La violenza sulle donne - Di Minella Chilà
«Les Vies en rose - non solo amore», spettacolo teatrale in scena al Teatro delle Garberie di Pergine il 25 novembre 2011, inizio alle ore 20.30.
Proprio oggi, 25 novembre 2011, ricorre la giornata internazionale sulla violenza alle donne ed è tutta la settimana che si alternano conferenza e dibattiti sul tema.
Anche a Trento, mercoledì scorso, l'Assessore alle Pari Opportunità Lia Giovanazzi Beltrami ha presentato i dati del fenomeno che vedono la provincia di Trento non immune da questa problematica, anzi il numero degli accessi alle strutture competenti da parte delle vittime è aumentato, non si parla di allarme, ma di attenzione, sì!
Si, lo sappiamo tutti, che ogni anno nel mondo muoiono tantissime donne, vittime di violenza e che altrettante sono brutalizzate, mutilate, stuprate...
E' quasi inutile parlarne, come è inutile aggiungere che la maggior parte delle violenze sulle donne viene commessa da un uomo, un ex marito, un fidanzato allontanato, o uno sconosciuto che deve sfogare i propri istinti su un altro essere umano più debole.
Si, lo sappiamo tutti, che le donne sono oggetto di violenza specialmente tra le mura domestiche, quelle che di solito dovrebbero proteggere e accogliere, ma che diventano teatri, spazi, luoghi dove si consumano efferati delitti o si annidano storie agghiaccianti.
Si, lo sappiamo tutti, nascono associazioni e gruppi di sostegno e di aiuto, ma alla fine nessuno sembra esserne seriamente toccato, anzi attorno a questo argomento aleggiano sentimenti di vergogna e di colpa. La vittima è sempre e comunque giudicata, ancora si sente dire.... «si ma in fondo se l'è cercata» o «ma quella è una che si veste in modo provocante...», ricordate la famosa sentenza che assolse gli imputati perché la vittima portava jeans troppo stretti?
Qual è il problema, in fondo un paio di schiaffi non hanno mai fatto male a nessuno, essere arrabbiati e prendersela con la propria moglie urlando e lanciando qualche oggetto è normale, un marito ne ha tutti i diritti.
Denigrare la propria compagna, mortificandola e ricattandola economicamente, mettendole contro i bambini... non è come picchiarla o malmenarla, su... andiamo...
Eppoi si sa «... le donne sono tutte uguali, ci fanno soffrire, ci succhiano il sangue, vogliono solo quelli con i soldi, con il macchinone...»
Quanto siamo disposte ancora a soffrire per un uomo? E quanto ci sentiamo in colpa se un rapporto non funziona, quanto ci sentiamo sbagliate, inadeguate, al punto da sopportare ogni angheria, ogni brutalità.
Ma per salvarci da cosa, poi? Dai giudizi dei nostri amici, dalla solitudine, dalla paura di non trovare più un compagno, forse?
Basterebbe togliersi di dosso tutto quell'amore malato, sporco, sbagliato, masochista, per cominciare di nuovo a respirare, a vivere.
Ed è proprio oggi, nell'ambito di questa ricorrenza importante, una giornata dedicata alle donne vittime di violenza, che andrà in scena uno spettacolo teatrale che tocca, a volte facendo tanto male, determinati punti che fanno parte del nostro essere maschile e femminile, scoprendo ferite ancora sanguinanti.
Se avete voglia di mettervi in discussione... anche voi, si proprio voi che pensate di essere lontane da certe gabbie emotive, da certi schemi, o voi, maschi evoluti, moderni... se non avete paura di scoprire che sotto sotto, cova altro, forse una mentalità o pensieri meno evoluti.
Se non avete paura, allora... venite sereni ad assistere a questo spettacolo, ma attenzione, potreste rimanere delusi, sì ma da voi stessi, perché alcune situazioni, alcune frasi o parole o atteggiamenti, potrebbero non essere così lontani dalle nostre, dalle vostre vite.
Un progetto finanziato più di un anno fa dall'Assessorato delle Pari Opportunità e da altri sponsor istituzionali, messo in scena dalla Compagnia Studio # Primo Teatro, in collaborazione con il Teatro Portland di Trento, dal titolo: Les vies en rose – non solo amore.
Quattro attrici ed un attore, una psicoterapeuta che ha scritto la drammaturgia dello spettacolo, un regista trentenne Michele Ciardulli che ha faticato non poco a mettere insieme il mondo femminile e quello maschile. Un'opera ambiziosa che ha coinvolto tutti gli artisti personalmente ed emotivamente: ci sono voluti mesi di preparazione, per poter recitare quelle parti, qualcuna non ha retto ed ha abbandonato, qualcuno di loro ha chiamato dopo anni la sua ex e si è scusato. Storie personali che si intrecciano e che hanno scavato in ognuno buche profonde ed ancora, parlando con loro, si avverte il pathos della ricerca e della continua analisi.
Maddalena Primo, psicologa, psicoterapeuta e attrice, è entusiasta di questo progetto, il testo è frutto della sua esperienza professionale e dopo aver sentito centinaia di donne raccontare storie di violenza, ha capito che doveva, come donna e come medico, rompere quel muro di complicità e di omertà che spesso viene eretto per isolare le vittime.
