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È morto Michail Seifert, il «Boia di Bolzano». Aveva 86 anni

Era stato condannato all'ergastolo per aver torturato e ucciso 18 civili quando era caporale delle SS. Molti di loro erano adolescenti

Erano le 4.00 di stamattina quando all'ospedale di Caserta ha cessato di vivere Michail Seifert, l'ex caporale delle SS passato tristemente alla storia come il «boia di Bolzano». Aveva 86 anni.
Nella sue breve carriera, tra il campo di concentramento di Fossoli e quello di Bolzano, aveva torturato e ucciso 18 civili.
Seifert stava scontando la pena dell'ergastolo nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dopo l'estradizione dal Canada.
Lo scorso 25 ottobre era caduto in carcere, rompendosi un femore. Le cause della sua morte vengono fatte risalire alle complicazioni seguite a quell'incidente.

Michail Seifert nasce a Landau, in Ucraina, Oblast di Mykolaiv, nel marzo 1924 da genitori ucraini di lingua tedesca (appartenenti a popolazioni tedesche emigrate nel 1700 nell'Impero Russo). Per le sue origini, viene soprannominato Misha.
Alla fine del 1943 viene arruolato dalle SS, con il grado di Gefreiter o Rottenführer, corrispondente al grado di caporale. Inizialmente presta servizio a Nikolajew e nel 1944 è trasferito a Stargard.

Nel 1944 viene assegnato al Comando della polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza presso il comando supremo delle SS in Italia.
Dal dicembre 1944 all'aprile 1945 è stato addetto alla vigilanza del campo di transito di Bolzano. Qui e nel campo di concentramento di Fossoli ha torturato e ucciso almeno diciotto civili, molti dei quali adolescenti.

In molti casi Seifert ha agito autonomamente, uccidendo e torturando senza alcun particolare motivo.
In altri casi ha ricevuto ordini dal sopraintendente alle celle Albino Cologna.

Mike Bongiorno fu tra i prigionieri e testimoni delle atrocità commesse da Misha.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale fugge in Canada.
Nel 1951 si stabilisce a Vancouver, dove nel 1961 acquista una casa al numero 5.471 di Commercial Street e nel 1965 sposa la moglie Christine, con la quale ha un figlio.
Nel 1969 riesce ad ottenere un passaporto canadese affermando falsamente di essere nato in Estonia, e fornendo false generalità.

Seifert è rintracciato in Canada nel 1960 dalla Croce Rossa Tedesca, anche se per la procura di Dortmund, che dal 1963 al 1971 ha condotto un'indagine sui crimini del lager di Bolzano, Seifert era disperso.

Il 17 novembre 2000 è fotografato da Bill Keay, un reporter del Vancouver Sun, su segnalazione dell'ANPI.
Le foto si sono rivelate indispensabili nell'identificare Seifert, che è stato riconosciuto da numerosi testimoni fin dalle prime fasi del processo.
Seifert è stato condannato all'ergastolo ed estradato in Italia, dove è giunto all'alba del 16 febbraio 2008.

La crudeltà di Seifert gli è valsa il soprannome di «boia di Bolzano».
Le atrocità di cui si rese responsabile insieme ad Otto Stein sono descritte in un volume pubblicato a cura dell'ANPI.

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