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Auschwitz 2015 – Dal diario di Julia Fistill

Il ricordo del Viaggio in un promemoria studentesco

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Mi appresto a scrivere una sintesi di ciò che ho vissuto durante la scorsa settimana in cui sono stata, insieme ad altri 800 ragazzi provenienti da tutta Italia - dal Trentino Alto Adige alla Sicilia - a Cracovia, per partecipare al «Promemoria Auschwitz», uno fra i progetti di memoria storica promossi dall'associazione Deina.
Cerco di scrivere alcune righe, un resoconto, anche se non sono sicura di riuscire a trasmettere per iscritto ciò che ho provato, ciò che ha reso questo viaggio uno dei più importanti della mia vita.
Lo dico perché penso sia una di quelle esperienze che possono essere capite appieno solo da chi ne prende parte in prima persona.
È tuttavia un nostro compito fondamentale, ora che siamo tornati, quello di raccontare, di riferire, di non rimanere in silenzio dopo tutto quello che abbiamo vissuto.
 
Lunedì 16 febbraio, col ritrovo dei partecipanti altoatesini e trentini in assemblea alla «Haus der Kultur» di Bolzano, ha avuto inizio il nostro percorso.
Al Brennero, il nostro treno sostava in attesa di essere riempito da noi giovani viaggiatori pronti a metterci in gioco e parzialmente inconsapevoli di ciò cui andavamo incontro.
Il viaggio è durato poco più di quindici ore, risultate però non particolarmente affaticanti, in quanto eravamo al giusto spensierati, una carovana in cui alcuni cantavano, altri suonavano, altri ancora parlavano e passeggiavano su e giù per quei vagoni che sembravano non finire, accompagnati da Radio-Promemoria, trasmessa direttamente dal vagone bar del nostro treno.
Arrivati a Cracovia il giorno seguente, martedì 17, dopo esserci sistemati nei vari ostelli, aver mangiato qualcosa per pranzo e aver raggiunto la piazza centrale della fredda ma bella e ordinata città pronta ad accoglierci per i giorni a seguire, abbiamo svolto la nostra prima attività, una «caccia al tesoro fotografica», creata al fine di far orientare noi ragazzi autonomamente nel centro, facendo in modo che ognuno di noi sapesse quindi ritrovarsi e muoversi indipendentemente.
Giunti a sera, dopo la cena passata insieme, si è conclusa così la nostra prima giornata.
 
Mercoledì 18, visita al quartiere e al ghetto ebraico, infine la Fabbrica di Oskar Schindler.
Nel corso della giornata siamo stati accompagnati da letture e testimonianze, scritte da bambini protagonisti della fase antecedente agli anni della guerra e della deportazione.
Ricordo come quelle parole rimbombassero nella nostra testa, macabro preludio della sofferenza umana che avremmo colto appieno il giorno a seguire, con la visita ai campi.
La sera ci siamo ritrovati tutti ottocento a teatro, dove è stato messo in scena lo spettacolo «La scelta», di Marco Cortesi. Ambientato durante la dissoluzione della ex-Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia (1991-1995), racconta quattro storie di famiglie che durante quello che è stato uno dei più atroci conflitti del ventesimo secolo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, hanno saputo reagire mostrando coraggio e umanità.
Ci ha dato un ulteriore spunto di ciò che significa fare memoria, facendoci ragionare su un avvenimento apparentemente esterno al nostro percorso, dove però il «Chi non conosce la storia è destinato a riviverla» di Primo Levi, ci ha ricordato essere più vicino a noi di quanto potessimo accettare.
 

 
Giovedì 19, la giornata più importante, ciò attorno a cui tutto il nostro progetto è ruotato.
Ricordo che siamo partiti presto la mattina, la giornata si presentava infatti particolarmente lunga, fredda e nuvolosa.
Arrivati ad Auschwitz, a poco più di un’ora da Cracovia, il silenzio iniziava a calare apparentemente senza un motivo razionale.
È strano da accettare, quanto il silenzio, in determinati luoghi, possa farsi sentire. Eppure era punto fondamentale del nostro essere lì, del camminare le stesse strade, del respirare la stessa aria, del vedere lo stesso cielo e le stelle baracche oggi risistemate in forma di museo, del nostro essere così, improvvisamente sopraffatti da ciò per cui avevamo provato a essere preparati, colti di sorpresa nel non esserlo, colti di sorpresa nel renderci conto che i libri di storia, i testi letti, gli incontri preparatori affrontati insieme, non erano abbastanza.
Ricordo che camminavamo in silenzio, volevamo essere soli ma allo stesso tempo ricordo come un semplice gesto di un compagno, una carezza, un abbraccio, fossero fondamentali.
 