Ha capito che utilizzando il linguaggio teatrale, si potevano superare quei meccanismi di difesa ed arrivare al cuore delle donne e degli uomini.
I temi in gioco non riguardano ovviamente solo la violenza fisica, ma sono più complessi ed articolati ed investono il mondo delle relazioni uomo donna, madre figlia, donna e donna.
Durante lo spettacolo si intrecciano le storie di quattro donne, la madre, poi Anna, la figlia, Laura e Veronica, ognuna ingabbiata nei propri ruoli, nei propri schemi mentali, soffre e subisce forme di violenza senza riuscire a ribellarsi, solo alla fine dello spettacolo qualcosa si muove e tre di loro riescono a trovare il proprio equilibrio, nel tentativo di recuperare un po' di serenità e ricominciare a vivere e a sperare.
Il dubbio che si insinua è che le donne spesso scelgono di essere delle vittime, vittime delle tradizioni, del condizionamento culturale, vittime di sé stesse e delle pressioni del mondo circostante o meglio non fanno niente per ribellarsi e superare questo confine che le relega in un angolo buio e senza colori.
Sullo sfondo, per tutto lo spettacolo, si svolge una scena che fa parte del nostro quotidiano, una mamma che continua ad apparecchiare ed a sistemare oggetti su un tavolo enorme.
Ognuna di loro, ogni personaggio interpretato, porta con sé una verità ed una storia di dolore.
Laura, interpretato da Aurora Weber, ha imparato dalla madre l'arte della seduzione che esercita su uomini sbagliati e poco interessati al suo amore, sino ad annientare ogni parte di sé. E' convinta che il valore di una donna dipenda esclusivamente dall'interesse del suo compagno, che invece la denigra e sbeffeggia ogni suo tentativo di cercare rassicurazioni.
Nella scena viene rappresentata intrappolata in una sorta di tela di ragno, in questo rapporto squilibrato con un uomo arido e senza scrupoli, al di fuori del quale però non riesce a trovare un suo ruolo, una ragione di vita, una nuova identità.
Anna (la figlia), interpretata da Deborah Meneghini, è la prima a liberarsi della sua gabbia, nonostante i continui richiami della madre al rispetto delle tradizioni familiari che la vorrebbe, come la sua nonna e la stessa mamma, sottomessa e ubbidiente....
Lei riesce a ribellarsi ad una vita infelice fatta di soprusi e di violenze del marito e a vivere in maniera consapevole e coraggiosa la sua scelta: separarsi, scelta che alla fine anche la madre accetterà.
Veronica, interpretata Manuela Fischetti, è il personaggio forse più straziante, segnata per sempre da una storia familiare di violenza sessuale, non riesce a ricostruire un rapporto sano e bilanciato con un uomo. Lei cerca il principe azzurro, quello che la porterà via da tutto quel dolore e quando si accorge che il compagno, a cui aveva confessato il suo dramma, si allontana, capisce di essere di nuovo sola con il suo carico pesante di sofferenza da affrontare.
Però non si rassegna al ruolo di vittima ed anche lei riesce a togliersi la gabbia che le avvolge il corpo... ed in quel momento comincia a rivedere il suo modo di relazionarsi e di chiedere affetto.
E' commovente il suo grido di dolore: «dimmi che ami, dimmi che mi ami, dimmi che mi ami e che tornerai». Perché è il grido di tutte noi donne quando non ci rassegniamo, quando vogliamo a tutti i costi essere amate, quando desideriamo l'amore di un uomo sino al punto di annullarci, di strisciare, sino a disperarci e a morire dentro, in fondo al cuore.
L'uomo, interpretato da Giovanni Oieni, è in crisi, annaspa, accusa la donna di ogni suo fallimento, vorrebbe essere capito, vorrebbe che la sua compagna fosse a sua completa disposizione ed intanto cova rancore, odio, vorrebbe che strisciasse ai suoi piedi che gli chiedesse perdono, vorrebbe farle del male, ucciderla, mortificarla. E' convinto che un uomo, quando torna a casa stanco dal lavoro e dalle fatiche quotidiane, ha tutti i diritti di ricevere le attenzioni esclusive di sua moglie mentre lei, invece, continua a dedicarsi ai bambini, trascurandolo.
E cresce il risentimento che si trasforma giorno dopo giorno in un muro di incomprensione e di incomunicabilità che provoca profonde rotture e disperazione.
Il finale porta con sé una speranza, timida ed accennata, che solo attraverso un percorso introspettivo e di rieducazione alle relazioni, si possono gettare le basi per cercare un contatto reale tra uomo e donna, ma la vera rivoluzione culturale deve ancora avvenire.
«...Mi stupisco ancora di quanto possa essere ostinato e resistente il cuore di una donna», cala il sipario... applausi, vi alzerete dalla vostra poltroncina, ma le parole ascoltate, i gesti, i movimenti consueti della madre, la disperazione di Veronica, la solitudine di Laura, la ribellione di Anna, ve le porterete addosso per tanto, tanto tempo, credetemi!
Minella Chilà
minella.chila@ladigetto.it
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