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Una exit strategy per la Crisi Ucraina/ 3 – Di Marco Di Liddo

Terza parte: i fattori e gli obbiettivi principali che muovono la Federazione Russa

 Gli obbiettivi del Cremlino
Qualsiasi possibile soluzione alla crisi e qualsiasi evoluzione futura dello scenario politico e di sicurezza in Ucraina non possono prescindere da un confronto con la Russia.
Dunque, in questo senso, appare opportuno analizzare quali sono gli obbiettivi che la leadership russa intende realizzare in merito al dossier ucraino.
Gli scopi finali dell’azione russa sono intimamente connessi all’importanza strategica che Kiev ricopre per il Cremlino, riassumibile in tre fattori:
 
1) Fattore economico: l’economia ucraina è fortemente inter-dipendente con quella Russa in tutti i settori (primario, secondario e commerciale-servizi). Tale relazione è talmente stretta da permettere di parlare di complementarietà tra sistema produttivo russo e ucraino.
Non si tratta esclusivamente di beni, quali materie prime, semilavorati e prodotti finiti, ma anche di servizi, quali manodopera specializzata, know how e risorse umane. La Russia costituisce il maggior mercato di esportazione per l’Ucraina, reso conveniente dal tasso di cambio tra rublo e grivna. In caso di pesante rottura delle relazioni economiche, entrambi i Paesi subirebbero pesanti danni.
Tale interdipendenza e complementarietà è una chiara eredità sovietica non ancora completamente superata ai nostri giorni. Come evidenziato in precedenza, l’ingresso dell’Ucraina nell’area di libero scambio europea minaccerebbe sensibilmente i produttori russi, creando i presupposti per un pesante contraccolpo economico. 
 
2) Fattore militare. Nonostante l’annessione della Crimea e la salvaguardia delle basi sul Mar Neroo e dei complessi navali, l’Ucraina continua ad essere vitale per l’industria della difesa russa.
Infatti, nelle regioni orientali esistono agglomerati industriali che servono quasi esclusivamente la macchina bellica di Mosca, soprattutto in materia di tecnologia e componentistica per l’industria aerospaziale e missilistica. 
 
3) Fattore politico e di sicurezza. In questo caso, bisogna distinguere la politica e la sicurezza estere da quelle interne.
Per quanto riguarda il primo punto, dopo gli anni di allargamento di NATO ed UE in Europa Orientale, il Cremlino soffrirebbe la perdita di egemonia ed influenza in un’altra porzione di quello spazio geopolitico che percepisce come il proprio «giardino di casa» ed al quale è legato dalla memoria e dalla tradizione dell’esperienza zarista e sovietica.
Se l’allontanamento degli ex membri del Patto di Varsavia poteva essere tollerato in quanto si trattava di territori inglobati nel recente passato (1945) e generalmente alieni al tradizionale spazio vitale russo, questo non vale per l’Ucraina, Paese connesso alla Russia da un legame culturale, simbolico, politico ed economico talmente forte che, una parte delle rispettive società civili non concepisce una reale distinzione tra i due Stati e le due nazioni.
Inoltre, l’Ucraina rappresenta uno dei tasselli fondamentali per il definitivo decollo del progetto dell’Unione Eurasiatica, il soggetto trans-nazionale che, nelle intenzioni di Putin, dovrebbe raccogliere l’eredità geopolitica dell’Unione Sovietica.

