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Il valore del lavoro nel sistema Italia secondo E. Nesi e L. Campiglio

L'Italia è ancora una repubblica fondata sul lavoro come avevano immaginato i padri costituenti nello scrivere l'articolo primo della Carta costituzionale?

Globalizzazione mal governata, vincoli alle imprese, un sistema produttivo frammentato e un lavoro considerato puramente come merce di scambio hanno fatto perdere all'Italia competitività e produttività.
Questo il quadro desolante - con l'eccezione del Trentino - emerso ieri sera da un confronto tra l'economista Campiglio e lo scrittore-imprenditore Nesi.
Per entrambi però è possibile uscire dalla crisi puntando sulle medie imprese e sui giovani.
 
L'Italia è ancora una repubblica fondata sul lavoro come avevano immaginato i padri costituenti nello scrivere l'articolo primo della Carta costituzionale? A questo interrogativo hanno provato a rispondere ieri sera Edoardo Nesi, ex imprenditore e ora scrittore di successo, e Luigi Campiglio, professore di politica economica all'Università Cattolica di Milano in un incontro organizzato dalla cooperativa sociale Kinè all'interno dell'autunno culturale promosso dal consorzio Con.Solida.
Piuttosto desolante il quadro emerso nella serata  moderata da Enrico Franco, direttore del dorso trentino del Corriere della Sera. Secondo l'economista Campiglio la produttività italiana è frenata dalla piccola dimensione delle imprese.
«Il nostro è un Paese fondato sul lavoro solitario; secondo i dati Eurostat, infatti, più del 20% delle imprese appartiene alla cosiddetta «classe zero», ovvero quella costituita da un solo lavoratore. Una situazione che non ha pari in Europa e che si paga in termini di minor competitività e produttività e che pesa anche sul tenore di vita più precario.»
 
Secondo una corrente intellettuale diffusa a partire dagli anni ottanta «piccolo è bello»; in realtà - ha sottolineato il professore - «piccolo è fragile» e lo dimostra la dinamica dei prezzi che nel nostro Paese è cresciuta molto più che negli altri, a fronte di PIL procapite più basso.
«Nell'epoca della globalizzazione - ha aggiunto Campiglio - la produttività è data dal valore aggiunto per ora lavorata; valore aggiunto che a sua volta incorpora qualità del lavoro e dell'ambiente sociale e umano in cui avviene la produzione e si traduce in qualità del prodotto o servizio che i consumatori sono disposti a pagare. Per questo Paesi con sistema di welfare avanzati capaci di prevenire o reagire alle crisi sono più competitivi anche sul piano produttivo.»
 
L'immagine dell'Italia fondata sul lavoro è stata in qualche misura distorta dalla letteratura e dal cinema che, secondo lo scrittore Edoardo Nesi, hanno rappresentato per anni un mondo diverso dal capitalismo diffuso caratteristica del nostro Paese e di distretti industriali manifatturieri come quello di Prato in cui Nesi ha operato come imprenditore.
Un contesto in cui c'era condivisione fra titolari delle aziende e lavoratori uniti nel comune intento di fare il bene dell'impresa che era il bene di tutti; rispetto per l'attenzione maniacale alla qualità dei prodotti; possibilità per tutti quelli che si impegnavano ad avere successo.
«La globalizzazione, che a Prato si è concretizzata con l'arrivo dei cinesi - ha sostenuto Nesi - ha spazzato via tutto questo perchè non è stata governata dalla politica italiana che, al contrario di quanto hanno fatto altri governi in Europa come quello tedesco, si è limitata ad affermazioni di principio.»
 
«Il mondo che ho conosciuto e raccontato - ha affermato Nesi - sarebbe probabilmente stato condannato dalle teorie economiche che troppo spesso focalizzano l'attenzione esclusivamente sull'abbattimento dei costi. A Prato nessuno diventava ricchissimo, ma tutti guadagnavano e la filiera consentiva un benessere diffuso: dal produttore della lana, al trasportatore, dalle piccole aziende cui venivano esternalizzate piccole parti del processo produttivo, fino all'azienda che commercializzava i prodotti finiti.»
 
Concordi i due relatori nel definire l'Italia un Paese dove l'impresa e quindi il lavoro non sono tutelati, ma sottoposti a limiti sempre più stringenti.
Diverso si presenta il panorama trentino dove - ha affermato Paolo Spagni, dirigente generale del dipartimento industria e artigianato della Provincia autonoma di Trento - le istituzioni sostengono l'imprese.
«Grandi e piccole, manifatturiere e di servizi, radicalmente o parzialmente innovative. L'unica vera condizione è che ci sia una ricaduta in termini occupazionali sul territorio.»
 
Politica degli incentivi per lo sviluppo dell'occupazione sono anche quelli descritti da Antonella Chiusole, dirigente generale dell'Agenzia del Lavoro che si è soffermata in particolare sulle misure dedicate ai giovani che da un lato puntano a favorirne l'ingresso nel mercato del lavoro (ad esempio attraverso il contratto di apprendistato, gli incentivi all'assunzione e l'orientamento), dall'altro cercano di aumentarne l'occupabilità con la crescita delle competenze attraverso la formazione.
Tra le misure citate da Chiusole anche il sostengo alla stabilizzazione del lavoro giovanile con incentivi alla trasformazione dei contratti a tempo indeterminato e per l'avvio di attività imprenditoriali.
 
I protagonisti della serata non si sono tirati indietro di fronte alla domanda su quali siano le strade da percorrere per uscire dalla crisi: per Campiglio occorre incentivare la trasformazione delle piccole imprese in aziende di medie dimensioni, magari attraverso la formula cooperativa e sostenere la produttività come valore aggiunto che include qualità del lavoro e qualità del vivere sociale.
Per Nesi occorre, invece, dare spazio a giovani, i soli che possono avere visioni nuove del mondo e che oggi sono ignorati dalla classe politica ed esclusi dal sistema privato dei finanziamenti e dei crediti per lo sviluppo.

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