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Sembrano giornali locali ma sono siti di propaganda politica

Il cattivo esempio proviene dagli USA: quando la diffusione pilotata delle fake news diventa uno strumento vergognoso di propaganda distorta

La situazione americana, come spesso accade nell’ambito dell’innovazione e del cambiamento, potrebbe essere precorritrice di nuove trasformazioni nel mondo dell’informazione.
Negli USA sono nati -e crescono ancora di numero- centinaia di siti di propaganda politica (almeno 450) mascherati da testate online di informazione locale, i quali diffondono un numero ingente di articoli generati con algoritmi che utilizzano comunicati stampa e dati pubblici per comporre i testi.
È stata un’indagine del Tow Center for Digital Journalism della Columbia Journalism School a far emergere il fenomeno.
Queste false testate utilizzano anche i dati degli utenti in rete per fare propaganda mirata su temi caldi nel Paese e per spingere maggiormente argomenti cari alla parte politica per cui sono stati creati.
 
Diffondono gli articoli non solo sul web, ma anche su versioni cartacee appositamente create per lo scopo: dalla ricerca risulta che la loro presenza sui social media è minima.
Il fenomeno si è sviluppato soprattutto a causa della scomparsa dell’informazione locale in alcune aree del territorio americano, i siti hanno riempito un vuoto informativo con notizie create ad hoc per un determinato tipo di pubblico.
Lo studio afferma che dal 25 novembre al 18 dicembre 2019 questi siti hanno pubblicato circa 50mila articoli, schierati politicamente a favore delle idee repubblicane, attaccando e denigrando i democratici: «Questi siti possono manipolare l’opinione pubblica sfruttando la fiducia degli americani nei media locali», continua la ricerca.
 
L’idea probabilmente deriva da un uomo d’affari, conservatore, Brian Timpone, che sembra essere collegato tutti i 12 gruppi di siti fake che sono stati individuati.
Timpone nel 2012 aveva creato Journatic una società che aveva lo scopo di generare articoli in modo automatizzato, abbattendo quindi i costi del lavoro giornalistico umano.
Lo studio della Columbia Journalism School si è inoltre basato anche si indagini di vari giornali americani che hanno denunciato il fenomeno: ciò che emerge è che questi siti sono finanziati da lobby repubblicane se non direttamente da determinate figure politiche.
Quanto sono pericolosi questi siti? Quanto realmente indirizzano o manipolano l’opinione pubblica?

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