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Festival Economia: «No autodeterminazioni, sì all’Europa Politica»

Il contributo del Consiglio provinciale: Borrell Fontelles e Fabbrini d’accordo, istituzioni Ue da riformare

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C’è bisogno di un’Europa politica, che a livello di zona euro faccia fare un decisivo salto di qualità nella direzione sognata da Altiero Spinelli.
Per questa via si potrà evitare che in Europa crescano nazionalismi e micro nazionalismi, sogni di piccole patrie che non hanno futuro.Si sono espressi in modo sostanzialmente concorde, stamane in sala Depero a palazzo della Provincia di Trento, i due protagonisti del panel proposto al Festival Economia Trento dal Consiglio provinciale di Trento, con la moderazione di Steven Forti.
L’ex presidente del Parlamento europeo Josep Borrell Fontelles e il politologo Sergio Fabbrini hanno ragionato su «Le autonomie che aiutano a crescere».
A introdurre l’incontro è stato il presidente del Consiglio provinciale, Bruno Dorigatti, che ha ricordato la scommessa forte in cui s’è impegnata l’autonomia speciale trentina, per la revisione dello Statuto.

«La prevede – ha detto Dorigatti – la riforma costituzionale attualmente sotto referendum.
«Noi ci siamo già messi in movimento e stiamo costruendo la Consulta per progettare la riforma statutaria: l’organismo in luglio sarà completato con i tre ultimi membri espressione dell’associazionismo trentino.
«Anche in questa prospettiva, ci interessa rispondere a un quesito: possono i modelli istituzionali autonomistici contribuire alla competitività dei territori dentro una modernità sempre più complessa e segnata dalla competizione?
«Io credo di sì, purché vi sia grande apertura all’esterno e costante propensione all’innovazione.»
 

 
In sala Depero ha parlato per primo – in lingua spagnola castigliana – il catalano Josep Borrell Fontelles, socialista e presidente del Parlamento Ue dal 2004 al 2007 (poi tra l’altro ministro ai lavori pubblici con Gonzales e attualmente ministro del Governo ombra socialista sempre in Spagna).
Borrell Fontelles è contrario all’indipendenza della Catalogna.
«Il franchismo – ha ricordato rievocando memorie d’infanzia – impediva l’uso della lingua catalana, ma poi è arrivata la democrazia e in Spagna è stata strutturata in modo marcatamente decentrato, forse con il maggior decentramento di poteri in Europa.
«Oggi vengono riconosciute autonomie differenziate e il sistema funziona, aumentando le potenzialità locali e stimolando la crescita.
«In Catalogna da sempre c’è una quota di popolazione che non si sente spagnola e di recente è pure aumentata, in una regione ricca che ha un pil pro capite pari a quello del Veneto.
«Gli indipendentisti rimangono una minoranza, anche se decisamente egemonica e protagonista della vita pubblica.
«Perché ha tanta presa l’idea di staccarsi dalla Spagna? Anzitutto c’è stata la terribile crisi economica, che ha molto impoverito le classi medie: si è additata allora Madrid come colpevole di questa involuzione, per via di quell’8% di Pil “pagato” al potere centrale.
«Secondo motivo: il nuovo Statuto di autonomia approvato con referendum, è stato impugnato in Corte costituzionale e qui cassato in alcuni punti, un intervento sfruttato pesantemente dalla propaganda indipendentista.
«Terzo punto: la narrazione dell’indipendentismo in Catalogna è quotidiana, c’è un’egemonia mediatica in questo senso e non a caso la tv catalana ad esempio non mi fa parlare del libro che ho scritto su questi temi e che pure è il più venduto in Spagna tra i testi non fiction.
«C’è anche una tradizione di pensiero anarchico in Catalogna, che sta riprendendo forza. È scomparsa nel frattempo la pulsione indipendentista dei Paesi Baschi, l’Eta non esiste più, è cambiato tutto.
«Voglio pensare che, passata la crisi economica, con qualche aggiustamento del rapporto finanziario tra Catalogna e Spagna, le tensioni potranno stemperarsi.»
 

