Incontro con Giuseppe Miale di Mauro – Di Luciana Grillo
E' l'autore di «La strada degli americani», un romanzo implacabile e intenso, con personaggi forti, ispirato a una storia vera
Titolo: La strada degli americani
Autore: Giuseppe Miale di Mauro
Editore: Frassinelli 2017
Genere: Letteratura moderna
Pagine: 201, Rilegato
Prezzo di copertina: € 18.50
L’incontro casuale con un giovane scrittore e drammaturgo e la lettura di un suo romanzo mi hanno spinto ad approfondirne la conoscenza: si tratta di Giuseppe Miale di Mauro, un cordiale intellettuale napoletano che, dopo aver conseguito il diploma all’Accademia d’Arte Drammatica, è stato uno dei protagonisti dello spettacolo Gomorra, andato in scena dal 2007 al 2012, vincitore del premio «Gli Olimpici del Teatro».
Inoltre, è autore di «Quattro», scritto con Mario Gelardi, vincitore dei premi «Girulà» e «Scenario», ha scritto con Roberto Saviano la trasposizione teatrale di Santos, prodotto da Nuovo Teatro di Marco Balsamo, ha diretto nell’edizione 2010 del “Napoli Teatro Festival Italia” lo spettacolo «La Città di dentro», scritto con Angelo Petrella e «12 baci sulla bocca» che, dopo sei anni di repliche, andrà in scena al Teatro India di Roma.
Ha scritto con Nicolai Lilin la trasposizione teatrale di Educazione Siberiana, curando anche la regia dello spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino in collaborazione con ERT e Teatro Metastasio Stabile della Toscana.
Ha diretto «All In» prodotto dal Teatro Stabile di Napoli, teatro Nazionale; Ha curato la trasposizione teatrale del film «Mi manda Picone», prodotta da Michele Gentile e «I Fiori del Latte» di Eduardo Tartaglia con Biagio Izzo.
È stato il regista collaboratore di Mario Martone per la messinscena de Il sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e dalla Elledieffe srl.
Dal 2016, ha iniziato una collaborazione con il Teatro Ghione di Roma, dirigendo lo spettacolo «Certe Notti».
Ha lavorato sulla rivisitazione della tradizione di due spettacoli di cui firma adattamento e regia: «Miseria e Nobiltà 2.0» da Eduardo Scarpetta, e «A che servono questi quattrini» da Armando Curcio con Francesco Procopio e Pietro De Silva.
È uno dei soci fondatori del Nest Napoli est Teatro ed è il regista stabile della Compagnia Nest con la quale ha messo in scena diversi spettacoli tra cui Love Bombing, Otello, Gli onesti della banda scritto a quattro mani con Diego De Silva, e «Il berretto a sonagli - a nomme ’e Dio» tradotto e adattato da Francesco Niccolini, in programmazione nella stagione in corso e nella prossima.
Compare tra gli autori de La Ferita (Ad Est dell’Equatore, 2009) e de La Giusta Parte (Caracò, 2011).
Nel 2012 ha pubblicato il suo primo romanzo «L’ultima volta che mi sono emozionato» (Caracò, 2012), nel 2017 l’ultimo «La strada degli Americani» (Frassinelli, 2017).
Il romanzo è costruito come un copione cinematografico.
Si tratta di una storia vera, sono stati cambiati solo i nomi dei personaggi.
Si parte da fatti antecedenti l'avvenimento principale, quell'inseguimento che provocherà l'incidente e la morte di una delle due ragazze.
I personaggi parlano in prima persona e svelano la loro natura.
Ciro Incoronato, delinquente di mezza tacca, lavora per conto di un boss dedito a organizzare lotte tra cani.
Ciro, che in passato ha visto morire sua moglie e suo figlio in un incidente stradale, ma che rivede il figlio in visioni allucinate sotto l'effetto di droga, sale nella scala gerarchica dell'organizzazione, fino a diventare un killer.
Diverso è Carmine Scognamiglio, onesto operaio presso una piccola impresa di falegnameria che, però, al momento del suo licenziamento, si trasforma – anche spinto da altri – in delinquente e si lascia influenzare dall' esterno, per cui si troverà accanto all' Incoronato nella tragedia finale.
