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Un'altra leggenda al Festival dello Sport: Panatta e Bertolucci

«Ai nostri tempi c’era goliardia e un rapporto forte anche nello spogliatoio. Oggi ogni giocatore ha il suo team»

Leggenda: racconto meraviglioso e popolare; termine che si adatta bene alla storia di Adriano Panatta e Paolo Bertolucci.
Così il giornalista de La Gazzetta dello Sport Riccardo Crivelli ha introdotto, nella prestigiosa cornice di Sala Depero, i due tennisti che hanno segnato la storia dello sport italiano, in coppia, nel magico 1976, con la conquista della Coppa Davis ma anche singolarmente, soprattutto con le vittorie di Panatta, sempre nel 1976, a Roma e Parigi, e l’anno successivo con le vittorie di Bertolucci in tre tornei.
È stato l’incontro con due grandi, che hanno ripercorso una carriera straordinaria, però con il sorriso e una certa dose di ironia e leggerezza.
Ma la loro è soprattutto la storia di un’amicizia, nata quando entrambi erano ragazzini e continuata durante tutta la carriera.
 
Si parla di Panatta e Bertolucci e il ricordo va immediatamente alla finale di Coppa Davis del 1976, vinta dall’Italia contro il Cile, a Santiago.
Ma, prima dei ricordi agonistici, c’è tempo per descrivere la situazione politica, il vivace dibattito pubblico, che accompagnò la nostra partecipazione a quella manifestazione.
Il paese, lo hanno ricordato i due protagonisti, era diviso tra chi era favorevole alla partecipazione e chi fortemente contrario, come segno di distanza dal regime di Pinochet.
Alla fine decise la Federazione, la squadra italiana partecipò alla finale come favorita e la vinse.


 
«La scelta delle magliette rosse – ha ricordato Panatta – fu un preciso messaggio di protesta contro il regime cileno che decidemmo di lanciare con lo stesso colore dei fazzoletti utilizzati dalle donne che in Cile scendevano in piazza alla ricerca dei loro parenti.
«Nessuno si accorse o quantomeno scrisse di quelle magliette rosse. Solo molti anni dopo la notizia fu ripresa grazie al film del regista Mimmo Calopresti.»
Fu una vittoria straordinariamente importante per il tennis italiano. Tra i momenti più toccanti della loro carriera i due tennisti hanno però ricordato anche l’incontro con la realtà dell’apartheid in Sudafrica.
Per Panatta poi una gioia particolare fu la vittoria nella sua città, Roma.
 
«Il tennis – ha aggiunto Bertolucci – aveva avuto buoni risultati per l’Italia anche prima di noi ma effettivamente con noi si cominciava a vedere più spesso, era uscito dalla nicchia dove si trovava.»
«Non ho rimpianti – ha detto Panatta – e non conosco l’invidia. Ognuno è figlio della propria epoca. Però oggi è tutto molto diverso, dal gioco, al modo di allenarsi. Oggi il tennis è molto più fisico.»
«Ai nostri tempi – ha aggiunto Bertolucci – c’era goliardia e un rapporto forte anche nello spogliatoio. Oggi ogni giocatore ha il suo team.»
«Bertolucci – ha detto Panatta - giocava bene a tennis e sapeva sempre cosa bisognava fare in campo. Lui aveva più braccio e io più mano. Avrebbe potuto vincere molto di più.»

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