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«Dopo 13 anni di euro l’Italia perde con la Germania per 7 a 0»

Dopo tanti anni di moneta unica siamo più poveri, più indebitati e con molto meno lavoro – Ma tornare indietro significherebbe vanificare tutti i sacrifici fatti fin qui

Dall’avvento dell’euro ad oggi tutti i principali indicatori della condizione economica del nostro Paese sono nettamente peggiorati: la disoccupazione è passata dal 9 al 13%, il rapporto debito/Pil è cresciuto di più di venti punti percentuali mentre l’Istat ha appena certificato come il rapporto deficit/Pil sia ormai arrivato nei primi tre trimestri del 2014 al 3,7%.
Volendo poi fare un irriguardoso paragone calcistico, potremmo dire che se si giocasse oggi Italia-Germania non finirebbe certamente 4 a 3 come nell’epico scontro dell’Azteca: i tedeschi, infatti, ci batterebbero oggi 7 a 0. A tanto ammontano gli indicatori che il Centro studi «ImpresaLavoro» ha analizzato prendendo come base di partenza il 2001 (ultimo anno prima dell’entrata in circolazione dell’euro) e confrontandolo con gli ultimi dati disponibili.
Ne esce un quadro molto chiaro nella sua drammaticità: l’euro ha fortemente avvantaggiato la Germania, aumentando il divario con l’Italia e le rigidità che ci sono state imposte dalla moneta unica ci hanno impedito la flessibilità necessaria a fare riforme importanti in un tempo di crisi.
 
Veniamo ai numeri: il Pil pro-capite tedesco cresce a valore nominale del 29,5%, il nostro “solo” del 17,1%. Se prima dell’euro tra un cittadino di Roma e uno di Berlino c’era una differenza del 16%, oggi il gap è quasi di un terzo (il 28%).
I governi guidati da Schröder e Merkel hanno visto il deficit passare da una cifra di poco superiore al 3% (3,1%) a un surplus di bilancio dello 0,1.
L’Italia, invece, nonostante gli sforzi, è passata dal 3,4% del 2001 al 2,80% del 2013 fino all’attuale 3,7%.
Contemporaneamente, rispetto al Pil, il nostro debito è passato dal 104,70 al 127,9% mentre il loro dal 57,5% si è fermato al 76,9%.
Dove la moneta unica risulta determinata è però nel settore delle esportazioni.
L’export tedesco ha visto salire il suo valore nominare dell’84,3% mentre quello italiano è cresciuto del 32,3%: significa che mentre prima della moneta unica l’export tedesco valeva il doppio di quello italiano, oggi vale quasi tre volte tanto (2,8 volte).
 
Quanto alla disoccupazione, in Germania i senza lavoro sono scesi di 2,2 punti mentre la nostra disoccupazione ha fatto segnare un’impennata del 4,4%.
Se prima dell’euro il tasso di disoccupazione italiano era del 20% più elevato di quello tedesco, oggi per ogni disoccupato in Germania ce ne sono addirittura tre nel Belpaese.
«Dall’adozione della moneta unica – osserva il presidente di ImpresaLavoro Massimo Blasoni – non c’è pertanto un solo indicatore economico che non sia peggiorato nel confronto con i tedeschi.
«Crescita, debito, bilancia commerciale. Senza inflazione che ridurrebbe il peso del debito e una valuta più debole in grado di aiutare, o quantomeno non penalizzare, le esportazioni delle nostre aziende anche le riforme di cui si parla da tempo rischiano di non bastare a rilanciare l’economia del nostro paese.
«Il semestre europeo si è concluso senza risultati apprezzabili e oggi l’euro appare sempre più come una gabbia e sempre meno come un’opportunità.»
 
Le cose sono andate così per una serie di ragioni, alcune prevedibili altre imprevedibili.
Queste ultime sono collocabili nella crisi mondiale, che quando venne adottato l’euro era impossibile prevedere, ma sopratutto nelle fasi successive alla crisi. Quelle finanziarie in testa, seguite inevitabilmente da quelle economiche.
Le ragioni prevedibili sono da collocare nell’errore di base: le economie dei paesi chiamati e adottare l’euro avevano economie troppo diverse. Gli esempi di errori analoghi erano disponibili, bastava leggere quanto accaduto in Argentina, allorché vincolò l a propria moneta al dollaro.
A soffrire di più nelle condizioni di crisi – come per l’Argentina – ovviamente sono stati i paesi con l’economia più debole (come la Grecia) o in fase di forte espansione (come l’Irlanda).
 
Ma poiché i termini del problema non sono sostituibili, va trovata una soluzione. Diversamente, tutti i sacrifici fatti fin qui sarebbero stati vani.
La prima delle quali è abbassare il livello di sicurezza delle varie economie, in modo che la portante non sia più il minimo comun denominatore ma il massimo comune multiplo.
La seconda, la Germania deve adeguarsi al resto dell’Europa. È così che funziona nelle cooperative e, fino a prova contraria, l’Europa è paragonabile in tutto a una cooperativa e non certo a una società di capitali.
La terza è di natura pragmatica. Atteso che dall’Euro non si torna più indietro («non c’è un piano B» ha ricordato Draghi), si dovranno adottare tutte le misure necessarie per rilanciare l’economia, ivi compresa la stampa di nuova cartamoneta.
E, a sentire il discorso pronunciato da Renzi l’ultimo giorno dei presidenza europea, qualcosa si sta muovendo in tal senso.
 
 Le tabelle con il confronto sul sito di «Impresa-Lavoro» 
 

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