Home | Economia e Finanza | Ricerca e innovazione | «Termoformatura» delle materie plastiche

«Termoformatura» delle materie plastiche

Una lavorazione più sostenibile è possibile? La tecnologia del processo di produzione

La termoformatura è una tecnica di lavorazione che consente di stampare a caldo diversi materiali plastici, spesso in forma di lastre. Gli stampi risultanti dal processo di termoformatura si possono ottenere attraverso due modalità principali: sotto vuoto o sotto pressione. Il metodo sotto vuoto prevede che la lastra plastica venga aspirata su di uno stampo in modo da assumerne la forma e realizzare il modello desiderato. Con la procedura sotto pressione, il materiale plastico viene fisicamente premuto sullo stampo, sfruttando una forza elevata.

Una volta sotto vuoto o sotto pressione, le lastre di materiale plastico assumono delle forme prestabilite che servono per fissare oggetti con lo stesso profilo.
La tecnica della termoformatura prevede l’utilizzo di stampi in acciaio o alluminio che consentono di realizzare componenti in plastica molto sottili, dalle forme particolarmente complesse e articolate.
In questo, la termoformatura si fonde con la meccanica.
Infatti, per realizzare questi appositi stampi in metallo è richiesta una strumentazione tecnologica specifica e il know-how delle officine che si occupano della meccanica di precisione.
 
Grazie a lavorazioni CNC e di elettroerosione a filo si possono produrre stampi per la termoformatura, anche di elevata complessità, come ci spiega AR Costruzioni Meccaniche, sul sito arcostruzionimeccaniche.it, nella pagina dedicata a questa lavorazione.
La termoformatura è una procedura utilizzata per diversi scopi. Ad esempio, è possibile costruire elementi tecnici come i vassoi per la movimentazione, i carter di copertura, componenti sanitari o convogliatori dell’aria.
È inoltre utile per le aziende che necessitano di interni termoformati per oggetti quali scatole, valigie, confezioni di cartone, vassoi, o per la realizzazione di packaging destinati a diversi tipi di articoli.
 
Nello specifico, si tratta di un processo molto spesso impiegato nella realizzazione di packaging e imballaggi per il settore alimentare.
Viene considerata una tecnica efficiente e migliorativa, rispetto ad altri processi di modellizzazione delle plastiche, in termini di risparmio economico, strumenti impiegati e dimezzamento delle tempistiche di realizzazione.
Ultimamente, si sta pensando all’utilizzo di questa tecnica anche per la fabbricazione di manichini, cruscotti per le automobili e porte di frigoriferi.
 
 Continueremo ad utilizzare le plastiche?  
La dispersione nell’ambiente delle plastiche rappresenta oggi una delle principali fonti di inquinamento, in particolare degli ambienti marini.
Lo smaltimento in mare di rifiuti plastici è divenuto talmente grave negli ultimi decenni, tanto da formare in alcuni oceani delle vere e proprie isole di plastica, come quelle ben note dell’oceano Pacifico.
Se fosse possibile filtrare tutta l’acqua dei mari e degli oceani, si arriverebbe alla conclusione che ogni chilometro quadrato di acqua salata contiene all’incirca 46.000 micro particelle di plastica in sospensione.
 
La plastica è un prodotto sintetico che si conversa perfettamente per decenni e che degrada del tutto solo dopo secoli.
Se non si procede ad un corretto smaltimento o riciclo delle materie plastiche, il rischio è di deteriorare irrimediabilmente l’equilibrio di molti ecosistemi presenti in natura.
Nonostante queste nere prospettive, ad oggi solo il 20% della plastica prodotta viene successivamente smaltito o riciclato in modo corretto.
 
Per far fronte a questo urgente problema, negli ultimi anni si è cercato di contenere la produzione della plastica tradizionale a favore delle cosiddette bioplastiche.
Si tratta di una promettente alternativa in quanto le bioplastiche vengono ricavate da materiale organico e non inquinante.
La materia prima, impiegata per produrre le bioplastiche, è di origine vegetale, come grano, mais e barbabietola.
Il risultato finale è molto simile alla plastica tradizionale (derivata dal petrolio), ma 100% biodegradabile, con un tempo di decomposizione di pochi mesi.
 
Nel corso degli anni le bioplastiche hanno trovato spazio in numerosi sistemi produttivi e il loro utilizzo è aumentato soprattutto con l’introduzione di nuovi materiali.
Oggi quelli più adoperati sono il PET e i PUR bio-based, che trovano largo impiego principalmente nel mercato degli imballaggi rigidi e dei beni di largo consumo.
Le varie applicazioni delle bioplastiche si sono diffuse in quasi tutti i settori, mentre per quanto riguarda i polimeri biodegradabili e compostabili, i settori di riferimento che li vedono protagonisti sono l’agricoltura, l’orticoltura e gli imballaggi flessibili.
Meno diffuso è il loro utilizzo nel settore dei trasporti e dell’edilizia.
 
 Termoformatura delle bioplastiche  
Nei processi di stampaggio, in passato, non era contemplato l’utilizzo dei prodotti in materiale plastico riciclato in quanto si riteneva che questo processo mettesse a repentaglio la qualità del materiale. Fortunatamente, questo mito è stato presto sfatato.
Complice il dibattito mondiale sugli effetti inquinanti delle plastiche e le misure introdotte a livello europeo per ridurre la produzione di plastica e promuovere la cosiddetta Plastic Tax, si è assistito ad un interesse crescente e ad una maggiore sensibilità verso l’utilizzo di materiali alternativi, più ecosostenibili.
Questa sfida è stata accolta anche nel settore dello stampaggio e della termoformatura.
 
Infatti, le bioplastiche possono essere sottoposte ai normali processi di trasformazione senza dover subire preventive modifiche sostanziali. Vengono quindi utilizzate in diversi procedimenti per le plastiche standard, come lo stampaggio per iniezione, l’estrusione e anche la termoformatura.
La possibilità di lavorare un certo tipo di bioplastica in modo efficiente ed ottimale, dipende dalle caratteristiche tecniche di quel materiale e da quanto differiscono rispetto ai polimeri, normalmente adoperati dall’industria.
È proprio grazie alla somiglianza fra i materiali standard e le bioplastiche che è possibile impiegare quest’ultime negli stessi processi di trasformazione.
 
Per quanto riguarda le bioplastiche che presentano strutture chimiche nuove, è necessario dedicare una particolare attenzione al livello di umidità e alle temperature di lavorazione.
Infatti, essendo formate da poliesteri biodegradabili e più sensibili all’idrolisi, è possibile che le alte temperature di trasformazione vadano ad accelerare la degradazione.
Durante la scelta dei materiali è consigliabile, quindi, considerare tutte le eventuali problematiche che potrebbero insorgere durante la trasformazione.
Questo non ha però frenato la spinta all’innovazione e oggi molte aziende producono packaging ed imballaggi in bioplastica e materiali di origine vegetale, in particolare per il comparto alimentare (confezioni o stoviglie biodegradabili monouso), sperimentando nuove tecniche per la termoformatura di questi componenti.

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande