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Cittadinanza d’impresa: cosa significa e come si attua

È l'impegno delle aziende a introdurre al centro delle proprie strategie l'integrazione tra esigenze di mercato e nuove responsabilità sociali

La cittadinanza d’impresa, anche nota con la sua traduzione inglese «corporate citizenship» indica l’impegno da parte delle aziende a introdurre al centro delle proprie strategie delle nuove responsabilità sociali che si integrino con le esigenze del mercato.
Negli ultimi dieci anni alcune multinazionali hanno iniziato a formulare e implementare delle regole nelle diverse aree, come la tutela dei diritti umani e dell’ambiente, la realizzazione di standard sociali e la lotta alla corruzione.
 
 Cos’è la cittadinanza d’impresa?  
La cittadinanza di impresa, o responsabilità di impresa, indica nel gergo economico e finanziario, l’ambito che si occupa delle implicazioni etiche all’interno della visione strategica dell’azienda di riferimento.
In sintesi, indica la volontà dell’impresa di gestire in modo etico ed efficace il proprio business, considerando l’impatto sociale e ambientale che genera la propria attività.
Questo concetto si realizza tramite diverse forme e iniziative, come ad esempio partnership, interventi a favore di categorie deboli e marginalizzate e progetti volti alla sensibilizzazione sul tema ambientale.
 
Oggigiorno, scegliere di intraprendere un percorso di Responsabilità Sociale significa per un’impresa avere un elemento strategico in grado di influire positivamente sui modelli di gestione che sul governo d’impresa.
Consente poi di trarre benefici riguardanti il miglioramento dell’immagine e della reputazione, così come una più efficace gestione del rischio d’impresa e il miglioramento della gestione del capitale umano.
 
 Cittadinanza d’impresa attraverso il category management sostenibile  
Molte delle maggiori corporation hanno proposto cambiamenti concreti e iniziative in ottica di sostenibilità aziendale, tra queste troviamo Procter&Gamble, per la quale cittadinanza di impresa significa generare un impatto positivo sulla comunità, partendo anche dal category management renderlo sostenibile.
Il category management sostenibile vede come obiettivo la responsabilizzazione sia dell’industria e della grande distribuzione nella progettazione dei punti vendita, sia dei propri consumatori, i quali, con le loro scelte d’acquisto, possono realmente veicolare il cambiamento.
 
Paolo Grue, amministratore delegato e presidente di P&G, ha dichiarato: «Con il category management sostenibile proponiamo di evolvere uno strumento di business mirato alla sostenibilità economica a un approccio che ne integri la sostenibilità ambientale e sociale. È una nuova disciplina che può essere utilizzata in qualsiasi settore merceologico e che propone pochi punti fermi».
In questo modo si è sancita una netta separazione tra l’approccio al category management tradizionale e quello sostenibile.
Quest’ultimo, infatti, prevede più hotspot rilevanti della categoria che permettono di individuare le azioni volte a ridurre l’impatto ambientale e al tempo stesso in grado di far prosperare l’azienda. Lo studio parte quindi da quelli che vengono definiti Life Cycle Assessment.
 
 Quando può il category management definirsi sostenibile?  
È bene iniziare col dire che vi sono tre presupposti fondamentali per un category management sostenibile:

●    Un metodo scientifico basato sui modelli LCA;
●    Il conseguimento dei risultati misurabili in ottica di categoria;
●    L’educazione dei consumatori e del personale commerciale.

Da questi si evince che l’industria e la distribuzione debbano entrambe concordare sulla propria responsabilità, la quale non si limita più alla soddisfazione immediata del consumatore al momento dell’acquisto, ma che punta al benessere dell’intera società nel lungo periodo.

Una volta che entrambe le aree avranno instaurato questo tipo di collaborazione si potrà procedere aggiungendo alcuni step in più rispetto all’approccio tradizionale, ovvero:

●    la definizione degli hotspot più rilevanti per la categoria tramite un’analisi della letteratura;
●    la definizione di tutte le azioni capaci  di far prosperare il proprio business riducendo al tempo stesso l’impatto sociale e ambientale;
●    il monitoraggio delle azioni partendo da dati empirici, dai modelli life cycle assessment, dai dati presenti nelle simulazioni e dai KPI di business più classici.
 
Ciò che maggiormente caratterizza l’approccio sostenibile è la maggiore assunzione di responsabilità da parte dei due grandi player che entrano in campo: la distribuzione e l’industria.
Tra i vari step abbiamo citato una progettazione dei punti vendita nuova e orientata all’educazione. Infatti, orientare il cliente verso le alternative sostenibili è uno step fondamentale, in quanto il potere della scelta d’acquisto non può essere eguagliato.
Per riuscirci è necessario investire sulla formazione dei propri consumatori, i quali, più consapevoli dell’impatto dei propri acquisti, saranno in grado di prendere migliori decisioni e fornire un buon ritorno sull'investimento della sostenibilità a tutto tondo.
 
Un altro aspetto importante del metodo proposto è quella dell’universalità. Infatti, esso è applicabile in ogni ambito merceologico e può fornire dei vantaggi senza minare la competitività del brand.
La decisione finale sul retail mix rimane a carico del distributore, il quale può utilizzare le proprie competenze specifiche per orientare l’azienda.
Quindi, il percorso ideale di sostenibilità coinvolge in maniera diretta i consumatori, i quali collaborano attivamente nella creazione di nuove soluzioni green.
Un approccio circolare di questo tipo permette di concentrarsi sul singolo problema di ogni categoria, distanziandosi dall’approccio più tradizionale in cui il focus era legato alla problematica comune a tutte le categorie.

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