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25 aprile 2022, ricorrenza della Liberazione

Ripotiamo l’intervento del sindaco di Trento Franco Ianeselli

Care concittadine, cari concittadini, autorità civili, militari e religiose
Benvenuti a palazzo Geremia, la casa della città che da sempre ospita le feste più importanti del nostro calendario civile.
 
L’avevamo pensata diversa, piena di fiducia e di speranza, questa festa della Liberazione che ritorna ad essere pubblica e collettiva dopo il biennio di cerimonie ridotte e quasi private imposte dalla pandemia. Invece, inutile negarlo, questo è un 25 aprile di mestizia e anche di incredulità di fronte a quanto sta accadendo nell’Europa orientale.
La guerra è ritornata nel continente con la ferocia tipica di tutti i conflitti. Migliaia le vittime, militari e soprattutto civili, imponente l’esodo dei profughi, indicibili le atrocità, insopportabili le giustificazioni dell’invasore, che ha accompagnato la marcia dei carri armati con le armi di una propaganda non troppo dissimile, se non nei mezzi, da quella con cui, alla fine degli anni Trenta, si cercò di far passare l’occupazione dei Sudeti come la necessaria difesa della minoranza tedesca.
La guerra in Ucraina è una sconfitta non solo per l’Europa, non solo per gli organismi internazionali che dovrebbero aiutare a dirimere pacificamente i conflitti prima della loro deflagrazione: la guerra in Ucraina, come ha dichiarato di recente lo scrittore Nicola Lagioia, è la manifestazione del «fallimento della specie umana» oltre che l’evidente dimostrazione che «la democrazia è molto meno contagiosa del previsto».
 
Lo sappiamo bene: questa non è certo la prima guerra da settantasette anni a questa parte. Eppure mai come in questo momento sentiamo una spaventosa minaccia incombere su di noi, mai come in questi giorni ci rendiamo conto che gli equilibri costruiti a fatica nella seconda metà del secolo scorso si sono pericolosamente incrinati, che un pretesto qualsiasi potrebbe portare a conseguenze inimmaginabili.
In questo contesto così teso e drammatico, la festa del 25 aprile assume un’importanza e una gravità nuove che riportano in primo piano questioni vitali rimaste per molto tempo in ombra. Perché, se ci pensiamo bene, in questi ultimi decenni i valori della Liberazione li abbiamo sempre dati per scontati.
La pace, innanzitutto. La democrazia. La libertà. Il pluralismo. La convivenza tra i popoli. Forse non abbiamo meditato abbastanza sul fatto che la Liberazione non è stata solo la fine della guerra: è stata l’avvio di un grande cantiere che ha pacificato l’Europa, riconciliato uomini che fino a poco prima si consideravano nemici, edificato istituzioni nuove, imperfette eppure vitali, sancito principi inderogabili, dall’uguaglianza di fronte alla legge all’abolizione della pena di morte, decisa dall’Italia nel 1947, in anticipo rispetto a molti altri Paesi occidentali.
 
Quell’edificio europeo che ha le sue fondamenta nel 25 aprile oggi ci pare incompiuto e poco solido. La condanna dei nazionalismi, la diffidenza nei confronti del populismo e delle sue armi retoriche sembrano meno convinte che in passato.
L’idea dell’uomo forte che nella maggioranza degli italiani evocava solo incubi viene da taluni invocata come soluzione al disordine, come scorciatoia per bypassare la complessità della democrazia.
Il fatto stesso che in questi giorni ci sia chi giustifica l’invasione dell’Ucraina, un Paese sovrano e indipendente, la dice lunga su una cultura democratica che appare logorata non solo dall’assuefazione alla libertà, ma anche dal disagio sociale, dalla disuguaglianza, dalla mancanza di fiducia nelle istituzioni, nella politica e, cosa non irrilevante, nei mezzi di informazione.
 
La verità è che l’impegno dei partigiani nella liberazione dell’Italia e nella costruzione di uno spazio di pace sovranazionale non può considerarsi esaurito.
Il cantiere della democrazia, che forse abbiamo trascurato, il ponte sull’abisso che è stata l’idea degasperiana della «patria Europa» hanno bisogno di urgenti e consistenti manutenzioni. Perché, come ci ha ammonito Norberto Bobbio, «la Resistenza non è finita».
Scriveva il filosofo: «A coloro che non vogliono più saperne della Resistenza perché le cose non vanno come dovrebbero andare, c’è da rispondere che la nostra non sempre lieta situazione presente dipende da una ragione soltanto: che non abbiamo ancora appreso tutta intera la lezione della libertà.
«E siccome l’inizio di questo corso sulla libertà è stata la Resistenza, si dovrà concludere che i nostri malanni, se ve ne sono, non dipendono già dal fatto che la Resistenza sia fallita, ma dal fatto che non l’abbiamo ancora pienamente realizzata.»
 
Come opportunamente raccomanda il tema scelto per questo 25 aprile, aggiornare la Resistenza e costruire la pace è oggi l’imperativo. Una pace duratura, basata sul rispetto dei diritti democratici, sulla difesa della libertà, sulla tutela dei più deboli, sulla giustizia sociale e ambientale.
Non rassegniamoci all’idea che il 24 febbraio 2022 rappresenti, come sostengono alcuni esperti di geopolitica, un punto di non ritorno e insieme l’inizio di un viaggio a ritroso verso la fine della pace europea e lo scontro costante tra imperi.
In un momento storico in cui il mondo deve affrontare le sfide del cambiamento climatico e della pandemia, abbiamo ancora bisogno di partigiani della pace, di partigiani per la libertà e la giustizia, di partigiani per il pianeta, che sappiano costruire nuove politiche di prevenzione dei conflitti, nuove relazioni internazionali, nuove visioni di futuro.
Dunque, prendiamoci l’impegno di presidiare di più la vita pubblica, la scuola, i mezzi d’informazione, alziamo di più la voce per difendere i valori della Costituzione. Testimoniamo di più contro la discriminazione e l’intolleranza, senza calibrare il nostro sdegno a seconda della convenienza o della latitudine.
In fondo, la lezione più grande che ci arriva dalla Resistenza è questa: è necessario scegliere chi vogliamo essere, chi vogliamo diventare, decidere se farci ispirare dal bene collettivo o dall’opportunismo. E agire di conseguenza.
 
Buona Festa della Liberazione oggi e sempre, in Italia e in ogni Paese.
Franco Ianeselli

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