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Verso il 70° anniversario del bombardamento della Portela/ 5

Dal libro di Nadia Mariz «Trento 1940-1945. I testimoni raccontano» – Seconda puntata, gli anni della Portèla

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C’è da dire però che, accanto a questa visione romantica di una Portèla laboriosa e solidale, ce n’è un’altra, quella che è facile immaginare a completamento del quadro, di un rione malfamato.
La mancanza di una rete fognaria adeguata, specie nelle giornate calde, rende l’aria irrespirabile.
Pidocchi, pulci e scarafaggi sono compagni di vita e di quotidianità ed è poco consigliato, a chi non vi abita, circolare dopo il tramonto.
La prostituzione, per alcune donne, è una necessità che non prescinde dalle circostanze.
 
La stessa questura sa quanto sia inutile andare lì a cercare un qualsiasi ladro o bandito: i numerosi vicoli e cunicoli che si diramano tra le case addossate e le cantine comunicanti ne rendono praticamente impossibile la cattura.
Inoltre, la solidarietà si tramuta spesso in omertà, un muro impenetrabile di complicità e silenzi.
Niente comunque che non si possa trovare in qualsiasi altro quartiere cittadino, magari un po’ più, magari un po’ meno.
 
Il rione è chiassoso, tra strazàri [rigattieri], moléta [arrotini] e fruttivendoli che circolano per le vie con carretti trascinati a braccia, cercando di attirare con le proprie grida l’attenzione delle massaie.
I suoni provenienti dalle botteghe artigiane si mescolano tra loro: sono quelle del pìnter [bottaio], del slòzer [fabbro] e del tìsler [falegname].
Ci sono poi le osterie: in piazza Santa Maria quelle del Carozèla, Al Grappolo e quella dei fratelli Trenner in via San Giovanni, l’osteria del Forti in piazza Leonardo da Vinci, la Conci e il Panza in via Prepositura, Alla Vigna all’angolo tra via Roma e via Pozzo, e l’Antica Vigna tra via Roma e Torre Vanga.
Con meno di una lira si può mangiare polenta col «tonco del pontesèl» [intingolo di carne], «sguazét» [spezzatino di frattaglie], o minestrone, trippe e baccalà.
 
Oltre che per mangiare però, nelle osterie ci si trova anche a giocare a carte o a fare qualche partita a bocce.
Quattro negozi di alimentari sono raccolti in poche centinaia di metri, tutti attorno alla piazza della Portèla, dove, nella tabaccheria, sottobanco, il gestore vende un po’ di tutto.
Un’altra tabaccheria è dietro la chiesa, all’angolo di vicolo Còlico e non mancano negozi di frutta e verdura, un barbiere, un negozio di scarpe, un tappezziere e un bar, il Destino, dove la padrona è famosa per leggere, nelle carte, il passato e il futuro.
 
All’angolo tra via Roma e via delle Orfane, è situato un albergo, il Risorgimento e, in piazza Santa Maria Maggiore, l’edificio della Cassa provinciale di Malattia dove sono fornite prestazioni medico-sanitarie pubbliche a quanti risiedono nell’intera provincia.
Rumori e voci si amalgamano e si confondono, ma a primeggiare sopra tutte ci sono però le grida dei bambini che giocano indisturbati, spesso scalzi, padroni di ogni pertugio che si presti al gioco del momento.
A orari fissi, che quasi scandiscono lo scorrere della giornata, quelle delle mamme, che li chiamano a gran voce per farli rientrare in casa.
 
Questa la descrizione di com’era la vita in città e nella sua periferia prima che la guerra, il 2 settembre 1943, in pochi minuti, in un inferno di boati, crolli e urla, trasformasse un quartiere in un ammasso di macerie.
Quel giorno moriva a Trento l’antico rione della Portèla.
Niente sarebbe più stato come prima.
Per i sopravvissuti, la vita cambiò radicalmente. Rimasero però quasi intatti i suoi monumenti più antichi: la chiesa di Santa Maria Maggiore, Porta Santa Margherita, caposaldo della muraria cinta medievale, e il più rappresentativo, Torre Vanga.
 
Nadia Mariz 
(Continua)
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