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«Diaspora» di Claudio Tugnoli: Nasco quindi migro

Oggi, giovedì 9 febbraio, l’autore presenta alla Biblioteca civica di Trento i suoi Centrotré haiku dedicati al migrare

Claudio Tugnoli è un saggista e filosofo naturalizzato trentino nativo di Budrio, vicino a Bologna: ha insegnato filosofia e storia nei licei trentini (soprattutto al classico Prati di Trento) e nelle Università di Trento (dove collabora col dipartimento di Sociologia) e Bologna.
 
All’attività saggistica da qualche anno ha affiancato la ricerca e la scrittura poetica, scrivendo e pubblicando «La tua ombra» (Manni, 2011), «Gli anni riapparsi in umiltà di gloria. Poesie in dialetto brudriese» (Manni, 2012), «Sarà forse la rana, o alcun che solo canti. Centosei haikai» (Manni, 2013), «Or tutta la palude è come un fiore. Nuovi haikai» (Il Monogramma, 2014), «Terra terra inesausta matrice. Poesie dell’infanzia budriese» (Manni, 2014), «In sul declinar fiamma m’accende. Novantahaikai» (Edizioni Del Faro, 2015), «Le mani dell’anima».
 
Fedele anche alle proprie radici bolognesi Tugnoli ha quindi pubblicato tre raccolte in dialetto budriese i cui temi forti sono quelli universali della precarietà della vita, della riflessione sulla morte, del ricordo di un mondo contadino di ispirazione camoniana e olmiana.
A tali radici ha quindi affiancato un’originale sentire e scrivere - per colpi di lampo - adottando un metro antico giapponese: l’haiku.
L’ultima raccolta di haikai (come l’autore preferisce chiamarli, memore della contrazione haikai no ku) «Diaspora» (edizioni Del Faro, pag. 105, € 12,50) verrà presentata giovedì 9 febbraio alle 17.30 presso la Sala degli affreschi della Biblioteca Comunale di Trento (via Roma 55).
La giovane laureata in Lingua e cultura giapponese Sara Rizzato parlerà della storia e dell’estetica degli haiku mentre la studentessa del quinto anno del Liceo Bonporti di Trento Elena De Martin accompagnerà la serata con le note del flauto traverso.
 
Ricordiamo che l’haiku è legato al senso pittorico e iconico della poesia e alla descrizione del paesaggio che si svela delicatamente, nel culmine di una tensione contemplativa.
L’haiku, genere della poesia giapponese legato allo zen che con sintesi ellittica comunica lunghe e intense meditazioni ed emozioni, consiste in tre strofe di cinque, sette, cinque versi trovando, parzialmente, l’equivalente nell’aforisma classico che però non ha questa costrizione metrica.
«Ogni haiku è come un picco glicemico o una freccia che sibila vicino all’orecchio, una trance visiva o una scarica adrenalina», – come afferma Enrico Capodaglio nella prefazione a Or tutta la palude è come un fiore.
In «Diaspora» (centrotré haikai), l’haiku mette a fuoco il mondo della migrazione, attraverso una prospettiva antropologica –ampiamente esplicata e argomentata nel saggio «La diaspora come destino dell’homo migrans» dello stesso Tugnoli, che correda la raccolta- per cui l’atto del migrare è essenziale alla natura stessa di ogni uomo, non solo da un punto di vista storico quanto antropologico, nativo: la nascita è un’uscita migratoria dal liquido amniotico del grembo materno allo spazio terreno esterno («Oh creatura/lottando per la luce/t’apri un varco»).
E l’acqua delle onde del canale di Sicilia e del Mediterraneo diventano quindi rievocazioni di tale liquido placentare iniziale e iniziatico («La nascita di per sé non è ancora l’evento che decide l’autoctonia, giacché chi viene al mondo, viene da un altrove, per quanto ignoto esso sia, e dunque anche l’uscita dal ventre materno si configura come atto di migrazione, sempre accompagnato dal rischio di naufragio e annientamento. Nessun neonato sarebbe dei ‘nostri’ per i sostenitori del diritto primario del’autoctonia e dunque dovrebbe dichiarare le proprie generalità, lasciarsi identificare, in attesa che qualcuno decida se può rimanere o vada espulso»).
 
Tale uscita dalle onde può essere una nascita nell’amore («Venir al mondo/sulle mani materne/di caldo amore») o nell’odio («Venir al mondo/tra lame affilate/dal fuoco d’odio») e nella violenza del rifiuto («Tra onde fredde/volti nudi imploranti:/ uomini in mare»; «Tra onde fredde/ cadaver d’infante: è caro al dio»; «Si piega, geme/affollata di sguardi/la barca affonda»; «Strage di mondo/la diaspora di feti,/strage di senso»).
La madre e il padre col nascituro, così come i popoli dove arrivano i migranti, possono accogliere («Nasce dal cuore/il sentire fraterno/di caldo abbraccio») o respingere («Nasce dal nulla,/come se niente fosse,/odio feroce»), con rigurgiti di divinità del’autoctonia, del suolo e sangue («Vedo e temo/conversione forzate/a un dio fero»).
 
La raccolta sintetizza sguardi sull’attualità ad altri colti della classicità (Ulisse il migrante per eccellenza: «Ancora Ulisse/sulla spiaggia deserta/scaraventato») o di un virtuoso haikizzare in latino (lingua, per l’autore, tutt’altro che morta).
Nel naufragio di tanta disperazione, Tugnoli coglie con un haiku-cecchino il naufragio di una politica di accoglienza europea fallimentare («Muori Europa/trasvolando sul toro,/sul mare corto»).
Ma, come conclude Paolo Taroni nella sua ricca introduzione («Migrare,camminare, pensare. Claudio Tugnoli e gli haiku del viaggio») «il sentimento di solidarietà, di amore e di pace permettono all’uomo di trovare una ragione là dove il senso sembra scomparire […] e «l’anima inquieta dell’uomo, l’anima del poeta errabondo, cercano - attraverso il viaggio - un barlume di speranza nella ricerca, nella nuova esistenza e in un’altra vita che può essere, insieme, la vita dell’altro e la propria vita in un’altra dimensione e in un altro contesto: «La vita vera/cerchi sempre altrove,/o anima mia»; «O anima mia/libera e nuda vai/ad altra vita».

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