L’archeologia trentina protagonista nella storia recente
Ricerca e recupero dei resti e dei caduti della Grande Guerra
L'archeologia della Grande Guerra e
le ricerche condotte alle alte quote, sul fronte del primo
conflitto mondiale, dalla Soprintendenza per i Beni librari
archivistici e archeologici della Provincia autonoma di Trento
hanno suscitato l'interesse della prestigiosa rivista «Archeologia
Viva», che nell'ultimo numero, distribuito a livello nazionale in
circa trentamila copie, dedica un ampio articolo all'attività degli
archeologi trentini.
L'attenzione della rivista si è concentrata in particolare su Punta
Linke, nel gruppo dell'Ortles-Cevedale, a 3.612 m di altitudine,
dove gli archeologi stanno riportando alla luce resti custoditi dai
ghiacci per quasi cento anni.
Nell'articolo si sottolinea il ruolo della Soprintendenza nel
portare alla conoscenza del pubblico dell'archeologia, non solo
quello dei professionisti ma anche quello dei semplici
appassionati, un nuovo campo di ricerca di questa disciplina nel
quale il Trentino sta svolgendo da anni un ruolo di capofila.
L'archeologia della guerra, infatti, e in particolare di quella
combattuta alle alte quote, è un tema di grande attualità visto che
l'azione del riscaldamento globale e il conseguente ritiro delle
coltri glaciali stanno restituendo le dolorose evidenze delle
battaglie più alte della storia.
L'archeologia mette la propria metodologia, quella dello scavo
stratigrafico e della rigorosa documentazione del contesto, al
servizio del recupero e della documentazione di queste tracce, fino
ad oggi perfettamente conservate sotto il ghiaccio.
In tale prospettiva non è il singolo oggetto a parlare e a
raccontare la propria storia ma sono le sue relazioni con gli altri
oggetti e con il contesto generale che ci forniscono le
informazioni più significative.
È lo stesso metodo adottato dai CSI americani per la raccolta e
l'interpretazione degli indizi sulle scene del crimine.
L'archeologia della guerra non intende riscrivere la storia della
Prima guerra mondiale, ma cerca di fornire indizi utili per la
ricostruzione di alcune microstorie che contengono tracce dei
grandi eventi bellici ma anche elementi di vita personale. Qualcuno
l'ha definita l'archeologia del nonno. E talora capita che ci si
imbatta proprio nei veri protagonisti di quello spaventoso evento,
i soldati caduti in battaglia.
L'articolo di «Archeologia Viva», curato da Franco Nicolis,
racconta le esperienze condotte negli ultimi anni dal team di
ricercatori del settore archeologico della Soprintendenza e della
SAP Società Archeologica di Mantova, su impulso e stimolo del Museo
di Pejo che da molti anni recupera le testimonianze della propria
storia recente.
Le ricerche hanno un carattere interdisciplinare e coinvolgono,
oltre ai volontari del Museo, studiosi di varie università italiane
interessati allo studio degli aspetti glaciologici (del gruppo fa
parte il Presidente del Comitato Glaciologico Italiano) e a quelli
entomologici (singolare il ritrovamento, in una coperta rinvenuta a
Punta Cadini, di un insetto parassita dell'uomo, il pidocchio, a
cui un soldato austriaco aveva dedicato addirittura una
poesia!).
Grande importanza, infine, viene data alle difficili operazioni di
pulizia, restauro e conservazione dei reperti condotte nei
laboratori della Soprintendenza alle quali hanno collaborato la SAT
e la Soprintendenza per i Beni storico artistici.
Nell'avvicinarsi del centenario della Prima guerra mondiale,
l'archeologia trentina intende svolgere un ruolo di disciplina
scientifica con uno stretto legame con il proprio contesto storico
e sociale e contribuire a ricostruire il tessuto della memoria
collettiva.
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