In altre parole, la Russia potrebbe percepire l’integrazione ucraina nella NATO e nell’UE quasi alla stregua della decurtazione del proprio territorio. Per quanto riguarda la politica interna, l’eventuale perdita dell’Ucraina potrebbe rappresentare un pesante colpo alla legittimazione, al consenso e ai fondamenti stessi della leadership putinista.
Infatti, dopo aver costruito la propria ideologia sul recupero dei valori pan-russi e pan-slavisti e sulla difesa di questi, degli interessi strategici e della popolazione russa all’estera, la sconfitta ucraina si tradurrebbe in un fallimento.
A quel punto, neppure la ben oliata macchina propagandistica russa potrebbe insabbiare o nascondere il fallimento della strategia del Cremlino, aprendo una stagione di conflitti interni dall’esito imprevedibile.
Al Maidan ucraino potrebbe seguire un Maidan russo avente le stesse criticità, ossia non riuscire a realizzare pienamente le aspirazioni di riforma democratica e liberale di una parte della popolazione e trovarsi di fronte al pericolo dell’avanzamento di un pericoloso revanchismo nazionalista.
Tale prospettiva è resa verosimile anche dalla diversa strutturazione della società russa rispetto a quella ucraina.
 Ad oggi, il conservatorismo paternalista di Putin è riuscito ad assorbire e depotenziare alcuni aspetti del crescente nazionalismo panslavista russo, ma una delegittimazione di questo sistema potrebbe favorire l’ascesa di fazioni ben più oltranziste di quella oggi insediata al Cremlino.
 
In base a queste considerazioni, è possibile tracciare quella che potrebbe essere la strategia di Mosca. Lo scenario «Secessione» e lo scenario «Guerriglia» non tutelerebbero gli interessi russi in Ucraina, in quanto il primo comprometterebbe in modo drammatico e per un lungo periodo di tempo i rapporti tra Kiev e Mosca, rischiando di danneggiare ulteriormente un sistema economico messo a dura prova dalle sanzioni europee e statunitensi che, verosimilmente, sarebbero ulteriormente inasprite.
Inoltre, a quel punto l’Ucraina, priva del Donbass ribelle, potrebbe proseguire nell’integrazione NATO e UE. Nel secondo caso, sostenere la guerriglia in Donbass senza poter colloquiare con le istituzioni centrali ucraine e euroatlantiche sarebbe un inutile spreco di capitale finanziario e politico.
Lo scenario Conflitto Congelato e lo scenario “Federalizzazione” appaiono più percorribili per Putin, anche se per ragioni diverse, su un arco temporale diverso e con un payoff diverso. Nel primo caso, la Russia potrebbe vedere di buon occhio il proseguimento di una situazione di stallo politico e conflitto militare a bassa intensità per bloccare la stabilizzazione interna ucraina e, di conseguenza, impedire una qualsiasi azione di politica estera.
Naturalmente, oltre alla leva militare, il Cremlino potrebbe utilizzare forme di rappresaglia economica per rallentare il processo di integrazione europea dell’Ucraina, quali la sospensione dell’accordo di libero scambio, l’innalzamento dei dazi, il ridimensionamento degli investimenti, la cancellazione della procedura semplificata di ingresso nella Federazione nonché le restrizioni in materia di occupazione in Russia per i cittadini ucraini.
Tuttavia, l’opzione del «Conflitto Congelato» è percorribile e conveniente nel breve-medio periodo, poiché ha dei costi politici ed economici molto alti.
Infatti, il sostegno logistico ai separatisti è costoso e potrebbe suscitare qualche malumore interno tra le Forze Armate, tra i settori pacifisti della società civile e negli ambienti economici.

