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Settant’anni fa venne rasa al suolo l’abbazia di Montecassino

Fu una delle operazioni alleate più inutili della Seconda guerra mondiale: l’abbazia non ospitava neppure un soldato - Il racconto di un episodio poco conosciuto

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Oggi ricorre il 70esimo anniversario della battaglia di Montecassino, ma in realtà la data di oggi – 15 marzo – si riferisce a un fatto preciso della Terza battaglia di Montecassino, quando a partire dalle 8.30 di quel mattino ondate di bombardieri alleati rasero completamente al suolo la cittadina di Cassino, che era già stata gravemente danneggiata dai precedenti combattimenti: 575 bombardieri pesanti e medi e 200 cacciabombardieri scaricarono 1.250 tonnellate di bombe sull'abitato.
Gli aerei partivano dall’Inghilterra che facevano il punto sul fumo del Vesuvio (in quel periodo era in attività), poi scaricavano le bombe. Quindi facevano rotta in Sicilia, dove atterravano, facevano rifornimento di combustibile e di bombe e ripartivano per Montecassino, quindi di nuovo verso l’Inghilterra.
La parte terribile di tutto ciò è che i paracadutisti tedeschi, che difendevano il fronte meridionale della penisola, si trovavano da tutt’altra parte. Insomma, e su questo gli storici sono d’accordo da decenni, è stato solo raso al suolo uno dei più preziosi monumenti del Paese.
Con l’occasione vogliamo riassumere velocemente le quattro battaglie di Montecassino, per poi raccontare un paio di aneddoti che conosciamo.
 
La prima battaglia iniziò il 12 gennaio 1944 e si protrasse fino al 12 febbraio e si svolse su due direttrici: gli Alleati sferrarono due attacchi diversivi sui fianchi, mentre l'attacco principale fu condotto al centro.
A parte qualche insignificante episodio, gli attacchi vennero respinti dai parà tedeschi, i Grünenteufel (Diavoli verdi), certamente più esperti e determinati degli alleati, perlopiù americani, inglesi, francesi e marocchini.
Il 22 gennaio, ad Anzio, sbarcarono truppe alleate con l'obiettivo di aggirare la Linea Gustav di giungere a Roma, provocando in tal modo il collasso del sistema difensivo tedesco. Ma anche in questo caso il progetto era buono, ma capacità operativa insufficiente. Gli Alleati, dopo aver stabilito una testa di ponte, non riuscirono a progredire.
Insomma gli alleati riuscirono a giungere a 300 metri da Cassino, ma poi dovettero ripiegare.

I comandi alleati si resero conto dell'impossibilità di prendere il Monastero in quelle condizioni.
In questo contesto, tra il 5 e il 15 febbraio maturò una delle decisioni più controverse dell'intero conflitto: il «bombardamento di Montecassino», suggerito dal comandante della 4ª divisione indiana Francis Tuker.
La questione chiave, a cui gli alleati risposero affermativamente era se il Monastero fosse, o no, occupato dai tedeschi. In effetti non lo era, ma questo lo si scoprì solo dopo.
Lo stesso Generale Mark Wayne Clark, che dette l'ordine, a posteriori ammise che fu un tragico errore di tattica militare - oltre che una vergogna dal punto di vista morale - che rese poi tutto il lavoro più difficile.
In realtà, fra le autorità ecclesiastiche e quelle italo-tedesche vi fu un accordo secondo cui i soldati avrebbero potuto stare all'esterno dell'Abbazia, ma nessuno sarebbe potuto entrare. Infatti, i soldati che stavano nel perimetro non erano lì a far la guardia a un'eventuale guarnigione all'interno della struttura, ma sorvegliavano affinché nessun militare facesse l'errore di entrare all'interno del Monastero, oltre che coadiuvare il lavoro di messa in sicurezza dei beni artistici.
 

