Cambiamento climatico: quali sfide per l’Italia e l’Europa
Oggi incontro pubblico con partecipazione del vicepresidente Pacher
Dibattito a tutto campo questo
pomeriggio nel Palazzo della Provincia sul tema «La sfida del
cambiamento climatico: quale futuro per l'Italia e l'Europa?»,
nell'ambito dell'evento «Climatica...mente cambiando - Trentino
clima 2011».
Si è parlato della percezione del problema da parte del grande
pubblico, dell'efficacia della comunicazione, del ruolo della
politica, ancora molto condizionata dallo sfasamento temporale fra
l'assunzione delle decisioni necessarie a contrastare il
surriscaldamento globale e la visibilità della loro efficacia, che
si misura in decenni.
Per il vicepresidente della Provincia Alberto Pacher «il problema
posto dai cambiamenti climatici è lo stesso posto dalla attuale
crisi economica: manca una governance efficace, ed è molto forte il
condizionamento esercitato dai potentati economico-finanziari
transnazionali.»
Nel riconoscere che «certamente abbiamo assistito in questi anni ad
una rimozione del problema, anche di natura psicologica», Pacher ha
aggiunto però che esiste ormai, ad ogni livello, una sensibilità
sedimentata e diffusa, segno che la consapevolezza del problema si
sta facendo strada nelle coscienze.
L'incontro è stato introdotto da Michele Lanzinger, direttore del
Museo tridentino di scienze naturali, che ha ricordato come
l'aumento di temperatura registrato dai ricercatori trentini
oscilla fra uno 0,5° (a Trento) e 1,5° (sul ghiacciaio del Caserer)
e ha brevemente illustrato le principali strategie individuate
dall'Unione europea sia sul fronte della mitigazione degli effetti
negativi del fenomeno che su quello dell'adattamento.
«Sappiamo qual è la direzione da prendere - ha detto Lanzinger - ma
sappiamo anche che non bastano le decisioni prese dall'alto, è
necessario il coinvolgimento diretto delle comunità. La sfida della
sostenibilità nasce dalla partecipazione.»
E' toccato poi a Stefano Caserini, docente al Politecnico di Milano
e noto divulgatore scientifico,spiegare come le emissioni di gas
serra stiano costantemente aumentando mentre al contrario la
deforestazione negli ultimi anni ha conosciuto una battuta
d'arresto.
«Siamo comunque vicini agli scenari peggiori ipotizzati dalla Ipcc.
Le emissioni di gas serra nell'atmosfera di origine antropica non
sono mai state così alte come nel 2010. Esse sono determinate dalla
quasi totalità delle attività umane, pochissime ne sono esenti (23
tonnellate di emissioni pro capite negli Usa, circa 5 in Cina,
l'Europa si colloca ad un livello intermedio). L'aumento delle
temperature globali previsto in questo secolo non ha paragoni con
quanto avvenuto negli ultimi 2000 anni.»
Antonio Cianciullo, giornalista de «La Repubblica», ha affrontato
il problema nell'ottica dell'efficacia della comunicazione.
«Un sondaggio dimostra che negli ultimi 4 anni si è registrata una
diminuzione se non un crollo dell'interesse sul tema. In Europa
sostanzialmente ad un cittadino su tre non importa nulla. Perché?
Ci sono varie spiegazioni. Una è di carattere antropologico: stiamo
andando verso il caldo, e noi come specie siamo più propensi a
temere il freddo che il caldo. Inoltre si pensa erroneamente che il
cambiamento sia poco influente; al contrario, un cambiamento di un
grado può cambiare moltissimo la vita delle persone. Ed ancora:
spesso le opinioni della maggior parte della comunità scientifica
mondiale, ovvero della Ipcc, la commissione intergovernativa sul
clima voluta dall'Onu, vengono equiparate a quelle di qualche
negazionista A ciò si somma il fallimento di Copenaghen e delle
politiche dello stesso Obama, che possono avere ingenerato sfiducia
nel pubblico.»
Antonio Navarra, del Centro europeo mediterraneo per i cambiamenti
climatici, ha sottolineato il valore simbolico del cambiamento
climatico, determinato dal fatto che per la prima volta ci rendiamo
conto che le attività umane possono cambiare radicalmente il
pianeta.
«Diventa cruciale la governance del fenomeno e di conseguenza la
posizione dell'opinione pubblica. Si dice che è difficile
comunicare questioni legate al rischio e alla probabilità, eppure
tutte le persone hanno almeno una assicurazione. La comunicazione
da parte della comunità scientifica in realtà è stata mediamente
buona. Non dobbiamo avere un atteggiamento spocchioso, né
'predicatorio'. Nelle democrazie i processi decisionali sono più
lenti e difficili che non, ad esempio, in Cina, dove la classe
dirigente può assumere delle decisioni di lungo periodo e
mantenerle. Ma personalmente preferisco la nostra 'via'. Dobbiamo
avere fiducia.»
