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Trofeo Beppe Viola, il messaggio di «Calcerò»: i giovani la svolta

Campioni, tecnici e giornalisti protagonisti della serata-dibattito al Casinò di Arco: Antognoni, Fanna, Maran, Condò, Turrini, Bianchin e Passerini


Pietro Fanna, Domenico Volpati, Leo Turrini e Giancarlo Antognoni - Photo Piermarco Tacca.
 
Da Arco arriva un messaggio forte e chiaro: la crescita dei settori giovanili può essere la svolta per un graduale ritorno del calcio italiano ai tempi in cui la Serie A era il campionato più bello del mondo.
È quello che in estrema sintesi è emerso da «Calcerò: bandiere, radici, talenti», l’incontro-dibattito che ha visto coinvolti molti volti noti sul palco del Casinò di Arco, nella giornata di riposo del 46° Trofeo Beppe Viola.
Il salone delle conferenze, affollato di addetti ai lavori, giovani atleti e atlete e tanti appassionati, ha vissuto in diretta i racconti e le esperienze di numerosi personaggi introdotti dal benvenuto di Marco Benedetti, presidente del comitato organizzatore, e dai saluti di Tiziano Mellarini, Assessore allo Sport della Provincia autonoma di Trento, Stefano Bresciani, vicesindaco di Arco, e il presidente del comitato provinciale Figc di Trento, Ettore Pellizzari.
 
La serata, magistralmente condotta da Leo Turrini, ha visto avvicendarsi sul palco campioni del passato, dirigenti, tecnici e giornalisti: Giancarlo Antognoni, Pietro Fanna, Domenico Volpati, Paolo Condò, Carlos Passerini, Luca Bianchin, il blogger Francesco Federico Pagani, Massimo Pinamonti (papà del 18enne dell’Inter Andrea, nato in Val di Non), Drazen Bolic, i due allenatori finalisti del torneo Zarko Lazetic (Partizan) e Massimo Brambilla (Atalanta), e infine il tecnico del ChievoVerona Rolando Maran, votato dai partecipanti al «Beppe Viola» come «Allenatore dei sogni 2017».
Le due ore del gustoso botta e risposta sono stati un concentrato di idee, progetti, opinioni sul calcio giovanile, patrimonio di valori al quale le società si stanno dedicando con sempre maggiore impegno e ottimi risultati. Lo conferma la crescita di molti talenti nati e cresciuti nel nostro paese: campioni «fatti in casa» grazie ai quali da qualche tempo si parla di svolta che potrebbe riportare a una nuova importante fase di crescita, e comunque condizione imprescindibile per lo sviluppo futuro.
 

Tiziano Mellarini conferisce a Rolando Maran il premio «Allenatore dei Sogni» - Photo Piermarco Tacca.
 
 La sintesi degli interventi 
Giancarlo Antognoni (dirigente e ambassador della Fiorentina).
«Bisogna tornare a puntare sul giocatore italiano, perché ti dà garanzie maggiori. Chi ha una base italiana, come la Juventus, è avvantaggiato.
«Dal punto di vista tecnico, gli italiani non sono secondi a nessuno. Se in un periodo è mancata la qualità, è perché si è puntato sulla ricerca della fisicità.
«Ma oggi si sta tornando a investire su giocatori che fanno la differenza.»
 
Domenico Volpati (ex calciatore del Verona Campione d’Italia 1985).
«Insieme al calcio è sempre importante tenere nella massima considerazione lo studio: se non ti prepari a qualcosa di diverso da un mondo come quello del calcio, che non è reale, diventa molto difficile affrontare il dopo carriera a 35 anni.
«Sono le motivazioni a fare la differenza, se ci sono quelle si può abbinare la carriera calcistica allo studio.»
 
Carlos Passerini (Il Corriere della Sera).
«L’emergenza sta spingendo le società a guardarsi in casa. La controriforma però è solo all’inizio: in realtà il minutaggio degli italiani nella Serie A è calato rispetto allo scorso anno, ma di contro c’è maggiore spazio per i più giovani: i nati dopo il 1° gennaio 1996 hanno fino ad ora giocato 30mila minuti totali e in questa statistica la Serie A è seconda solo alla Ligue 1 francese.»
 
Luca Bianchin (La Gazzetta dello Sport).
«Nel nostro Paese manca anche quell’attenzione popolare al calcio giovanile che c’è altrove: credo che in pochi sappiano che a maggio la Corea del Sud ospiterà il Mondiale Under 20.»
 
Paolo Condò (Opinionista SKY).
«Nell’ultimo anno è stato evidente un ritorno della quantità e della qualità dei giocatori italiani in Serie A, grazie al contributo di alcuni vivai come Atalanta, Roma, Fiorentina, Milan e Torino.
«Penso che all’interno di ogni centro sportivo sia importante la convivenza di tutte le squadre del club: dai più piccoli fino al top team: il ragazzo deve vedere al campione non come un idolo inarrivabile di cui imitare le pettinature, ma come un esempio a portata di sguardo cui rubare il mestiere.
«Un po’ come succedeva con i ragazzini del Manchester United, che emulavano Cristiano Ronaldo quando andava ad allenarsi col pallone sui terreni irregolari fuori dallo stadio.»
 
Massimo Brambilla (Allenatore Atalanta Under 17).
«Il segreto del modello Atalanta? Cercare e trovare i giocatori che hanno abilità tecniche sopra la media e poi educarli in maniera esemplare: è un segno distintivo dei nostri giocatori.»
 
Drazen Bolic (Manager Partizan Belgrado).
«Viste le difficoltà economiche dei club, in Serbia formare i giocatori è l’unica via di uscita. Dopo la guerra, molte squadre hanno dovuto fare a meno degli aiuti delle grandi aziende.
«Il Partizan è stato il primo club ad aprire il proprio centro sportivo, con sette campi in erba sintetica, e investire sul settore giovanile. I talenti ci sono, abbiamo vinto un Mondiale e un Europeo giovanile, bisogna saperli distogliere dalle lusinghe dei club esteri quando non sono ancora ventenni.»
 
Rolando Maran (Allenatore Chievo Verona).
«Credo che oggi il ritorno all’italianità sia un chiaro obiettivo e che sia possibile costruire uno zoccolo duro cui aggiungere stranieri di livello.
«Può essere una strada vincente per ottenere risultati. Il Mondiale 2018? C’è un gruppo di ragazzi giovani di grande talento e di personalità, ma la crescita va resa tangibile sul campo.»

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