 
Sergio Fabbrini, direttore della Luiss School of Government e professore di scienze politiche e relazioni internazionali, ha risposto al quesito tema dell’incontro con uno «yes, but».
«Le autonomie territoriali oggi sono a rischio – dice Fabbrini – per effetto dell’insufficienza dell’attuale assetto istituzionale europeo, che andrebbe rivisto, nonché per la carenza di élite culturali lungimiranti (l’esempio dell’Austria e delle sue misure al Brennero sono un esempio di questo).»
Fabbrini è riandato al XVII secolo, alla pace di Westfalia e alla scelta di pacificare l’Europa sulla base del principio «cuius regio eius et religio». Una saggia invenzione: l’omogeneità delle istituzioni per pacificare i territori.
La formula degli Stati territoriali funzionò, ma anche attraverso la tacitazione delle differenze interne. Cosicché ci fu pace dentro gli Stati ma due terribili guerre civili europee tra Stati, chiamate guerre mondiali.
Per uscirne, uomini come Degasperi immaginarono di addomesticare allora i nazionalismi mediante la dimensione europea.
La rete tessuta a livello europeo ha portato - dopo Maastricht e la fine della guerra fredda - alla rinascita delle differenze territoriali.
Con il successo dell’Ue comincia insomma una nuova crisi, perché i territori vogliono sedere a quei tavoli intergovernativi che oggi decidono tutto a livello Ue.
Nascono anche i micronazionalismi, c’è un ritorno alle piccole patrie e alle varie Heimat.
Fabbrini dice che per risolvere queste criticità va curato il sistema istituzionale Ue, «non è possibile che un colpo di tosse a Varsavia produca una bronchite a Bruxelles».
Questa Europa statalista non funziona più, Bonn la dirige dall’alto, gli aiuti alla Grecia li decide il Bundestag.
«Salviamo l’Europa – auspica il politologo che ha anche insegnato a Trento – rilanciamo una corretta logica di governo multilevel. No all’Ue come super-Stato.»
 

 
Josep Borrell Fontell in un secondo intervento ha magnificato il Manifesto di Ventotene, appena pubblicato finalmente in lingua castigliana. Altiero Spinelli è stato l’iniziatore nel 1941 del pensiero europeista, fondamentale è stata anche la politica dei piccoli passi verso l’Europa teorizzata da Jean Monnet.
Oggi - pensando al loro coraggio - è tempo di fare l’Europa politica. Secondo Borrell Fontelles va fatta sì ma non a 28 Paesi, bensì a livello di zona euro.
«Nel frattempo, no agli indipendentismi, perché non è facendo a pezzi gli Stati che riusciremo a fare l’Europa politica. Unione politica significa anche omogeneità sul piano fiscale.
Scandalosa è oggi la frode sull’Iva tra gli Stati Ue, occorre un’autorità comune europea di gestione fiscale.
Sergio Fabbrini è sulla stessa lunghezza d’onda.
«Sì, occorre l’unione politica tra chi ci sta dentro l’Ue, per avere anche una piccola base fiscale comune, che superi sulle scelte di fondo i singoli Stati.
«Serve un patto politico tra elite culturali sapienti. Servono Stati non centralizzati - allo stesso tempo - per fare un’Europa federale e pluralista.
No invece alle battaglie per l’autodeterminazione locale, Fabbrini l’ha detto anche riferendosi alla regione trentina e altoatesina.
 
Stimolati dal pubblico, i due relatori hanno anche spezzato una lancia per i progetti di Macroregioni, come quella alpina e quella adriatica.
Ottima idea secondo Borrell Fontelles, purché siano strumenti di cooperazione. Anche secondo Fabbrini vanno bene se non sono veicoli di istanze identitarie, ma mezzi per ricucire gli strappi prodotti dalle guerre e dalla storia.
Un cenno infine al ruolo del Parlamento europeo: va rafforzato il suo ruolo in quanto voce dei popoli europei, ma la sua rappresentanza democratica non è sufficiente.

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