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«Ministro, pensa che io riuscirò a vedere il Ponte di Messina?»

La risposta di Salvini in conferenza stampa è senza dubbi: «Le garantisco di sì: è un tratto fondamentale per il corridoio Berlino-Palermo»

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Si parla del ponte di Messina dai tempi del governo Lamarmora 1866, quando il suo ministro ai Lavori Pubblici pensò all’ipotesi in un periodo in cui il mondo stava realizzando le opere più avveniristiche, come il Canale di Suez e, per non andare lontani, la ferrovia del Brennero.
Ma il progetto non fu neanche messo sulla carta, d’altronde l’Italia aveva i suoi grattacapi generati dalla Terza Guerra d’Indipendenza, con la sconfitta di Custoza e la disfatta navale a Lissa.
Sconfitte che però non ci impedirono di vincere la guerra. La storia italiana è piena di questi ossimori…
 
Comunque sia, il Ponte di Messina fu dimenticato per cent’anni. Nel 1965 qualche politico temerario pensò di studiare la fattibilità.
Nel 1968 l’Anas indice un concorso di idee internazionale denominato Progetto 80. Tra i vincitori c’è l’ingegnere Sergio Musmeci che pensa a un ponte a una campata con due piloni alti 600 metri sulla terraferma per evitare di dover lavorare sul disastroso fondo marino dello stretto: instabile e a forma di V. Lo stesso Musmeci però non lo considera fattibile perché non esistono ancora materiali adatti a garantire la sicurezza per sostenere quei 3 km. Troppe vibrazioni legate al vento.
 
Nonostante questo, la Legge 17 dicembre 1971 n. 1158 promulgata con il governo democristiano Colombo (presidente Saragat) istituisce la nascita di un progetto dell’Iri.
È questo l’atto fondativo del ponte, anche se bisognerà aspettare l’11 giugno del 1981 per vedere nascere la società «Stretto di Messina Spa». E nascerà in un vuoto di potere: il governo Forlani era caduto in maggio e il governo Spadolini si instaurerà solo il 28 giugno.
Inizia a partire da qui il tassametro dei costi per lo Stato. Tra il 1981 e il 1997 vengono spesi 135 miliardi di lire per vari studi più o meno di fattibilità.
 
Ma è il governo Berlusconi che passa ai fatti. Su progetto a campata unica con Pietro Lunardi ministro delle Infrastrutture, nel 2003, viene aperto un primo cantiere a Cannitello per spostare la rete ferroviaria che passa proprio dove viene fatto un buco grande come un campo da calcio e profondo 60 metri per l’ancoraggio dei cavi.
Il conto totale in euro, al 2003, è già salito a oltre 130 milioni (fonte Corte dei Conti).
Nel frattempo erano già morte sia l’Iri che la Democrazia Cristina che avevano avviato l’idea.
La società Stretto di Messina finisce dunque dopo vari cambi per essere controllata nel 2007 all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato) e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia.
Con il ritorno a Palazzo Chigi di Prodi il progetto frena, per ripartire due anni dopo con il Berlusconi IV.
Di pari passo c’è il braccio di ferro fra i sostenitori: porterà sviluppo al Mezzogiorno e sarà una grande attrazione turistica. E i detrattori: bisogna prima modernizzare i trasporti della Sicilia e Calabria. Sopra le parti una nutrita schiera di ingegneri pone l’annosa questione legata alla sicurezza dell’infrastruttura.
 
Arriviamo al 2013, quando il premier Mario Monti (siamo in piena austerity e pulizia dei conti) chiude la partita e la Società Stretto di Messina viene messa in liquidazione e affidata a Vincenzo Fortunato, avvocato e già capo di gabinetto del ministro Giulio Tremonti nel secondo governo Berlusconi, ma anche di Lunardi e Di Pietro.
Lavora anche per lo stesso governo Monti e conosce molto bene la storia del Ponte, dunque sembra essere la persona giusta per chiudere la faccenda velocemente: per lui è previsto un compenso da 120 mila euro l’anno come parte fissa, più 40 mila di parte variabile.
Ma proprio i bilanci della società in liquidazione sono una fonte certa per i veri costi del ponte.
 
