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Back from Kenya/ 2 – Seconda tappa: l’ospedale di Tabaka

Dove al sofferenza è alleviata solo dalla fede in Dio. E nelle capacità di Padre Avi

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Tabaka è un piccolo centro del Kenia occidentale, abitato da 3.000 persone, dedite perlopiù alla produzione e alla vendita di oggetti ricavati dalla pietra saponaria.
Il paese non possiede strade così come le intendiamo noi europei, perché sono sterrate e si presentano come il greto di un torrente.
Tabaka tuttavia è conosciuta in tutta l’area grazie all’ospedale che vi sorge ormai da oltre una quarantina d’anni. È il Tabaka Hospital, per molti l’ultima spiaggia, l’ultima possibilità di restare in vita, di guarire. Di tornare alla vita normale.
Venne affidato ai Camilliani nel 1976, i quali chiesero poi a padre Francesco Avi di dirigerlo. Padre Avi accettò con riserva, pensando di lasciarlo dopo breve tempo. E invece è ancora lì, fiero del suo lavoro al servizio dei poveri.
Gli manca un po’ il suo Trentino e in particolare la sua Piné, e così un amico pittore di nome Mario gli ha dipinto sulla parete una finta finestra con tanto di paesaggio sulla sua amata chiesetta.
 

Sopra, la finestra dipinta, sotto l'artista con padre Avi

 
Quando siamo giunti al Tabaka Hospital, eravamo stanchi morti. Dopo 26 ore di viaggio (otto un auto), avevamo bisogno di fare una doccia e di mangiare qualcosa.
Ad accoglierci non c’era solo padre Avi, ma anche Tiziana Tabarelli (nella prima foto seguente, con padre Avi), una dipendente della Provincia autonoma di Trento che ha chiesto ottenuto l’aspettativa di tre mesi per poter servire nell’ospedale di Tabaka. Se padre Avi rappresenta per la popolazione locale il taumaturgo mandato dalla Provvidenza, in quel momento per noi la signora Tabarelli ci era sembrata l’angelo del focolare, perché senza di lei non avremmo mai potuto gustarci degli… spaghetti al pomodoro.
Sembrerà prosaico, ma dovete crederci se in quel momento bastava così poco per far vedere le cose sotto una luce migliore…
Quella serata la passammo con padre Avi, che ci raccontò la sua incredibile storia di uomo, sacerdote, medico e chirurgo.
 

Tiziana Tabarelli con padre Avi, sotto il nostro gruppo.

 
L’attività ospedaliera in Kenia, nonostante si tratti di un paese politicamente stabile (cosa rara in Africa), è un lavoro difficile e poco gratificante, che richiede molta pazienza.
Il Kenia ha parecchie strutture come questa? ?e? ?i?n? ?t?u?t?t?e? ??l'attività febbrile ?e?d? ?entusiasta che? ?v?i viene svolta ??ha qualcosa di miracoloso.
Anche a Tabaka padre Avi ha dovuto dimenticare la mentalità efficientistica occidentale, ha dovuto identificarsi con la cultura locale, ha dovuto accettare lo stile e il ritmo imposto dalla scarsità di mezzi nelle cure terapeutiche sia fisiche che psicologiche.
«La malaria sta quasi scomparendo del tutto, – ci ha detto padre Avi. – Ma al suo posto è subentrato l’AIDS, che cominciamo ora a tenere sotto controllo. Non si guarisce, ma grazie agli aiuti della gente di buona volontà, siamo in grado di effettuare le analisi e prestare le prime cure. I più sopravvivono.»
L’ospedale può ospitare 250 persone, per curare le quali necessita di altrettanti addetti. Alcuni sono chirurghi del posto, altri sono medici, poi ci sono analisti, assistenti e infermiere.
«I pazienti principali sono anziani e bambini. – Continua padre Avi. – Una volta le donne partorivano in casa, ma adesso preferiscono venire da noi e così sono diminuite sia la mortalità causata da parto che quella infantile dovuta a mancanza di assistenza. Ogni giorno facciamo qualche parto cesareo.»
Il reparto neonatologia è dotato di incubatrici, che sono sempre occupate da piccoli inquilini. 
 