 
Il 15 febbraio l'aviazione rase al suolo Montecassino in un bombardamento che durò per tutta la mattinata.
In questo bombardamento trovarono la morte numerosi civili che avevano cercato rifugio all'interno dell'abbazia, mentre all'esterno furono uccisi dalle bombe numerosi soldati tedeschi e quaranta soldati della divisione indiana.
Inoltre all'operazione, che avrebbe dovuto vedere in azione pochi bombardieri, come richiesto da Clark, parteciparono invece più di duecento velivoli per l'intenzione dei Comandi Alleati di approfittare dell'occasione per sperimentare una nuova strategia di bombardamento con mezzi ad alta quota su di un obiettivo puntiforme.
 
Il giorno dopo, nonostante la distruzione, gli attacchi dei neozelandesi e degli indiani fallirono per via di alcuni errori. Prima di tutto il raid aereo, previsto per il 16 ma anticipato al 15 di febbraio per il miglioramento delle condizioni meteorologiche, non venne loro riportato, causando rallentamenti nella loro entrata in azione.
In secondo luogo, quando gli indiani entrarono nella zona di combattimento di prima linea, dando il cambio agli americani, si resero conto che la collina Quota 593, soprannominata Monte Calvario, che distava poco più di un chilometro dall'Abbazia, non era in mano alleata come invece avevano riferito gli americani, bensì saldamente presidiata dai tedeschi, che potevano dunque controllare le vie per raggiungere Montecassino e respingere l'avanzata delle truppe alleate.
Ciò permise ai reparti tedeschi di impadronirsi delle rovine dell'Abbazia, che ora offrivano un riparo perfetto (dato che l'Abbazia era rasa al suolo, l'accordo di fatto aveva perso d'efficacia).
Infatti qualsiasi esperto di guerra urbana può confermare come una casa, o una struttura in generale, può rivelarsi una trappola, mentre le sue macerie costituiscono un riparo ideale.
La «seconda battaglia di Montecassino» era finita.
 
Gli Alleati fecero ruotare le loro truppe e l'esausto 2º Corpo statunitense venne sostituito dalla forze della Francia Libera e dal Corpo d'armata neozelandese.
Anche i tedeschi, il 20 febbraio, trasferirono la 90ª Panzergrenadierdivision con la 1ª Divisione paracadutisti nel settore che comprendeva la città di Cassino, la collina del monastero e il monte Cairo; a nord di queste postazioni si trovava la divisione «Hoch und Deutschmeister» che difendeva la posizione chiave di Terelle.
 

 
A partire dalle 8,30 del 15 marzo 1944, ondate di bombardieri alleati rasero completamente al suolo la cittadina di Cassino, che era già stata gravemente danneggiata dai precedenti combattimenti: 575 bombardieri pesanti e medi e 200 cacciabombardieri scaricarono 1.250 tonnellate di bombe sull'abitato.
Anche questa volta la precisione dell'aviazione alleata lasciò a desiderare: alcune bombe vennero lanciate sul Quartier generale dell'Ottava Armata inglese e sull'artiglieria neozelandese causando 75 morti e 250 feriti; senza contare le perdite tra la popolazione civile italiana.
Inoltre sempre nello stesso giorno prima di bombardare Cassino e l'abbazia, gli alleati bombardarono la città di Venafro per un fatale errore che costò la vita a centinaia di persone, tra civili e soldati anche alleati.
 