All’atto della messa in liquidazione la società aveva terreni per 3.739 euro, 127 mila euro di macchinari e 312,3 milioni di valore della concessione Ponte sullo Stretto, 78 milioni di depositi bancari e postali e 6.241 euro in cassa.
Il costo più alto è quello per il personale: 2 milioni tra salari, stipendi e oneri sociali.
Si legge sempre nel bilancio 2013: SdM ha promosso un’azione di risarcimento del danno nei confronti del contraente generale a motivo dell’illegittimo recesso esercitato.
Si tratta dell’attivo patrimoniale: 312 milioni più un incremento del 10% per danni subiti.

Dunque 342,7 milioni tra buchi fatti nel terreno e continui studi di fattibilità che diventano 325,7 milioni perché 17 milioni erano già stati versati.
Possiamo dire che al 2013 il costo effettivo del ponte è di 342 milioni. Soldi che devono essere pagati nonostante la messa in liquidazione e nonostante non valgano più nulla perché il commissario è tenuto a recuperare tutto ciò che può per risarcire i creditori (lo Stato stesso).
Il governo Monti aveva previsto 300 milioni di euro per coprire le pretese della società sperando che venisse chiuso tutto in 12 mesi.
Ma nove anni dopo la Stretto di Messina è ancora in piedi. Durante il Governo Conte II la legge di bilancio ne aveva previsto la chiusura forzosa ma l’articolo era stato stralciato.
 
All’atto della messa in liquidazione la società aveva terreni per 3.739 euro, 127 mila euro di macchinari e 312,3 milioni di valore della concessione Ponte sullo Stretto, 78 milioni di depositi bancari e postali e 6.241 euro in cassa.
Il costo più alto è quello per il personale: 2 milioni tra salari, stipendi e oneri sociali. Si legge sempre nel bilancio 2013: SdM ha promosso un’azione di risarcimento del danno nei confronti del contraente generale a motivo dell’illegittimo recesso esercitato.
Si tratta dell’attivo patrimoniale: 312 milioni più un incremento del 10% per danni subiti. Dunque 342,7 milioni tra buchi fatti nel terreno e continui studi di fattibilità che diventano 325,7 milioni perché 17 milioni erano già stati versati.
 
Insomma, a tutt’oggi il Ponte di Messina è costato 1,2 miliardi euro.
In tutto costerà circa 7 miliardi, conferiti da Regione Calabria e Sicilia, dallo Stato Italiano, dall’ANAS, dalle Ferrovie dello Sato e dall’Europa.
Stamattina il ministro delle Infrastrutture del Governo Meloni, Matteo Salvini, in visita in Trentino per constatare lo stato dei lavori delle grandi opere e per fare passi avanti con la concessione dell’Autostrada del Brennero, ha tenuto una conferenza stampa
Al temine il nostro Guido de Mozzi ha chiesto al Ministro conferma della volontà di costruire il Ponte di Messina.

«Signor ministro, lei pensa che riuscirò a vedere la fine del ponte di Messina?»
La domanda non era peregrina, vista l’età di Guido de Mozzi.
«Certo che la vedrà! – Esclama Salvini. – È un tratto integrato del corridoio Berlino-Palermo.»
Come dire che i treni ad alta velocità della Sicilia verranno fatti proprio in funzione del ponte.
«Il risparmio in termini economici e ambientali sarà enorme.» – Aggiunge il ministro.
Quindi susciterà anche molti malumori in un ambiente in cui la mafia è parte integrante dell’economia.
La realizzazione del ponte potrebbe quindi segnare un grande punto di partenza per le regioni Calabria e Sicilia.

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