Sopra, le incubatrici, sotto gli analisti. 

 
La struttura è dotata di una TAC, regalata dalla comunità trentina, grazie a un progetto che è andato in porto qualche anno fa.
«Al momento il computer è guasto, – dice triste il nostro padre medico. – Speriamo che vengano a sistemarlo al più presto, perché altrimenti la TAC non serve.»
Ci sono tre sale operatorie, dove è sempre padre Avi a dirigere i lavori.
«Ma facciamo anche corsi di formazione. – Continua Francesco Avi. – Ogni anno 35 infermiere prendono il nostro diploma al termine di un corso biennale.»
Le infermiere diplomate sono molto ricercate in tutto il Kenia, in particolare quelle di Tabaka. Nessuna di loro rimane all’ospedale, tornano al proprio paese dove saranno utilissime.
 

Sopra, la TAC, sotto una sala operatoria. 
 
 
L’ospedale prende qualche sovvenzione dallo stato per questi corsi di formazione. Ma com’è la situazione economica?
«L’assicurazione dello Stato – ci spiega padre Avi – è molto bassa. Ma soprattutto non fa distinzioni da malattia a malattia. La frattura di una caviglia viene pagata come una peritonite. Qualcuno paga quello che può. Qualcuno non ha soldi e basta, e da qui nessuno è stato mandato via.
«Il risultato è che dobbiamo fare economia su tutti i fronti. In particolare l’energia, che costa troppo. Abbiamo il bombolone del gas, ma cerchiamo di usare il più possibile la legna da ardere. Abbiamo anche dei pannelli fotovoltaici, che in qualche modo ci aiutano.»
In effetti, la cosa che più rattrista l’ospedale che ci ha fatto visitare l’indomani, è stato il buio. Vengono utilizzate candele, lampade a petrolio e altro ancora per lasciare che l’energia elettrica vada ad alimentare macchinari ben più importanti.
 

Una pesa per verificare l'entità della poppata.
 
La mattina dopo iniziammo la visita dell’ospedale.
Come si può vedere dalle foto, le sale operatorie sono minimali, dotate degli strumenti essenziali e prive delle strumentazioni più sofisticate. Eppure funzionano bene, come un tempo da noi. E gli interventi che vengono effettuati sono anche di una certa importanza.
I laboratori di analisi sono divenuti importantissimi con l’insorgere dell’AIDS, mentre ostetricia e neonatologia sono la parte vitale del centro.
Padre Avi ci ha fatto incontrare il reparto di pediatria, che indubbiamente è il più toccante. I problemi che hanno i bambini che vi vengono ricoverati, il più delle volte nel mondo Occidentale non sarebbero mai diventati casi clinici.
Questione di cultura, forse, come per il caso del bimbo la cui infezione alle tonsille ha portato alla necrosi ossea della tibia. Padre Avi ha chiesto alla mamma se potevamo parlare con lei e lei cortesemente ci ha consentito di fotografare il suo piccolo. Il chirurgo ci ha mostrato come l’osso fosse venuto allo scoperto, per cui l’indomani mattina avrebbe dovuto essere operato per togliere le cellule ossee morte.
La cosa che mi ha personalmente commosso, è stato il sorriso che il bimbo in cura mi ha fatto quando gli ho fatto un gesto da clown… Ho pensato ai medici clown che lavorano da noi e mi sono sentito emozionare a vedere come basterebbe poco per alleviare la sofferenza.
Forse alla mia età divento più sensibile a queste cose, ma il sangue che ho visto in altre zone del Pianeta non mi hanno toccato come questi bambini, fiduciosi nelle capacità del loro chirurgo, trentino.
Non sarà l’unica volta che i bambini kenioti mi faranno provare sensazioni del genere.
 

