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Trentino terra di pace a 100 anni dalla fine della Grande Guerra

Oggi l'evento con il presidente dell'Ana Sebastiano Favero e l'Arciduca Martino d'Austria-Este: «Voi trentini siete il link del mondo tedesco con quello latino»

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Studenti di 5 scuole superiori del Trentino - licei Da Vinci e Prati e Istituto tecnico industriale di Trento, De Gasperi di Borgo Valsugana, Don Guetti di Tione - hanno partecipato stamani, nella sala delle Marangonerie del castello del Buonconsiglio di Trento, assieme a molte autorità, all’incontro organizzato dalla Presidenza della Provincia autonoma per ragionare assieme di pace, a 100 anni dalla fine della Prima guerra mondiale.
Il Trentino riflette dunque, ancora una volta, sulla sua storia e sulla sua identità, guardando al futuro ma anche alle conquiste del presente, ad un’Autonomia inserita in un contesto più ampio, plurale, europeo, il miglior antidoto ai fantasmi del passato, a quegli opposti nazionalismi che hanno creato tante lacerazioni.
Ospiti d'onore il presidente dell'Associazione nazionale alpini-Ana Sebastiano Favero e l'Arciduca Martino d'Austria-Este, per un ideale abbraccio fra le parti che, un secolo fa, si schierarono su fronti opposti.
 
Con loro Oswald Überegger, della Libera Università degli studi di Bolzano, e Margherita Odasso, in rappresentanza dei tanti studenti universitari in Trentino e fuori dal Trentino, nuove generazioni a cui momenti come quello di oggi sono principalmente rivolti.
Oltre alla riflessione sulla storia e la memoria, c'è stato spazio anche per parlare di temi più legati all'oggi: ad esempio del previsto raduno nazionale degli alpini, che si terrà quest'anno in Trentino.
Un evento aperto a tutti, senza distinzioni di sorta, è stato spiegato dal presidente dell'Ana ma anche dal presidente della Provincia, che ha come unico scopo quello di ribadire, proprio in una terra dove la guerra ha portato enormi sofferenze, l'importanza della riconciliazione, del dialogo, della pace.
Quattro infine i doveri che il Trentino in quanto terra «costruttrice di pace» vuole onorare, come enunciati dal presidente della Provincia: conoscenza, memoria, consapevolezza, impegno.
 

 
Se la retorica nazionalista dell’epoca continuava a presentare la guerra, da ambo le parti, come un confronto fra Bene e Male, chi combatteva sulle trincee austriache e su quelle italiane si rese conto ben presto dell’immane tragedia di cui era protagonista.
Nell'introduzione all'incontro il professor Giuseppe Zorzi ha ricordato i tanti trentini, circa 60.000, che combatterono per l'Impero asburgico, a cui all'epoca il Trentino apparteneva, e i quasi 700 irredentisti che si schierarono con l’esercito italiano, e ha citato le parole profetiche di Erasmo da Rotterdam, che 5 secoli prima scriveva così.
«Dalla guerra nasce la guerra: da quella finta si genera la guerra vera, da un piccolo conflitto se ne produce uno immenso. Quale l’antidoto a tanto orrore? L’Europa, innanzitutto, e l’idea che essa sottende: siamo tutti più forti non se ciascuno vuol essere primo, ma se ciascuno si impegna a trovare regole, motivi e ragioni per una convivenza pacifica e utile a tutti, fondata sulla pace, sulla democrazia, sul riconoscimento di diritti e doveri reciproci.
«Assieme all’Europa anche l’Euregio, che coniuga memoria e nuove opportunità, nel solco tracciato dai costruttori d’Europa come Alcide Degasperi e soprattutto di una convinzione granitica: guerra, mai più.»
 
Oswald Uberegger della Libera università degli studi di Bolzano ha raccontato l’ultimo anno della Grande guerra.
Da una situazione che sembrava favorevole a Vienna si è passati velocemente alla sconfitta degli Imperi centrali e alla pace di Parigi, con i suoi strascichi controversi.
Nel frattempo, migliaia di soldati tirolesi erano morti in Galizia, nei Balcani e sulle Dolomiti. La popolazione si era resa conto molto presto che la guerra non consisteva solo nelle vittorie celebrate dalla propaganda, che era invece soprattutto un'immane catastrofe umana.
I soldati partiti dal Trentino, a loro volta, non erano animati da furore patriottico; risposero alla chiamata di quello che si considerava un dovere civile, che doveva avere breve durata.
Con l’andare del tempo, subentrarono stanchezza, disillusione, preoccupazione per i familiari rimasti a casa. Al fronte la fame era una sofferenza costante. Il desiderio di pace si faceva sempre più forte. 
 

 
Nell’ultimo anno di guerra la penosa situazione in cui versava l’esercito austroungarico provocò un aumento esponenziale della renitenza, interessando anche soldati decorati.
Nel solo giugno del '18 si ammutinarono a Schwaz centinaia di soldati, che non volevano essere trasferiti al fronte.
Non meno catastrofica la situazione della popolazione civile, che provocò malcontento e proteste. Nel gennaio 1918, ad esempio, ci fu una grande manifestazione operaia per le strade di Innsbruck, nella quale al miglioramento delle condizioni di vita su univa la richiesta della pace.
A Trento, analogamente, manifestazioni sull’approvvigionamento insufficiente erano all’ordine del giorno. Comparvero anche i primi morti per fame. L’inflazione galoppante diede il colpo finale soprattutto ai salariati.
Ma all’interno del Tirolo peggiorarono anche i rapporti fra tedeschi e italiani: per i tirolesi tedeschi i trentini italiani erano considerati inaffidabili o traditori. Gran parte della popolazione trentina, del resto, fin dal 1915 era stata evacuata Ma la ricostruzione storiografica sottolinea come i trentini, in massima parte non fossero irredentisti. 
 