Stati Uniti e UE continuerebbero ad imporre sanzioni che, per quanto possano avere un pericoloso effetto boomerang, rischiano di compromettere il grande volume d’affari ed investimenti globale, soprattutto euro-russo. In questo senso, occorre sottolineare come qualsiasi risposta del Cremlino, quali ulteriore riduzione delle importazioni, restrizione dello spazio aereo o, nella peggiore delle ipotesi, sospensione, interruzione o cambiamento dei prezzi del flusso energetico, rischia di procurare danni ad entrambi gli schieramenti.
In particolare, per quanto riguarda il dossier del gas, è opportuno ricordare che alla necessità europea di acquistare corrisponde una necessità russa di vendere.
È altrettanto vero che Mosca potrebbe utilizzare la leva energetica, entro certi limiti, sia per influenzare la politica estera di certi Paesi nei confronti della questione ucraina. Inoltre, l’Europa ha bisogno dei capitali e del mercato russo, mentre la Russia non può prescindere dalle partnership con le aziende europee, dagli investimenti e dal know how europeo.
In questo senso, il rinnovato rafforzamento delle relazioni economiche e politiche tra Russia e Paesi asiatici\Paesi BRICS, in particolare Cina e India, può rappresentare una valida differenziazione per il mercato energetico e finanziario, ma non per quello tecnologico e del know how.
Se la Russia vuole modernizzare il proprio impianto produttivo ed emanciparsi dall’eccessiva dipendenza dagli introiti idrocarburici, non può prescindere dalla partnership europea, altrimenti è concreto il rischio di trasformazione in una sorta di «Arabia Saudita con l’arsenale nucleare».
Nel complesso, tali altissimi costi politici ed economici rappresentano il vero deterrente che potrebbe rendere sconveniente e sconsiderata un’eventuale invasione russa su larga scala dell’Ucraina.
Tuttavia, anche in questo caso bisogna fare esercizio di prudenza. Infatti, nonostante l’opzione militare diretta sia, ad oggi, davvero residuale, non è del tutto escludibile.

Se Mosca si sentirà minacciata dall’allargamento di UE e NATO e dalla perdita dell’Ucraina, che così alimenterebbero la classica fobia da accerchiamento russa, Il Cremlino potrebbe valutare l’idea di aumentare il sostegno ai separatisti, portando all’estremo l’attuale tattica della «guerra ibrida» fino a dotare i ribelli di un numero di uomini e mezzi tale da puntare fino a Kiev.
In definitiva, la soluzione pacifica della crisi e lo scenario «Federalizzazione» sarebbe ottimale per le necessità del Cremlino, poiché non sarebbe percepito come una sconfitta internazionale, permetterebbe di soddisfare i requisiti di politica interna attinenti alla difesa dei diritti dei russi all’estero e degli interessi strategici di Mosca e, soprattutto, interromperebbe la sanguinosa guerra delle sanzioni con l’Europa e gli Stati Uniti.
Al di là dei consueti toni della retorica russa e degli imponenti progetti di riarmo, tesi alla piena riconquista dello status di potenza mondiale di memoria sovietica e alla stimolazione dell’economia, appare difficile immaginare che Mosca ponga una diretta minaccia militare alla sicurezza dell’Europa e della NATO.
Il Cremlino, al pari di Bruxelles e Washington, è perfettamente consapevole degli enormi costi militari e politici di una simile azione e verosimilmente non intende intraprenderla.
A riprova di questa visione ci sono le azioni militari nell’estero vicino sono state intraprese da Mosca negli ultimi anni (Georgia e Ucraina) volte a limitare l’espansione dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea in aree ritenute vitali per la propria sfera d’influenza.
Inoltre, occorre ricordare come la NATO, attraverso i suoi membri baltici e l’enclave di Kaliningrad, condivida già un confine con la Federazione Russa, senza che questo abbia mai condotto a drammatiche crisi di sicurezza.
 
Il caso ucraino appare critico per le ragioni enunciate sinora e per un particolare non trascurabile, ossia l’attivo ruolo che UE e Stati Uniti hanno avuto nel sostegno a tutti quei movimenti anti-russi nello spazio post-sovietico.
Tali iniziative, per l’intrinseco significato strategico che hanno, rappresentano uno strumento di politica estera e un’azione d’influenza volta a limitare l’egemonia russa in alcune aree del mondo.
Al di là delle legittime aspirazioni delle popolazioni locali e del loro sincero sentimento democratico e riformista, non si può negare l’uso politico che Stati Uniti e UE hanno fatto e fanno della lotta per i diritti civili e politici, finanziando e sostenendo determinate rivolte per favorire l’ascesa di sistemi ed entourage di potere «alleati». 
 
Marco Di Liddo - Cesi
Fine terza parte
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