E' stata quindi la volta di Alberto Pacher, vicepresidente della
Provincia e assessore all'ambiente, che ha affrontato il tema della
relazione fra la «crisi climatica» e la crisi economica
internazionale.
«La situazione che stiamo vivendo a livello generale sul piano
economico, fra le tante cause, ne ha una in particolare: l'assoluta
debolezza della politica. Per molto tempo si è pensato che
l'economia non avesse bisogno di regole o di briglie, che fosse in
grado di autoregolarsi generando in questo modo benessere per
tutti. Oggi al timone abbiamo delle grandi società sovranazionali,
che hanno molto più potere di qualsiasi governo nazionale.
Guardiamo al tema della mobilità: l'Italia ha visto un arretramento
fortissimo delle linee ferroviarie fra la prima e la seconda metà
del XX secolo. E' successo nello stesso Trentino: si inseguiva la
mobilità individuale, non quella collettiva. Questa debolezza della
politica nel governare i fenomeni economici la ritroviamo anche sul
versante ambientale. Tuttavia io ho anche l'impressione che,
nonostante i sondaggi, la gente non si sia stancata di sapere.»
Mauro Zenobi, imprenditore nel campo della green economy, ha
parlato di questo settore specifico dell'economia come di una
grande opportunità.
«Siamo un paese particolarmente osservato a livello mondiale,
perché abbiamo molto sole, abbiamo la tecnologia abbiamo chiuso col
nucleare, pertanto la crescita del solare sembra scontata. I
capitali se ne sono già accorti. Ci sono prospettive enormi anche
nel paesi in via di sviluppo, in Asia, In Africa. Il modello non
potrà essere quello delle reti energetiche, ma quello dello
sfruttamento delle rinnovabili. L'energia solare che impatta sul 3%
del Sahara equivale al totale dell'energia richiesta a livello
mondiale. Questo è un fatto incontrovertibile. Significa che la
fonte di energia c'è. Poi semmai rimane da discutere sul costo del
suo sfruttamento. Il problema è che siamo condizionati
dall'economia finanziaria, che spinge verso ritorni a breve termine
degli investimenti. Ma quando si sono costruite le centrali
idroelettriche in Italia si accettava il fatto che l'ammortamento
dell'investimento avrebbe necessitato almeno di 30 anni. Eppure
l'investimento è stato fatto.»
Baptiste Chatrè, del segretariato della Convenzione delle Alpi, ha
infine spiegato che trovare un accordo a livello sovranazionale è
difficilissimo.
Sulle Alpi gli effetti dei cambiamenti climatici sono più forti che
altrove, e ciò spiega perché le regioni alpine siano tenute sotto
osservazione con particolare attenzione.
Le Alpi rappresentano un case-study importante anche perché le
strategie di adattamento sono molto sviluppate, probabilmente per
una secolare abitudine dell'uomo a rapportarsi all'ambiente.
I problemi principali riguardano invece la disponibilità di acqua,
la conservazione della biodiversità, il turismo.
Ma in generale, ha concluso Chatrè, «non ci si deve attendere molto
dall'Europa, perché le sue decisioni riflettono gli atteggiamenti
degli Stati. Sono dunque gli Stati che devono muoversi.»
Ancora qualche suggestione emersa dal dibattito.
Perché è così difficile governare il fenomeno dell'aumento delle
temperature? Perché ragionando in tempi «elettorali» le decisioni
da prendere impattano su un tempo pari a un paio di elezioni, gli
effetti positivi che possono produrre si vedranno entro un tempo
pari a 20 o 30 elezioni.
Il ritorno, quindi, in termini politici, è molto scarso.
Qual è la differenza sostanziale fra Copenaghen e Kyoto? Che a
Kyoto, nel 1992, si era stabilito il principio per il quale certe
azioni «nocive» per l'umanità meritavano di essere sanzionate (come
si fa per chi viola una qualunque legge), mentre a Copenaghen è
prevalso il principio della volontarietà dell'azione degli
Stati.
Infine, sull'atteggiamento della società nei confronti di questo
problema: secondo Pacher per molti anni è stata operata una
rimozione, e come si sa ciò che è rimosso prima o poi viene fuori
in altro modo.
Così si possono spiegare anche gli allarmi di estinzione che si
sono susseguite negli ultimi anni (Sars e altri allarmi
ingiustificati).
La rimozione è dovuta anche alla diacronicità: si chiede alla gente
di compiere azioni virtuose adesso per produrre effetti positivi in
un futuro abbastanza distante.
E' un principio che la maggior parte delle persone fatica ad
accettare.
«Però, nonostante tutto - ha concluso Pacher - a me pare che una
certa sensibilità si vada lentamente sedimentando. Basti guardare
alla pubblicità delle auto e degli immobili: sempre di più il
mercato punta su cose come il risparmio energetico, la classe A, il
che significa che esiste oggi una più forte consapevolezza del
problema.»
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