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Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana

Crea, il rilancio del peperoncino parte da nuove denominazioni d’origine

Sempre più ricercato e utilizzato in cucina come simbolo della gastronomia italiana. Il mondo della ricerca è oggi impegnato in un rilancio della filiera che parte da una maggiore tutela e dalla creazione di denominazioni d’origine locali.
Il peperoncino italiano è stato al centro dell'evento «I mercoledì del Gusto e dei Territori» organizzato dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), in collaborazione con la Rete Rurale Nazionale, che si è svolto a Roma nella Biblioteca storica del Crea.
Ricercatori e produttori, alla presenza del sottosegretario Mipaaf, Francesco Battistoni, hanno fatto il punto sullo stato dell’arte di questa eccellenza del made in Italy.

Per Carlo Gaudio, presidente del Crea, «l’obiettivo di questo primo appuntamento è difendere e promuovere i prodotti tipici della nostra alimentazione.
«I nostri territori hanno un patrimonio immenso fatto di eccellenze che dobbiamo proteggere.
«Una delle funzioni del Crea è proprio quella di fare ricerca e di promuovere i benefici nutrizionali e salutari delle nostre sementi.»
 
La produzione nazionale copre solo il 30% del fabbisogno e il 70% proviene da mercati extra-Ue (2mila tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia), a prezzi stracciati (un quinto in meno) e con bassi standard qualitativi che penalizzano la filiera.
Come ha fatto notare il Crea, in Italia, infatti, da 10 kg di peperoncino fresco si ottiene 1 kg di prodotto essiccato, macinato in polvere pura al 100% e commerciabile a 15 euro, mentre lo stesso prodotto proveniente dalla Cina ha un costo di 3 euro ed è il risultato di tecniche di raccolta e trasformazione molto grossolane, con le quali la piantina viene interamente triturata, con scarse garanzie di qualità e requisiti fitosanitari.
 
Alla base di un rilancio del prodotto ci potrebbe essere la creazione di denominazioni di origine territoriale che darebbero al consumatore garanzia di qualità, tracciabilità, salubrità e un valore aggiunto adeguato alla parte produttiva, incentivata ad aumentarne la coltivazione estensiva, presente oggi soprattutto in Calabria (100 ettari, con il 25% della produzione), Lazio, Basilicata, Campania e Abruzzo.
Oltre alla certificazione di qualità secondo il Crea, occorre anche un ammodernamento delle tecniche di lavorazione per abbattere i costi produttivi, a partire dal miglioramento varietale delle cultivar, per ottenere frutti concentrati sulla parte superiore ed esterna della pianta, più facilmente distaccabili nelle operazioni di raccolta con macchine agevolatrici.

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