Martina e Giulia sono due amiche che, in una giornata che sembra particolarmente fortunata e felice, si trovano per caso a incrociare la vita dei due.
Ciro, che odia le donne al volante perché una donna è stata la causa dell'incidente in cui hanno perso la vita moglie e figlio, si diverte ad intercettare auto guidate da donne e, nella cosiddetta «Strada degli americani», all'estrema periferia nord di Napoli, le insegue tamponandole e divertendosi a terrorizzarle.
Così, insieme a Carmine, intercetta l'auto delle due ragazze e inizia un lungo inseguimento in cui tampona violentemente e a più riprese l'auto delle ragazze, fino a quando questa sbanda e, andando fuori strada, centra un palo della linea elettrica.
Martina si salverà, ma Giulia rimarrà uccisa sul colpo.
Il racconto dei protagonisti è intervallato anche da brani del procedimento penale relativo ai fatti, e ciò procura alla storia grande credibilità.
L’autore si muove con agilità in un mondo complesso, dove si intrecciano malavita e ignoranza, dolore e sete di vendetta.
Mi è sembrato opportuno, a questo punto, rivolgere qualche domanda a Giuseppe Miale di Mauro.
Come nascono i tuoi romanzi?
«Faccio una premessa doverosa: sia per il teatro che per la narrativa, scrivo spinto da una sfrenata necessità di raccontare storie. E spesso queste storie partono da eventi reali.
«Poi è ovvio che l’evento reale resta lo spunto intorno al quale costruisco la storia. Però, avere un punto di partenza reale, mi fa sentire con i piedi ben saldi a terra e dà attendibilità alla mia storia.»
Quanto c’è di autobiografico (se c’è) nei romanzi?
«Io credo che ci sia sempre qualcosa di autobiografico... Del resto le esperienze personali arricchiscono il proprio vissuto, che diventa fonte inesauribile da cui attingere per raccontare.
«In questi giorni di reclusione forzata, dovuta all’emergenza sanitaria, la mia fertilità autoriale si è molto rallentata e pensavo fosse una personale forma di pigrizia, invece, confrontandomi con amici scrittori, ho scoperto che era male comune.
«Poi ho letto un articolo di Cacciari secondo cui gli scrittori si nutrono della vita per scrivere le loro storie. Ed è normale non riuscirci, in questo momento di non vita. Questo per dire che inevitabilmente la vita di uno scrittore entra nelle sue storie.»
Esiste un legame tra romanzo-cinema-teatro?
«Io credo che la scrittura sia tale in ogni sua espressione. Certo, ognuna di queste forme ha delle regole diverse e delle dinamiche particolari che le contraddistinguono, ma la necessità di chi scrive resta la stessa. Quindi un legame esiste e sta proprio nella voglia di raccontare storie, almeno per me è così.»
Hai mai pensato di usare un romanzo come sceneggiatura?
«Non l’ho mai pensato mentre scrivevo un romanzo. Poi una casa di produzione cinematografica ha acquistato i diritti del mio ultimo romanzo e mi ha convinto che quella storia potrebbe diventare un gran bel film.
«Di certo, ultimamente, il cinema si nutre molto dei romanzi per scrivere le sceneggiature e di fatto devo ammettere che il mio stile di scrittura risente molto della mia formazione e della mia passione per il cinema.
«Ora che sto scrivendo il nuovo romanzo, ammetto che un po’ ci penso, ma giusto un po’, poi vince la voglia di fare letteratura.»
Cosa vuoi fare «da grande»?
Questa domanda è un regalo, perché significa che non sono ancora grande… non per una sindrome da Peter Pan, ma piuttosto per avere ancora dei sogni da realizzare.
«Per me si è giovani finché si ha un sogno da realizzare. Ricordo l’incontro con un grande maestro del teatro italiano, Giorgio Albertazzi, che all’epoca aveva 91 anni e progettava il futuro come un trentenne, pieno di sogni e di speranze.
«Questo significa essere giovani fino alla morte. Per quanto riguarda la domanda nello specifico, sarebbe bello continuare a fare ciò che faccio. Sono tempi duri, ma quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.»
Grazie, Giuseppe, attendiamo il tuo prossimo romanzo.
Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
Commenti (0 inviato)
Invia il tuo commento