La valìs lizéra: «El Piave» la fabbrica scomparsa
Martedì 8 marzo 2016 alle ore 18.00 nel Laboratorio Arte Grafica della Biblioteca civica «G. Tartarotti» di Rovereto
Incontro con la poetessa Lia Cinà Bezzi che presenterà i suoi libri in dialetto roveretano e in lingua italiana.
La stessa Autrice leggerà il racconto «La valìs lizéra», storia di una giovanissima operaia che entra in fabbrica (la Pirelli, detta «Piave») e insieme nell'età adulta, con il suo bagaglio di sogni e speranze.
Il racconto ci restituisce un pezzo importante della storia operaia e industriale della Città della Quercia, rivelando con mano leggera la durezza di una condizione umana che, nel secondo dopoguerra, accomunava moltissime donne. Con il contributo di Mario Cossali.
La valìs lizéra di Lia Cinà Bezzi, poetessa in dialetto roveretano e in lingua (educata peraltro anche alla pittura da Piero Coelli e Diego Costa), è quella dei sogni e dei ricordi d’infanzia ed è proprio dal gran sipario dei ricordi familiari che emerge la figura della fabbrica.
Sono volti e luoghi, soprattutto un luogo, quello della Pirelli cresciuta a Rovereto dal 1925 e arrivata con il tempo a seicento occupati, in grande maggioranza donne.
Quella Pirelli chiamata da tutti Piave. El Piave perché? Probabilmente all’origine di questo nome popolare ci stanno le quaranta operaie friulane che erano state chiamate a Rovereto a far da maestre per avviare la produzione.
La valìs lizéra scorre veloce nell’alveo di un dialetto vivace e creativo eppure attentissimo alla lezione filologica, come è del resto tutta la produzione poetica di Lia Cinà Bezzi, con riferimento particolare alle due raccolte di poesie dialettali pubblicate, Migole de vita e Spaventapasseri e altre storie.
Peraltro la nostra poetessa ha appena pubblicato una raccolta in lingua italiana, Vado frugando un vento che si perde, che fa seguito ad un impegno di molti anni in tale direzione.
Poesie certo, ma anche racconti, come La valìs lizéra che ci restituisce un pezzo importante della storia operaia e industriale della Città della Quercia, rivelando con mano leggera la durezza di una condizione umana e la precarietà sociale di un’intera stagione, quella dell’immediato secondo dopoguerra.
La giovanissima operaia entra in fabbrica e insieme nell’età adulta, vede con i propri occhi, non distoglie lo sguardo dalla realtà, ma sa conservarsi la sosta dei e nei sogni.
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