percorso scolastico, mentre il 12% ha dovuto modificare il corso di studi.
Le conseguenze in termini personali dell'insorgere della malattia segnano fortemente lo stato d'animo dei pazienti.
A fronte del 59,7% che indica di aver ricevuto attestati di solidarietà da parte dei propri conoscenti, sono prevalenti le esperienze di frustrazione, disagio ed emarginazione: il 75,2% nasconde o non parla a nessuno della sua malattia, il 70,5% si sente discriminato, il 63,8% teme che i sintomi diventino evidenti in certe circostanze.
 
 Vita dura anche per i caregiver 
L'attività di assistenza viene prestata in larghissima maggioranza da un membro della stretta cerchia familiare.
Principalmente se ne occupano i genitori (54,8%), un fratello o una sorella (19,1%), il partner (11,5%). Il ricorso al personale esterno è limitato a poco meno dell'8% dei casi.
L'impegno richiesto è particolarmente gravoso e si divide tra ore dedicate all'assistenza (in media i caregiver dedicano a queste funzioni 12,3 ore della giornata) e alla sorveglianza (12,8 ore in media).
Le sollecitazioni emotive e la fatica fisica legata all'attività di assistenza del malato determinano ricadute di diverso tipo. Il 63% dei caregiver si sente fisicamente stanco, il 43,5% non dorme a sufficienza, il 23,2% è dovuto ricorrere a supporto psicologico.
Il 37,8% ha modificato alcuni aspetti della propria vita lavorativa, con un impatto che per molti si è tradotto concretamente nell'abbassamento del proprio livello reddituale.
In particolare, il 24,5% è andato in pensione anticipata, il 15,1% ha rinunciato alla ricerca di un lavoro e si è dedicato interamente all'assistenza del familiare.
Il deterioramento della coesione familiare costituisce un ulteriore effetto: per il 57,6% dei caregiver le necessità di assistenza del malato hanno determinato malcontento tra i componenti del nucleo familiare, il 32,6% segnala frustrazione per non riuscire ad adempiere appieno ai propri doveri familiari e il 17,4% segnala un impatto anche sulla propria relazione di coppia.
 
 Ketty Vaccaro, responsabile dell'area Welfare e salute del Censis 
«L'esordio precoce della malattia risulta fortemente condizionante per la realizzazione professionale, – dice. – Per il 35% i pazienti sono disoccupati, a fronte di circa solo il 7% nelle corrispondenti fasce d'età della popolazione generale.
«Tra i pazienti oltre l'80% è celibe o nubile, contro il 35% della popolazione corrispondente.
«Non è dunque un caso che le aspettative nei confronti del sistema dei servizi si focalizzino proprio sullo sviluppo dell'inserimento lavorativo e delle attività di socializzazione, per rendere possibile una convivenza con la patologia sempre più accettabile e meno penalizzante.
«La schizofrenia è una malattia dal forte impatto sulla vita dei pazienti e dei loro familiari, ma anche sull'intera società. La patologia ha pesanti ripercussioni sulla vita familiare, sul lavoro e sulle relazioni, ma non vanno sottovalutati nemmeno i costi diretti e indiretti sul Sistema sanitario nazionale e sull'intera collettività.
«Come aziende impegnate nel campo delle terapie per il Sistema nervoso centrale», dicono Diederik Huisman, Managing Director di Otsuka Italia, e Klaus Abel, Managing Director di Lundbeck Italia «siamo convinti dell'importanza di dare vita a iniziative capaci di fare luce sul vissuto dei pazienti e sulla dimensione sociale della malattia.
«Per questo motivo siamo orgogliosi di aver avuto la possibilità di supportare lo svolgimento di questo importante studio realizzato dal Censis e ci auguriamo che i risultati siano da stimolo per mettere a punto strategie di intervento per ridurre il peso che la malattia ha sui pazienti e sui loro familiari.»

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