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Libri da regalare a Natale/ 5 – Uomini del legno sull’isola delle rose

Un magnifico libro per una brutta pagina di storia della nostra gente più generosa

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La storia dei rapporti tra Italia Grecia e la conoscevo bene.
Il destino aveva voluto che l’Italia, in virtù della pace di Losanna (firmata proprio il 18 ottobre un secolo fa, al termine della Guerra di Libia e dopo il forzamento dei Dardanelli), ottenesse – oltre alla sovranità sulla Libia – il possesso «temporaneo» delle isole del Dodecaneso.
Il 5 maggio 1912 si era già insediato a Rodi il comandante delle isole occupate dell'Egeo, Giovanni Ameglio, dal 1914 costituite poi in «Colonia del Dodecaneso».
Il primo governatore, il savonese Mario Lago, si insediò il 16 novembre 1922.
La logica per cui la Comunità internazionale concesse all’Italia il Dodecaneso risiedeva nella protezione che l’Italia doveva garantire alla Grecia contro la Turchia.
A quanto riferiscono le persone del luogo, fatta eccezione per qualche aspetto istrionico dei vertici fascisti, l’Italia portò ricchezza alle isole greche affidate a noi.
Questo accresce a dismisura l’assurdità dell’aggressione di Mussolini alla Grecia. Primo perché l’ha fatto per motivi di immagine, secondo perché Mussolini non era un fascista mediocre come i suoi gerarchi.
Fatto sta che alla fine abbiamo aggredito il Paese che ci era stato affidato proprio per proteggerlo…
 
Beh, tutto questo lo sapevamo, compreso il fatto che, come abbiamo scritto, i greci hanno un bellissimo ricordo di noi.
Quello che non sapevamo è che a Rodi, invitati dalle autorità locali, erano arrivati anche i fiemmesi. Boscaioli e segantini. I migliori al mondo. Quelli che avrebbero dovuto rimettere in sesto le foreste dell’Egeo orientale, a ridosso dalla Turchia.
Ed è qui che comincia la storia del magnifico libro scritto da Renzo Grosselli ed editato da Curcu & Genovese, intitolato «Gli uomini del legno sull’isola delle rose».
La vicenda si consuma dal 1935, prima ancora che l’Italia proclamasse l’Impero, al 1947, quando i nostri emigrati - al termine di una guerra non voluta né dai greci né dagli italiani - sono dovuti tornare in patria.
È una delle tante storie che, grazie a Dio (e agli ultimi testimoni), vengono alla luce di tanto in tanto per dare dignità a quei pochi individui che hanno creduto nella cooperazione internazionale, nelle proprie capacità lavorative, nel proprio paese.
 
La vicenda storica del villaggio italiano di Campochiaro a Rodi 1935-1947 viene ricostruita, anche con l'ausilio di bellissime immagini inedite, una pagina di storia sconosciuta ai più.
È frutto del lavoro di scrittura e ricerca del Comitato familiari degli emigrati fiemmesi a Rodi e del giornalista e scrittore Renzo Maria Grosselli (foto seguente).
Alla presentazione del libro, Renzo Maria Grosselli e una rappresentanza del Comitato familiari degli emigrati fiemmesi a Rodi, con il presidente Riccardo Selle, Franca Degiampietro e Giampaolo Corradini.
Ma erano presenti, non senza emozione, anche molti anziani che hanno vissuto direttamente quella epopea.
 
«Non soltanto un accurato e meritevole lavoro di ricostruzione storica, dunque di memoria restituita specie alle giovani generazioni, – ha commentato l’assessore Gilmozzi. – Ma anche un tassello in quella necessaria costruzione dell’identità delle nostre comunità. In questo caso quella della valle di Fiemme che a metà del secolo scorso, in condizioni difficili, scelse la strada dell'emigrazione portando nel cuore del Mediterraneo, a Rodi, la secolare esperienza dei boscaioli.»
«E, nel contesto di anni segnati da laceranti conflitti – ha concluso l’assessore, – anche una straordinaria vicenda di pace, lavoro, fatica. Una vicenda che oggi può essere finalmente conosciuta da tutti i Trentini, e non solo.»
 

 
 IL CONTENUTO
Nel 1935 dalla Valle di Fiemme giunse sull’Isola di Rodi, Protettorato italiano, un gruppo di boscaioli e segantini fiemmesi con le famiglie.
Il governatore italiano Mario Lago creò per loro un nuovo villaggio che fu chiamato Campochiaro.
Li raggiunsero altri convalligiani e pochi altri trentini. Avrebbero dovuto, con minoranze altoatesine e friulane, occuparsi della coltivazione delle locali foreste, depauperate nel corso degli ultimi secoli. Una emigrazione organizzata al meglio che, nelle intenzioni della maggioranza dei trentini, doveva essere definitiva.
Ma la Grande Storia aveva deciso altrimenti. Il Dodecaneso, a partire dalla fine del 1936, divenne un avamposto strategico del nuovo impero italiano e conobbe un processo di massiccia militarizzazione.
Quindi, con l’entrata in guerra dell’Italia, fu stretto nella morsa navale e aerea degli inglesi con continui bombardamenti e scarsità di viveri. Una parte dei trentini scelse di rientrare nella propria terra Già nel 1939. Altri lo fecero nel 1943, quando l’Arcipelago passò sotto lo spietato controllo dell’esercito tedesco.
Con la sconfitta dell’Italia, e dopo due anni di amministrazione inglese, il Dodecaneso tornò sotto l’amministrazione greca e così anche le famiglie trentine che avevano sperato di poter rimanere in quella terra, in cui avevano intessuto rapporti di amicizia e reciproca stima con la popolazione locale, dovettero lasciare l’isola. Le ultime fecero rientro in patria nel 1947.
Campochiaro, ora abitata da famiglie greche, cambiò di nome, venendo a chiamarsi Eleoussa.
A partire dagli anni ’80 nacque in Valle di Fiemme un flusso di turismo verso Rodi, fatto di ex emigrati e di loro figli e nipoti che, nei decenni, avevano trasformato in un «mito» le vicende di quella emigrazione.
 
