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Anniversario della morte violenta di Giannantonio Manci

Il 6 luglio 1943 si sacrificò per i suoi comopagni e per i suoi ideali

Vorrei entrare nel personaggio Manci attraverso una narrazione laterale che parla dei suoi amici repubblicani, di «Italia Libera», che corrispondeva alla grande idea di sottrarre i reduci della prima guerra mondiale all’influenza nefasta del fascismo.
Purtroppo una serie di occasioni perdute, che si sommano alle altre che finirono per consegnare l’Italia che non era fascista al fascismo.
Appare un quadro nel quale il Trentino assume una rilevanza spesso censurata. Sfuggiti entrambi all’arresto della polizia fascista e condannati al confino, verso la metà di dicembre del 1926 Egidio Reale e Randolfo Pacciardi decisero di lasciare l’Italia su invito di Ernesta Bittanti, che, alludendo in una lettera all’aria salubre delle montagne, aveva indicato loro la via da seguire.
 
Giunti a Trento, i due noti antifascisti passarono la notte di Natale in casa della famiglia Disertori, conoscenti dei Battisti.
«Una casa amica mi accoglieva allora – scrisse Egidio Reale a Beppino Disertori, anni dopo, nel settembre del 1943 – e vi trovavo nella sua nonna, tanto affetto e tante premure che mai ho dimenticato e sempre vive sono restate nella mia memoria, e nel calore dell’accoglienza, che la sua casa mi riservava, una ragione di sperare e di lottare ancora.»
 
Ad organizzare la fase successiva del viaggio furono Luigi (Gigino) Battisti, distintosi per l’organizzazione di altri numerosi espatri attraverso i valichi delle montagne del Trentino - tra cui quello di Pietro Nenni, durante il quale perdette per congelamento alcune dita di una mano - e Giannantonio Manci, definito da Egidio Reale come «uno dei migliori figli del Trentino».
Repubblicano, era aderente come Pacciardi, Reale e Gigino Battisti all’associazione antifascista «Italia Libera».
 
Manci aveva organizzato con successo numerose fughe attraverso le montagne: ricordiamo quelle di Odoardo Masini e Mario Angeloni, della moglie e delle figlie di Bruno Buozzi e di Giulia Bondanini, moglie di Fernando Schiavetti.
Egidio Reale portò sempre Manci nel cuore: nel 1945 su invito di Beppino Disertori scrisse un saggio commosso in sua memoria, nel 1954 venne a Trento per ricordarlo in pubblico con la stessa vivida emozione.
Peraltro Manci accompagnò verso la Svizzera l’8 settembre del ’43 anche la famiglia Battisti.
 
Ne fa memoria proprio Ernesta Bittanti che scrisse: «L’otto settembre 1943 disse, a noi partenti, addio. Non volle varcare il confine.
«Presentiva, in paese, la necessità di una lotta, a cui la sua fede, la sua opera, la sua vita stessa, la stessa sua morte, ch’egli non paventava, che forse sperava di poter eludere, come già aveva eluso tanti altri pericoli, erano necessarie.»
La figura di Manci viene alla luce in tutta la sua umanità generosa.
Era un naturale punto di riferimento in tutti i sensi e lo diventerà sempre più anche da un punto di vista teorico, passando dal repubblicanesimo al socialismo e individuando nell’Alpenvorland e nella sua gestione di apparente compartecipazione la tomba di ogni disegno autonomistico, corollario indispensabile per Manci e compagni di ogni liberazione: gli omicidi e gli arresti del 28 giugno ’44 si incaricheranno di dimostrarlo.
 
Mario Cossali - Anpi del Trentino

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