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Il «mobbing» e lo «straining» – Di Damiano Luchi

Lo Straining si differenzia dal Mobbing per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria: il danno da straining può avvenire anche da una sola azione ostile

Molti datori di lavoro o persone in posizioni dirigenziali adottano comportamenti ostruzionistici pensando pure di fare l'interesse dell'azienda o Ente di appartenenza. Nulla di più sbagliato.
La serenità dei dipendenti fa aumentare la produttività, la fiducia e il senso di responsabilità sono la chiave del successo poiché il mobber investe e spreca del tempo (fino oltre al 10%) nel pianificare queste condotte (eccesso di burocratizzazione, motivazione dei continui dinieghi, riunioni, mailing etc.) e il lavoratore perde gli stimoli ad applicarsi, e perde il doppio del tempo a rispondere a quelle che vive come ingiustizie.
Spesso in certi casi persino la concessione di diritti previsti dalla legge se non viene negata viene fatta vivere sempre come una gentile e «graziosa» concessione ponendo il lavoratore in una posizione di sudditanza.
Questo porta malcontento e improduttività e deteriora i rapporti umani quando non si configura come vero e proprio illecito.
Se ad esempio per la concessione di un permesso studio di alcune ore se ne devono perdere altrettante nel compilare moduli, richiedere incontri, verificare con gli enti erogatori di prassi ed ogni volta la veridicità delle dichiarazioni del dipendente è certamente una sconfitta e l'evidenza di una mancanza di fiducia non può che avere aspetti deleteri nella condotta del collaboratore. Va fatta sempre una analisi generale di benefici e svantaggi.

Lo Straining si differenzia dal Mobbing per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria. Il danno da straining: è sufficiente anche una sola azione ostile.
Lo Straining, dall’inglese «to strain», ha un significato molto simile a quello di «to stress», stringere, distorcere, mettere sotto pressione e indica, infatti, una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima (il lavoratore), subisce da parte dell’aggressore (lo strainer) che solitamente è un superiore, almeno un’azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo.
La vittima, inoltre, deve trovarsi in persistente inferiorità rispetto allo strainer, la cui azione viene diretta volontariamente contro una o più persone, sempre in maniera discriminante.
Il «mobbing» (dall’inglese «to mob», verbo che significa «aggredire, attaccare») consiste in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Il mobbing viene catalogato tra le cosiddette «disfunzioni lavorative» ed è un fenomeno piuttosto diffuso, principalmente oggetto di studio di discipline quali la sociologia e la psicologia.
 
Il primo capitolo verrà quindi dedicato a inquadrare e definire il mobbing dal punto di vista sociologico (anche accennando agli studi dei maggiori esperti del settore, gli psicologi Leymann e Ege), confrontandolo con le altre tipologie di disfunzioni lavorative e analizzando le patologie che da esso possono derivare.
Dal punto di vista giuridico, il fenomeno non è ancora stato disciplinato legalmente, né in ambito civilistico né tantomeno in quello penalistico.
Non esiste nella legislazione vigente uno specifico reato di mobbing. Tuttavia, considerata la varietà di forme che le condotte persecutorie possono assumere nei casi concreti, alcuni dei comportamenti posti in essere dal mobber potrebbero talvolta integrare fattispecie criminose previste dal codice penale a tutela dell’incolumità individuale, dell’onore, della libertà personale e morale
Una disposizione è contenuta nell’articolo 2087 Cod. civ., norma di carattere generale che tutela le condizioni di lavoro, imponendo al datore l’obbligo di garantire la salute e l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti oppure nel pubblico impiego si può arrivare a configurare il reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), allorché le condotte vessatorie siano poste in essere da soggetti muniti della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio
 
Il mobbing non è necessariamente rappresentato da una serie di comportamenti illeciti, vietati dalla legge, ma buon ben essere costituito da atti leciti, ripetuti con intento vessatorio, ossia con lo scopo di nuocere.
Si pensi al caso del datore di lavoro che, sistematicamente, tutti gli anni, neghi a un dipendente di godere delle ferie nel mese di agosto, obbligandolo a fruirne a giugno o a settembre ed impedendogli così di raggiungere il resto della famiglia al mare: se anche è vero che, nell’ambito dell’organizzazione dell’azienda, il datore potrebbe occasionalmente negare le ferie nel periodo richiesto dal dipendente, una reiterazione di questo tipo potrebbe essere dettata però da un secondo fine, quello appunto del danneggiamento.
È quindi l’intento psicologico di arrecare danno (ingiusto) a rendere rilevanti ai fini del mobbing atti di per sé stessi leciti. In altri termini, azioni lecite, organizzate in sequela, con intento vessatorio, degradano ad azioni illecite, idonee a cagionare un danno che altrimenti non sarebbero in grado di causare. Quindi è l’intento vessatorio a caratterizzare maggiormente la fattispecie del mobbing e non sempre è facile da provare in giudizio.
 
Il secondo elemento del mobbing, come detto, è l’intento persecutorio, ossia lo scopo, il fine, cui sono diretti i singoli e ripetuti atti del datore di lavoro.
Anche qui la Cassazione offre un valido chiarimento di cosa si debba intendere per «intento persecutorio». Ai fini della configurabilità del mobbing l’elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di aver subito la condotta vessatoria, va ricercato nell’intento persecutorio che li unifica.
Secondo la Cassazione, una successione di constatazioni e provvedimenti disciplinari non costituiscono indice automatico di una condotta persecutoria del datore di lavoro, nemmeno nel caso in cui questi provvedimenti si siano rivelati, a seguito di una procedura di impugnazione, illegittimi.
Affinché questi comportamenti possano costituire indice di una condotta assimilabile al mobbing, infatti, è necessario ottenere la prova concreta della finalità persecutoria.
 
Le possibili iniziative pregiudizievoli del lavoro sono ad esempio, il graduale e progressivo svuotamento delle mansioni, la progressiva inattività coatta, la continua reiterazione di sanzioni disciplinari ingiustificate, le continue e ossessive visite mediche di controllo dello stato di malattia, anche in presenza di una patologia ripetutamente accertata e comprovata nella sua gravità.
Lo Straining è una condizione psicologica posta a metà strada tra il Mobbing e il semplice stress occupazionale.
La Suprema Corte con sentenza n. 3291 del 19 febbraio 2016 (Pres. Stile, Rel. Tria) ha affermato la Cassazione che è condannabile i ldatore di lavoro quando sia stata accertato il compimento di una condotta contraria all'art. 2087 cod. Civ. e alla successiva normativa in materia, di importazione comunitaria, senza che abbia rilievo - sotto il profilo di una eventuale ultrapetizione - la originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing e non da straining, in tale diversa qualificazione (mutuata dalla scienza medica).

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