La popolazione rurale in verità era estranea a questo tema. L’identità non si definiva tanto con l’appartenenza ad uno stato quanto ad una valle, ad un luogo nel quale si viveva.
Anche nelle lettere inviate da soldati trentini dal fronte non si fa quasi mai riferimento all’identità statuale o a qualche astratto ideale di nazionalismo politico.
Se per la maggior parte dei trentini l’opzione italiana divenne con il tempo la più accettabile lo si deve ad una reazione alla repressione austriaca, non a reali convinzioni patriottiche.
Ma la grande maggioranza della popolazione, in particolare quella rurale, desiderava soprattutto la pace, che fosse sotto l’Austria o sotto l’Italia era secondario.
 

 
Al termine di questa appassionante ricostruzione storica, la parola è andata al presidente dell’Ana nazionale Sebastiano Favero, che ha ricordato come la pace non arrivi senza sforzi né ci appartenga di diritto. Va continuamente ricercata, promossa, valorizzata.
«Ben vengano quindi momenti come questo, perché senza conoscenza non c’è capacità di difendere e promuovere la pace.»
Favero ha sottolineato la piena sintonia con le parole dello storico e ha ricordato come ogni anno si organizzano manifestazioni congiunte con la Croce Nera austriaca che ricordano i caduti da ambo le parti. Infine, un richiamo all’impegno presente, a favore ad esempio dei terremotati del Centro Italia, e più in generale al senso del dovere che anima gli alpini.
Questi valori saranno anche ribaditi nel corso della prossima adunata nazionale, che, ha ricordato Favero, sarà aperta a tutti, senza preclusioni.
 
Concetti e valori, quelli del presidente dell'Ana, condivisi dall’Arciduca Martino d’Austria-Este, che ha riconosciuto come il Trentino sia stata una delle terre che più ha sofferto nella Prima guerra mondiale, e ha ricordato le lacerazioni che hanno contrapposto anche i membri delle sue famiglie di origine: il padre dell'Arciduca figura infatti come terzogenito dell'imperatore Carlo I, la madre è invece figlia primogenita di Amedeo di Savoia, duca di Aosta.
«Voi trentini – ha concluso – siete il link del mondo tedesco con quello latino. Dovete dare l’esempio all'Europa, dovete battervi per la pace.»
 
Infine Margherita Odasso, di Pergine, che ha citato Alexander Langer e la necessità di farsi costruttori di ponti e di pace.
La studentessa ha anche richiamato un’esperienza svolta all’estero, in Messico: un esempio delle opportunità offerte oggi da una terra come il Trentino, che per il suo essere a cavallo fra due mondi e fra due culture ha una naturale vocazione europea e internazionale.
«Per la mia generazione – ha detto – l’Europa è davvero una concreta dimensione di vita e la convivenza pluriculturale un valore.
«Il che non significa dimenticare le proprie radici e la propria provenienza. Oggi la nostra convivenza, favorita dall’Autonomia, è realmente un modello. Penso che i nostri antenati ne sarebbero orgogliosi.»
 

 
Infine il presidente della Provincia Ugo Rossi che ha ringraziato tutti i presenti e ha ricordato l'unicità del Trentino, la sua storia composita, spesso difficile, caratterizzata da forti lacerazioni durante e anche dopo la Prima guerra mondiale, ma anche la sua capacità di ricostruire, partendo da una condizione obiettivamente difficile, quelle condizioni di pace, convivenza, autogoverno responsabile che hanno caratterizzato il suo percorso secolare.
Nelle sue parole la consapevolezza che siamo in un’epoca incerta, e la tentazione è a volte quella di reagire ai problemi posti dalla globalizzazione innalzando muri, come nel caso delle migrazioni.
Ma non è questa la risposta. I trentini hanno il dovere non «sprecare» il fatto di vivere in un territorio che rappresenta un piccolo miracolo.
 
Esserne consapevoli è un dovere. Rossi è anche tornato alle parole di Erasmo: da una piccola guerra, una guerra finta, può nascere una guerra vera. Lo si vede anche se si guarda al dibattito mediatico.
Ne discendono quindi quattro doveri, che il trentino cerca di fare propri ogni giorno: conoscenza, ed è per questo che è stato introdotto nei programmi delle scuole lo studio della storia locale; memoria, perché non basta conoscere dal punto di vista scientifico, serve entrare nelle esperienze di vita delle persone, da cui alla legge provinciale per il ricordo dei caduti della Grande Guerra, dall’una e dall’altra parte.
Consapevolezza, ovvero la capacità di saper leggere le complessità dell’oggi, anche quelle insite dell'uso dei social network; impegno, per provare a mettere il meglio di noi stessi al servizio degli altri e della comunità.

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