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Delegazione trentina ricevuta dal Sindaco di Gerusalemme

Nir Barkat: «In questa città possiamo vedere ebrei ultraortodossi camminare assieme a musulmani o cristiani e di ogni nazionalità»

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L'amicizia fra il Trentino e Israele ha molti aspetti.
Uno è quello della ricerca scientifica e della cooperazione economica, per così dire «certificato» recentemente dalla visita a Trento dell'ambasciatore di Israele in Italia.
Altrettanto significativo è l'impegno sul versante della pace e della promozione del dialogo fra le diverse componenti del complesso mosaico della società israeliana.
 
Una delegazione trentina, composta da rappresentanti di alcune realtà attive in questo campo, l'assessorato alla solidarietà internazionale e convivenza della Provincia, la Fondazione Fontana, le donne rurali della Coldiretti, in questi giorni in visita in Israele, è stata ricevuta oggi dal sindaco di Gerusalemme Nir Barkat.
Con loro anche le «donne per la pace» di Officina Medio Oriente.
Donne israeliane leader nelle rispettive comunità di riferimento (ebrea ortodossa e ultraortodossa, musulmana, cristiana, drusa, beduina) si erano incontrate per la prima volta a Trento due anni fa nell'ambito dell'iniziativa organizzata dall'assessore Lia Giovanazzi Beltrami e dedicata appunto al Medio Oriente.
Oggi sono impegnate in un cammino comune per promuovere i valori del rispetto reciproco, della riconciliazione, della cooperazione.
 
Si respirava un'aria davvero buona oggi nella sede della municipalità di Gerusalemme, ci viene riferito, per l'incontro fra il sindaco Barkat e la delegazione trentina, accompagnata da alcune delle "donne per la pace" che hanno animato le prime due edizioni di Officina Medio Oriente a Trento: Hedva Goldschmidt, Faten Helzinaty, Tehilabila Barshalom, Suha Ibrahim Maraee, Adina Barshalom, Dganit Fashima, Nuba Farran.
Donne che lavorano nel sociale, nel mondo dell'istruzione o dei media, donne che rivestono ruoli importanti all'interno delle comunità di riferimento, donne che per incontrarsi, ed elaborare un percorso di azioni comuni, devono superare molti ostacoli, non solo quelli presenti all'interno della società israeliana, con le sue contraddizioni e i suoi conflitti, ma anche quelli legati alla loro condizione «di genere», come si è soliti dire, ovvero in sostanza, il loro essere donne all'interno di mondi dove tradizionalmente è più spesso l'uomo ad avere potere e autorità.
Una sfida importante, dunque, quella del «G8» delle donne, come è stato battezzato il gruppo Trento, luogo rivelatosi ideale per favorire l'incontro di sensibilità così apparentemente lontane, per religione, esperienze, opportunità. Una sfida che il sindaco di Gerusalemme ha mostrato di tenere in grande considerazione.
 
Ci è stato riferito anche qualche esempio delle cose fatte in questi primi due anni.
Innanzitutto, il corso per la risoluzione pacifica dei conflitti organizzato dallo Haredim college, l'università degli ebrei ultraortodossi creata da Adina Barshalom, figlia, del Gran rabbino di Gerusalemme, con il sostegno della Provincia autonoma di Trento.
Un'esperienza unica, nata in un contesto apparentemente molto chiuso, che per l'occasione ha aperto le sue porte anche a corsiste arabe e delle altre comunità che convivono nel paese, un'esperienza che si è conclusa oggi con la consegna dei primi diplomi a quelle che diventeranno le prossime «ambasciatrici di pace» del Paese ma che proseguirà anche in futuro.
 
Un altro esempio potrebbe essere quello del centro comunitario di Lod, aperto in un quartiere degradato della città, abitato prevalentemente da beduini inurbati; il centro in passato, e nonostante la sua collocazione, era caduto in disuso, soprattutto per mancanza di fondi, e di fatto privatizzato da alcune associazioni, divenendo più un luogo di discriminazione che di incontro.
 
Ma recentemente, grazie ad un impegno congiunto delle famiglie del quartiere, è stata avviata una nuova gestione.
La direttrice della struttura è ora Faten Helzinaty, musulmana, che ha in quest'occasione in Tehilabila Barshalom il suo braccio destro.
A giorni aprirà il primo doposcuola per i bambini delle famiglie beduine del quartiere, e quindi altre attività rivolte ai giovani e alle donne.
Il centro promuove inoltre un programma per il recupero del fatiscenti condomini della zona. Con 10.000 euro si possono risanare fino a 40 appartamenti, ricorrendo al lavoro semi gratuito della popolazione. I cambiamenti, come ha potuto constatare la delegazione trentina, sono evidenti.
 
E ancora, a Tel Sheva, cittadina beduina nel deserto del Neghev, è partito un progetto della Fondazione Rashi per sostenere e migliorare la scuola pubblica.
Il progetto rientra nel programma Revadim, finanziato da una fondazione ebraica, la Rashi Foundation, e da altri donatori anche esterni ad Israele. Quella di Tel Sheva è la prima scuola beduina a esserne interessata, delle oltre 60 fino ad oggi coinvolte in tutto Israele.
 
Sono, come si vede, piccoli passi, che però significano molto. Non solo per i risultati concreti che possono portare, nella lotta alla spirale della povertà ma sopratutto perché creano legami, e fanno si che persone appartenenti a realtà molto lontane anche quando vivono praticamente gomito a gomito possano conoscersi e "fare assieme", senza peraltro rinunciare alla loro identità.
Un concetto questo ribadito anche dal sindaco di Gerusalemme nell'incontro di oggi, dopo avere ringraziato il capo di gabinetto dell'assessorato alla solidarietà internazionale e convivenza, Andrea Morghen, per avere organizzato la visita, portando anche i saluti del presidente Lorenzo Dellai e dell'assessore Lia Giovanazzi Beltrami.
 
«La nostra città è per tradizione una città aperta a tutti. – Ha dichiarato il sindaco. – Nella tradizione ebraica si dice che dopo la cattività in Egitto le tribù di Israele ebbero ognuna una terra dove abitare.
«Ma Gerusalemme non andò a nessuna tribù, perché doveva rimanere una città aperta a tutte le popolazioni e a tutte le religioni. Anche oggi noi possiamo vedere questo camminando per le strade di Gerusalemme.
«Possiamo vedere ebrei ultraortodossi camminare assieme a musulmani o cristiani, possiamo vedere gente di ogni nazionalità, di ogni credo o provenienza, vivere assieme. E questo è in fondo il fondamento stesso delle moderne democrazie.»

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