Sanremo. La lectio magistralis di Benigni sull’Inno di Mameli
«Viviamo in un paese memorabile, siatene felici. E se qualche volta la felicità si scorda di voi, voi non scordatevi di lei»
Benigni si è decisamente guadagnato
l'ingaggio di 250mila euro che tanto aveva fatto irritare i suoi
detrattori.
In mezzora di accalorata esegesi dell'Inno di Mameli, Benigni è
riuscito a condensare la storia del risorgimento e ricreare
l'atmosfera che lo ha generato e trasferirla a milioni di Italiani
non del tutto convinti che amare il proprio Paese non sia una cosa
insana.
Benigni era entrato dalla platea cavalcando un cavallo bianco e
sventolando un tricolore. Come Garibaldi.
Smontato e salito sul palcoscenico, ha palesemente fatto fatica a
trattenersi dalle sue feroci battute. Si la lasciato andare solo in
alcuni doppi sensi che facevano temere in una rappresentazione poco
seria.
E invece la sua spiegazione dell'Inno degli Italiani è stata un
crescendo lirico davvero emozionante, che ha convinto ognuno di noi
di essere orgogliosi di essere italiani.
Per chi come il sottoscritto è nato nell'immediato dopoguerra,
parole come tricolore, inno nazionale e
patria sono state per troppo tempo tabù neanche troppo
velati. Parlarne a favore si passava da fascisti.
Quando venne presentata, proprio a Sanremo, la canzone
L'italiano, molti dissero che Toto Cutugno aveva fatto
felice solo Almirante.
Ci sono voluti due eventi perché l'appartenenza all'Italia tornasse
ad assumere palesemente i valori originali.
La caduta di una Prima Repubblica (formata dalle contrapposizioni
ideologiche DC e PC) che aveva dovuto prendere le distanze da un
ventennio troppo fascista, troppo cocente e troppo vicino.
E (ci si perdoni quello che può sembrare un paragone irriverente) i
successi mondiali dei nostri sportivi che ci hanno fatto commuovere
in tutta intimità grazie a Inno e Bandiera che facevano eseguire e
innalzare con le loro medaglie d'oro.
La nostra gente però dentro di sé non aveva mai cessato di nutrire
rispetto per la propria italianità, tanto vero che poi
all'improvviso è tutto cambiato così come solo le nuove generazioni
riescono a fare.
E oggi Benigni ha suggellato, con il suo assolo incredibile, il
concetto che «gli Italiani vivono in un paese memorabile».
Ha ripercorso le strofe di Mameli, che a soli vent'anni era
riuscito a condensare in poche parole le fonti di un'Italia
unita.
«Mazzini, Garibaldi e Cavour - aveva esordito Benigni, per
ricordare chi ha fatto l'Italia - sono entrati in politica e poi
sono usciti più poveri di prima. Questi sì che sono politici.»
«L'Italia è il primo paese dove è nata prima la cultura e poi la
nazione. - Ha detto poi. - La storia d'Italia è una storia di
giovani e di povera gente. Il Risorgimento è stata un'epopea che
tutto il mondo ci ha invidiato.»
Una frecciatina l'ha mandata anche a Umberto Bossi, ricordandogli
la costruzione logica di una strofa dell'Inno:
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
«La vittoria è il soggetto, Umberto. La Vittoria
e non l'Italia è schiava di Roma.»
«Viviamo in un paese memorabile. - Ha detto in conclusione,
visibilmente emozionato anche lui. - Siate felici e se qualche
volta la felicità si scorda di voi, voi non scordatevi di lei. E se
la felicità è cara, non è di buona qualità.»
Infine Benigni ha offerto davvero una sorpresa: ha cantato l'Inno
di Mameli in versione «crooner».
Il crooner è un cantante che interpreta canzoni in chiave
confidenziale.
Una versione, quella della tecnica sussurrata, che ha
davvero strappato applausi come se avesse cantato con la voce
stentorea di un grande cantante.
Commenti (0 inviato)
Invia il tuo commento