Lasciato il campo di Auschwitz ci siamo spostati a Birkenau, poco distante. Il silenzio era nuovamente protagonista. Può sembrare strano, quanto in questi momenti degli sguardi possano essere comunicativi e quanto il fatto di essere li in gruppo, assieme a tanti altri coetanei, risulti essere indispensabile.
Le domande dentro ognuno di noi crescevano, mentre poche erano le risposte che riuscivamo a darci per spiegarci il motivo di tutto ciò che vedevamo.
Penso che ognuno di noi abbia bisogno di rielaborare col tempo quanto visto e sentito.
Tutti noi abbiamo avuto la possibilità di studiare gli eventi e i meccanismi tra i banchi di scuola, ma essere lì in prima persona risulta essere completamente diverso, anche per chi, come me, ci è già stata. Penso siano sensazioni veramente complesse da spiegare a parole.
Quando infine giunse la sera, risaliti sui nostri pullman per tornare a Cracovia, ricordo come guardando fuori dai finestrini ho visto nascere, di sfondo all’immensa pianura di Birkenau, uno dei più bei tramonti che ricordi.
È strano come solo davanti all’orrore appena visitato l’uomo sia capace di vedere con estrema semplicità la bellezza.
 
Venerdì 20 era la nostra ultima giornata completa in Polonia. La mattina il mio gruppo di trenta ragazzi altoatesini si è riunito in una sala dell’ostello. Questa era la parte critica: esternare le emozioni provate. Era un momento particolarmente coinvolgente e necessario.
Ognuno di noi sentiva, infatti, il bisogno di esprimersi, di sfogarsi, di confrontarsi, di provare ad assimilare per non rendere le impressioni provate superflue.
Era di necessario supporto condividere i propri pensieri con i compagni di viaggio.
Il pomeriggio della stessa giornata ci siamo riuniti tutti quanti all’Auditorium Maximum per l’assemblea plenaria finale.
Vederci riempire il teatro di sguardi così diversi rispetto a quelli della partenza era rincuorante. Ognuno di noi sapeva che in lui qualcosa era cambiato, o iniziava a cambiare.
Abbiamo avuto quindi l’ultima occasione per confrontarci, rispondendo a delle domande poste dagli organizzatori del progetto, ragionando insieme e arrivando così ai ringraziamenti e ai saluti finali dell’assemblea. 
 

 
Ognuno di noi educatori e staff è stato ricompensato del lavoro svolto con un applauso spontaneo e durato minuti regalato(ci) dai veri protagonisti del viaggio, i partecipanti, e contraccambiato da tutti noi.
È di fondamentale importanza sottolineare come questo percorso sia interamente progettato da ragazzi per altri ragazzi, dove l’eventuale distanza tra educatori e partecipanti viene a mancare, in quanto lo si intraprende insieme dall’inizio alla fine e ognuno di noi è li per capire e condividere le esperienza degli altri oltre che le proprie, dove ognuno di noi è in primo piano.
Quella sera abbiamo festeggiato tutti insieme. Era uno stare insieme differente dalle altre serate che ognuno passa durante l’anno. Riaffiorava in noi la necessità effettiva di poter ridere, ballare, cantare, rimbalzare alla vita.
Contrapporre ai luoghi visitati in quelle giornate la nostra libertà, la nostra gioia, la nostra vita. Insieme, e più forti di prima.
È un percorso molto particolare, porta infatti tanti giovani a vivere forti contrasti in pochi giorni, dai luoghi che si visitano al bisogno di sorridere, alla possibilità di vivere in comune negli ostelli, condividere ore di viaggio, pranzi, cene, emozioni, pensieri con decine e decine di ragazzi che alla partenza non si conoscono, concludendo il percorso con ognuno di noi consapevole del fatto che dal giorno a seguire, sulle nostre spalle, avrebbe portato con sé un bagaglio culturale molto più grande di quello della partenza.
Che nel frattempo è divenuto più ricco, più responsabile, più forte, pronto a concepire il fatto che siamo anche noi, ora, nel nostro piccolo, responsabili di ciò che significa portare memoria, di ciò che significa fare del nostro presente un tempo nostro.
Dell’importanza che significa, al giorno d’oggi, dialogare, sapere ascoltare e sapere vedere, affinché non accada ancora.
 
Julia Fistill
Classe 5ª D - Liceo artistico Vittoria - Trento

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