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Questa Pasqua di sangue era già stata cantata da Bob Dylan

How many roads must a man walk down, before you call him a man? - Quante strade deve percorrere un uomo prima che possa essere definito un uomo?

Non è proprio una Pasqua felice quella di oggi.
Basta aprire una carta geografica per rendersi conto che il mondo è in guerra. E quello che in guerra non è sta a guardare non per separare i litiganti ma per intervenire nel caso fosse necessario.
La festa di Pasqua, ironia della storia, è di origini ebraiche, istituita per commemorare la libertà degli ebrei dall’Egitto.
Come per altre vicende bibliche, non è possibile trovare una diretta conferma nelle fonti egizie circa il soggiorno e la fuga degli Ebrei. Ma l’esodo di allora viene tradizionalmente collocato attorno al 1250-1230 a.C.
Come dire che sono almeno 3.500 anni che il Medio oriente è teatro di lotte di tutti i generi, perlopiù manovrate da differenti fedi religiose.
 
Quello che sta facendo oggi Netanyahu è inaccettabile, perché in questo modo non ci sarà mai un momento in cui la guerra potrà essere dichiarata vinta, ma neanche semplicemente conclusa. Quanti morti vorrà avere ancora sulla coscienza prima che la colomba torni a volare in Terra Santa?
Perché non fa come Golda Meyr? È stata una politica ucraina naturalizzata israeliana, quarto premier d'Israele e prima donna a guidare il governo del suo Paese, nonché la terza a ricoprire tale posizione a livello internazionale.
Per la Meyr le guerre andavano concluse in pochi giorni, altrimenti era meglio non farle. Per lei la vendetta era un piatto da consumare a freddo. Lo insegnano brevissime guerre avvenute del suo periodo e la fine fatta dai terroristi autori dell’attentato alle Olimpiadi di Monaco di Baviera.
Comunque sia, non si possono giustificare decine di migliaia di morti solo perché non si trova una soluzione diplomatica. Se non ci riesce, si faccia da parte. Israele deve cambiare rotta. Tornino a votare.

Invece quello che ha fatto Hamas è stata una strage orribile. Punto.
In quel vergognoso 7 ottobre sono avvenuti inverecondi crimini contro l’umanità, aggravati dalla soddisfazione di coloro che hanno sostenuto le violenze perpetrate nei confronti di persone innocenti.
Non c’è nulla che possa giustificare quello che stato fatto. Hamas deve pagare.
E la proposta di scambiare gli ostaggi nel rapporto 1:20 è immorale.
Primo, perché le persone non possono essere considerate come merce di scambio.
Secondo, perché non possono essere considerati con lo stesso peso i terroristi con gli innocenti.
Terzo, perché la maggior parte degli ostaggi nelle mani di Hamas sono privi di ogni assistenza. E chissà quanti sono morti.
Chi scende in piazza contro Israele ha ragione. Ma ha torto quando non condanna le orribili stragi che ha fatto scoppiare la guerra.
 
Sulla Ucraina attaccata dalla Russia non diciamo molto. Dal punto di vista militare non ci saranno soluzioni, né a breve né a medio termine. Non basteranno l’arruolamento di 150.000 nuovi ragazzi russi, né le nuove armi che Biden sta faticando a mandare a Kiev.
L’unica via è la trattativa diplomatica, lo sanno entrambi. Ma vogliono farlo sulla base di posizioni vantaggiose e pertanto i combattimenti continueranno sine die.
Eppure, qualcuno dovrà pur proporre la riunione a un tavolo per trovare una soluzione. Noi non vediamo segnali in tal senso, ma continuiamo a sperarci.
 
C’è infine un’altra questione che vogliamo affrontare, la posizione delle università nei confronti di Israele.
Sappiamo che in Italia le manifestazioni a favore della Palestina sono state più di 180, a fronte di una manciata a favore degli ebrei.
La crescita del clima antisemita risale a ben prima della guerra in corso. Un fenomeno che va studiato, prima di essere affrontato.
Ma quello che ci ha meravigliato è stata la posizione intransigente di due importantissime università italiane, quella di Torino e la Normale di Pisa.
Hanno deciso di estromette Israele dalle commissioni di ricerca, su proposta degli studenti e con l’avallo del Senato Accademico.
 
Le Università hanno la massima autonomia, e questo è fuori discussione.
Però anche l’autonomia della stampa è indipendente. E per questo vogliamo esprimere il parere di non approvare assolutamente queste decisioni: cultura, arte, ricerca e quant’altro non possono essere inibite da valutazioni politiche.
Le università dovrebbero saperlo e dovrebbero insegnarlo.
Comprendiamo che le masse di studenti siano presi emotivamente da fenomeni storici e sociali, ma la maggioranza non fa di per sé la verità.
La rivolta del ’68, la più importante del dopoguerra, ha generato sì le tragiche Brigate rosse, ma ha portato anche la positiva modifica generazionale del Mondo occidentale.
Per andare più indietro, gli universitari erano scesi in piazza in Italia nel 1939 a favore dell’entrata in guerra a fianco di Hitler. E lì ci è difficile trovare qualche lato positivo.
Per concludere, le spinte emotive vanno bene, ma devono anche mantenere inalterati i principi della libertà delle idee di ciascuna persona.

Di seguito il testo in inglese e in italiano della canzone di Bob Dylan, Blowing in the wind.
Sono passati più di 60 anni e nulla è cambiato. La colomba dovrà continuare a volare.

How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
Quante strade deve percorrere un uomo
prima che tu possa definirlo un uomo?
E su quanti mari deve volare una colomba
prima di riposare sulla terraferma?
E quante volte devono fischiare le palle di cannone
prima di essere proibite per sempre?
La risposta, amico mio, ascoltala nel vento,
la risposta soffia nel vento.

Per quanti anni può resistere una montagna
prima di essere erosa dal mare?
E quanti anni possono resistere gli uomini
prima che sia consentito loro di essere liberi?
E per quante volte un uomo può distogliere lo sguardo
e fingere di non vedere?
La risposta, amico mio, ascoltala nel vento,
la risposta soffia nel vento.

Quante volte un uomo deve guardare in alto
prima che possa vedere il cielo?
E quante orecchie deve avere un uomo
prima di poter sentire gli altri che piangono?
E quante morti ci vorranno prima che (l'uomo) riconosca
che troppi sono morti?
La risposta, amico mio, ascoltala nel vento,
la risposta soffia nel vento.
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