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Avvocati, l'esame è sempre più a rilento – Di Damiano Luchi

Una categoria da un passato glorioso alle prese con le difficoltà che aumentano specie in tempo di pandemia

Con la attuale crisi legata al covid 19 sono emersi ancora di più i problemi dell'avvocatura, infatti a fianco dei grossi studi consolidati si sono palesate le molte difficoltà dei giovani avvocati, anche loro come tutto il popolo della P.iva, sottovalutato e forse dimenticato dal governo.
Ancora più grave se gli avvocati stanno male è la situazione dei praticanti che stanno compiendo o hanno da poco completato il percorso formativo per fare l'esame di abilitazione.
I risultati dei tre elaborati scritti di dicembre arrivano già da sempre molto tardi, solitamente entro il 30 giugno dell'anno successivo e le prove orali si sono normalmente sostenute tra l’estate e l’autunno.
Quest’anno non sarà così. Molti praticanti sono stanchi di aspettare e hanno chiesto al ministero della Giustizia di sbloccare la situazione.
Purtroppo ad oggi il guardasigilli Bonafede, pure lui avvocato, non sta dando le risposte auspicate.
 
Con il decreto dell′8 aprile è stata bloccata la correzione delle prove, che nelle corti d’Appello più grandi arriva in piena estate, è stata bloccata ed ora si riparte con forte ritardo.
Varie associazioni di praticanti avvocati si sono fatte sentire, una manifestazione è stata autorizzata in Roma il 4 giugno perché la soluzione ai problemi pare troppo lontana.
Le associazioni di praticanti avvocati AIPAVV (Associazione Italiana Praticanti Avvocati) e l'UPA (Unione Praticanti Avvocati), presiedute da Artan Xhepa e Claudia Majolo, avevano inviato una lettera al ministro della Giustizia per sollecitare e proporre soluzioni in merito agli esami rimasti «congelati» a causa della pandemia.
Le associazioni chiedono l'abilitazione «de plano» all'Ordine e, in subordine, l'ammissione all'orale di tutti i partecipanti alla prova scritta. Sia da spunto questo problema per valutare anche una riforma strutturale dell'esame.
 
Riferiscono «il governo ha abilitato i laureati in Medicina in quanto si riteneva necessaria l'abilitazione immediata per il contrasto al virus.
«Ora, addirittura, vuole abilitare de plano anche odontoiatri, farmacisti, veterinari, tecnologici alimentari, commercialisti ed esperti contabili» – e visto che – «ormai sono state date risposte a molte categorie professionali che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria riteniamo necessario e urgente dare risposte ai praticanti avvocati di oggi e domani.»
 
In effetti le tempistiche sono da sempre lunghissime ed è profondamente ingiusto, la pandemia ha di fatto esasperato le problematiche già evidenti.
Oltre 6 mesi per correggere degli scritti è singolare e inopportuno soprattutto per coloro che si devono organizzare per studiare o meno per gli eventuali orali.
Per quanto ambita la professione resta un lavoro e come tale dovrebbe essere anche tutelato.
Oggi tutto è fatto con la tecnologia, le banche dati on line i computer, invece l’esame di Stato da Avvocato è rimasto quello di un tempo ottocentesco dove si scrivevano gli atti a mano e si consultavano enormi codici, ancora molto costosi e che ogni anno vanno riacquistati perché già vecchi.
 
Le numerose richieste di riforma sia dell’esame che della legge professionale si susseguono da anni, ma il mese scorso l’On. Bignami (FDI) ha presentato in Parlamento una proposta (la n° 2030 per la riforma della L. Professionale 247/2012) molto chiara ed interessante, che prevede tra l’altro di eliminare l’obbligo di iscrizione alla Cassa forense da parte degli avvocati.
Nei punti principali inoltre l’eliminazione del divieto di lavoro subordinato per gli avvocati, l’obbligo di rimborso spese al praticante e la possibilità di istituire il «patto quota lite» (pagamento per il cliente anche subordinato al risultato).
La meritocrazia come il merito è assolutamente un valore da incentivare ma gli ostacoli per poter esercitare una professione sono oggi sempre meno comprensibili.

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