Bimbi, in attesa di essere operati. 

 
Con l’occasione della nostra visita, alcuni operatori dell’ospedale e alcuni collaboratori della missione successiva (St Martin) avevano chiesto di insegnare loro come si fa a tenere un giornale online come il nostro e come si fa un’intervista video e magari a girare e montare un film.
Sapevamo di questa richiesta e ci eravamo preparati a tener loro delle lezioni base.
Insegnare come si fa a gestire un quotidiano online, non è stato difficile. L’importante è sapere che cosa si vuole dire, a chi ci si vuole rivolgere e cosa si vuole comunicare ai lettori. Questo è spettato al sottoscritto, così come abbiamo insegnato di massima non solo come si fanno le fotografie, ma quali foto si possono pubblicare e quali no.
Per insegnare come si fanno le riprese TV, ci ha pensato Graziano Bosin, che ha avuto la pazienza di insegnare loro per piccoli passi le fasi delle operazioni base.
In conclusione ha fatto far loro la prova di come si registra un’intervista e come si rilascia un’intervista.
Alla fine abbiamo consegnato loro dei diplomi per aver partecipato ai due piccoli corsi improvvisati.
Noi comunque ci siamo dichiarati disposti ad ospitare sull’Adigetto.it una rubrica dedicata al Kenia, pubblicando servizi in inglese e in italiano, così come le eventuali riprese che verosimilmente impareranno a girare.
 

Sopra, parliamo della nostra testata online. Sotto, Graziano Bosin spiega come si fanno le riprese. 

 
L’ospedale di Tabaka e il suo direttore Francesco Avi ci hanno insegnato molte cose.
Non tanto le considerazioni che vengono spontanee a un occidentale quando vede lo stato in cui versano i pazienti del Terzo mondo e quando il supporto tecnico sul quale possono contare gli operatori è al di sotto di una minima soglia di accettabilità.
Ma abbiamo toccato con mano la sofferenza, quella vera. Quella dettata dalla mancata conoscenza delle nozioni di base della medicina e dall’angoscia che questo genera nei pazienti ignari sulla natura dei loro mali. Quella imposta dalla mancanza di risorse personali, in un posto dove è difficile sostenere la vita già in buone condizioni di salute.
Sofferenze alleviate solo dalla speranza e dalla fiducia nelle capacità dell’uomo bianco Francesco Avi, religioso e chirurgo, e nella fede che questa figura riesce a nutrire anche quando le cose vanno male.
Alla partenza, un coro ci ha voluto dedicare delle canzoni di ringraziamento.
Non so se ci siamo meritati la loro benevolenza. Di sicuro loro si sono ampiamente meritati la nostra.
Prima di partire per la missione successiva, siamo andati a fare un giro tra gli artigiani della soap-stone, la pietra saponaria. Ne parleremo nel prossimo servizio. 
 
Guido de Mozzi
g.demozzi@yahoo.it  


Il coro che ci saluta e l'ingresso dell'ospedale
  
 
 A seguire un breve album di fotografie con altri aspetti dell'ospedale e dell'abitato 
 
Nella prima foto, un'immagine decisamente particolare. Si tratta di una bacheca che contiene una ventina di punte di freccia.
Padre Avi le ha dovute togliere, ricorrendo a delicate operazioni chirurgiche, dal corpo di persone che si sono presentate al pronto soccorso trafitte da questo tipo di arma primitiva, che da quelle parti si usa ancora.
Incidenti di questo tipo accadono ancora almeno una volta all'anno.  
 
 

Padre Avi in posa davanti ad altre finestre dipinte. Sotto, una giraffa sbircia dalla finta finestra.
  

Curioosità femminili e l?ezioni di cin?ema?????????????????.
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Sulle strade di tabaka.
 
 

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