Così fecero anche Franca Degiampietro, Giampaolo Corradini e Riccardo Selle (del Comitato familiari degli emigrati fiemmesi a Rodi) che hanno ricostruito la genesi di un libro che, è stato detto durante la presentazione di oggi, «sembrava un sogno ed è oggi diventato, grazie all'impegno e all'entusiasmo di molti, un importante documento».
Nel frenetico andamento della vita moderna risulta sempre più difficile guardarsi indietro e pensare a quanto qualcuno prima di noi ha detto e fatto. Inoltre, spesso, è la stessa pigrizia che ha il sopravvento e tutto ciò ci porta a posticipare azioni. E infine, inesorabilmente e drammaticamente, a dimenticare.
Qualche anno fa Riccardo Selle ha proposto a Franca Degiampietro e Giampaolo Corradini, a loro volta figli di emigrati, di realizzare un sogno: riportare alla memoria un periodo storico di emigrazione fiemmese nell’isola di Rodi dove, lui bambino, seguì la famiglia.
«Ci siamo trovati di fronte a una scelta, – hanno detto. – Intraprendere o meno un viaggio, con l’intento di raccogliere testimonianze verbali (le poche dei fortunati sopravvissuti), scritti, racconti di figli e nipoti, tante immagini, spesso ingiallite dal tempo ma sempre splendide, elementi di un passato non molto lontano, vissuto in una (allora) lontana isola del Mare Egeo, dalle nostre madri e dai nostri padri.
«Se ne era spesso parlato, fra parenti ed amici dei Fiemmesi di Rodi, ma era fino ad oggi rimasta un’intenzione. Se il tempo e un pizzico di slancio, ma non certo la volontà, erano mancati ai nostri predecessori, la torcia è stata passata ai figli ancora accesa. Di qui l’idea, e le radici intime, di questo documento: un paziente lavoro che ci ha impegnato per alcuni anni ma che ci ha, sin dall’inizio, entusiasmati e che ci appassiona ancora scrivendo queste brevi righe di presentazione nelle quali vorremmo trasmettere quanto noi ora, una volta ultimato il percorso, avvertiamo.»
 
«Tutto è avvenuto in un crescendo di emozioni: ritrovare una lettera diligentemente scritta e indirizzata al coniuge in Patria, come rivedere un parente su una piccola immagine fotografica ritagliata a seghetto è stata per noi e per tutti coloro che con noi hanno scritto questo documento ripercorrere non solo una parentesi di storia.
Non si tratta di un semplice debito di riconoscenza nei confronti di persone che hanno tracciato il solco prima di loro: è un valore che va ritrovato nello stesso entusiasmo con cui gli stessi interpreti di quelle esperienze raccontavano il loro modo di lavorare, studiare, divertirsi, in una parola il loro vivere in quelle terre.
 
Renzo Maria Grosselli (Trento 1952) ha iniziato le sue ricerche di taglio storiografico sull’emigrazione, trentina e italiana, nel 1981.
Ha scandagliato archivi trentini, italiani, brasiliani e cileni.
Ha al suo attivo molte centinaia di ore di registrazione sonora di «storie di vita».
Ha dato alle stampe una decina di volumi sulla storia dei flussi migratori caratterizzati dal taglio di «storia sociale», tre dei quali sono stati tradotti e pubblicati all’estero, abbinando a ricerche di archivio le testimonianze dirette e la memorialistica degli emigrati.
Altri volumi pubblicati dall’autore hanno come oggetto le tradizioni delle genti trentine e la ricostruzione della vicenda storica di particolari «anfratti» del cammino del Trentino tra Ottocento e Novecento: sviluppo del fenomeno turistico, rivoluzione idroelettrica, abbandono della montagna, cucina e alimentazione.
Grosselli ha pubblicato anche una serie di saggi brevi, su particolari aspetti dei flussi migratori (venditori ambulanti, emigrazione di valle, rapporto tra emigrazione di ritorno ed imprenditorialità, lingua ed emigrazione etc.) Vive attualmente in Valsugana, ha tre figli, ed è inviato speciale de l’Adige di Trento.


 
 IL COMMENTO
Come è nostra abitudine, il commento lo daremo dopo averlo letto.
Fin d’ora però possiamo dire che Grosselli è una garanzia per quanto riguarda la ricostruzione storica e il suo modo di scrivere.
Il resto lo hanno fatto i nostri fiemmesi, scrivendo un libro bellissimo con il loro comportamento per una delle tante brutte pagine scritte dal nostro incredibile e, malgrado tutto, amatissimo Paese.

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