Alle 12,30 iniziò il fuoco d'artiglieria: dopo due ore 746 cannoni avevano sparato 200.000 proiettili sulla città e sulla collina.
Una volta terminato le truppe neozelandesi e indiane si lanciarono all'attacco, venendo però subito bloccate da una tenace resistenza tedesca: alla sera le truppe alleate erano penetrate meno di 200 metri fra le macerie della città, che nel frattempo si era trasformata in un'immensa barriera anticarro.
Nei giorni successivi cruenti combattimenti tra le truppe indiane (tra i quali i Gurkha) e neozelandesi vennero bloccati dalla tenace resistenza dei paracadutisti tedeschi arroccati fra le rovine del Monastero.
L'unico successo ottenuto riguardò la conquista del colle del castello.
Il 22 marzo, dopo l'ennesimo inutile assalto alleato, il Generale Alexander decise di sospendere ogni azione.
Anche la terza battaglia si era conclusa con un sostanziale nulla di fatto.
Le perdite tedesche erano però state pesanti: la 1ª Fallschirmjäger Division era ridotta a una forza che andava dai 40 ai 120 uomini per battaglione.
Anche gli Alleati avevano sofferto gravi perdite, con le truppe neozelandesi, indiane e inglesi che avevano perso 2.400 uomini in meno di nove giorni di battaglia.
Di fronte a questa situazione, Harold Alexander decise di aspettare la buona stagione prima di lanciare l'attacco finale alla Linea Gustav, in modo da prepararlo perché non potesse fallire.
 

 
La cosiddetta Quarta battaglia di Montecassino, nota anche come «Operazione Diadem», venne combattuta dal II Corpo d'Armata polacco del Generale Władysław Anders (11-19 maggio).
Il primo assalto (11-12 maggio) portò gravi perdite ma il 16 maggio permise all'ottava armata inglese del Generale Sir Oliver Leese di irrompere tra le linee tedesche nella valle del fiume Liri e per la prima volta di insediare presidi sotto il Monastero.
I tedeschi ormai barcollavano e quanto le divisioni marocchine sfondarono le linee poco più a sud decisero di evitare di essere accerchiati e si ritirarono.
Nelle prime ore del mattino del 18 maggio una pattuglia di ricognizione di Polacchi del 12º reggimento lancieri si arrampicò sulle rovine dove innalzò la bandiera polacca.
 
La cattura di Cassino permise alle divisioni britanniche e statunitensi di cominciare l'avanzata verso Roma, che cadde il 4 giugno 1944 pochi giorni prima dello Sbarco in Normandia.
L'operazione «Diadem» costò 18.000 perdite agli americani, 14.000 agli inglesi e 11.000 ai tedeschi.
 

La bandiera polacca sventoila per prima sulle macerie di Montecassino.
 
Alle varie battaglie di Montecassino parteciparono anche truppe dell’Esercito Italiano di liberazione. Non molte in verità, primo perché Eisenhower non voleva accettare l’aiuto dei nuovi alleati, secondo perché gli italiani avevano ormai poca voglia di combattere.
Con i Polacchi c’era il futuro sindaco di Trento Edo Benedetti (vedi nostra intervista).
Ma quello che vogliamo ricordare qui è un episodio di cui si sa poco e che ci fu raccontato da un trentino che all’epoca era paracadutista della Folgore. Aveva partecipato alla battaglia di Catania con i colleghi tedeschi Grünenteuferl, dove era stato fatto prigioniero.
Dopo varie peripezie (fughe e prigionia) accettò di combattere per il nuovo esercito italiano, come sminatore. Si trovò anche lui a Cassino, anche se non prese parte ai combattimenti. Ed è lui che mi ha raccontato l’episodio che segue.
Non si ha la pretesa di dare un valore storico a ciò che stiamo per raccontare, ma è quanto è stato riportato a noi. 

Accadde che, quando sfondarono le linee italo-desche, i Gurka si diedero al saccheggio e alla violenza. La loro efferatezza viene drammaticamente ricordata in un episodio del film La Ciociara.
Quello che non si sa è che un battaglione della Folgore, comandato pare da un altro trentino, decise di fare pulizia. Si armarono di armi automatiche e di bombe a mano, quindi fecero irruzione di notte nel campo dei Gurka e uccisero quanti ne poterono.
Come si può immaginare, l’episodio fece scalpore e pose il problema di cosa fare sia per evitare il ripetersi di violenze gratuite che per impedire vendette generalizzate.
Sempre secondo quanto ci è stato raccontato, il battaglione in questione non fu sanzionato, ma venne trasferito in Sardegna fino alla fine della guerra.
 
G. de Mozzi
 
Fotografie Wikipedia, battaglia di Montecassino.

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