Home | Letteratura | Poesia | «L’amore per la poesia salva la vita» – Di Nadia Clementi

«L’amore per la poesia salva la vita» – Di Nadia Clementi

Ne abbiamo parlato con Alfonso Masi, che con la poesia ha un rapporto particolarmente intenso: insegna agli altri a produrre testi poetici

image

>
Insegnare la letteratura italiana al giorno d’oggi è diventato un compito arduo e quanto mai complesso. Il mondo digitale e la cultura tecnologica sempre più innovativi rischiano di rendere questa disciplina alquanto obsoleta e noiosa.

Sempre più spesso i docenti, soprattutto negli istituti tecnici e professionali, si sentono chiedere «A cosa mi serve conoscere Pascoli o Manzoni, se andrò a lavorare in uno studio informatico o in fabbrica?».
Eppure, di fronte alla tendenza sociale diffusa, che mira ad acquisire delle competenze prevalentemente tecniche e a protendere verso un sapere scientifico, ci deve essere un modo di contestualizzare l’insegnamento della letteratura in una dimensione più fruibile e piacevole.
Tutti noi ricordiamo i capolavori letterari di Dante, Foscolo, Leopardi e le poesie di Ungaretti imparate a memoria, Il fascino esercitato dalle illustrazioni, la seduzione di parole che magicamente facevano fiorire un universo, davano vita a personaggi da ammirare, amare, temere o detestare.
Di come approfondire la conoscenza della letteratura italiana, ne parliamo oggi con Alfonso Masi che da anni cerca di promuovere, in particolare la poesia, attraverso recite di brani scelti o drammatizzazioni delle vite degli autori, talvolta facendosi accompagnare dalla musica.


Chi è il poeta Alfonso Masi? 
«I miei dati anagrafici, nome e cognome, sono esatti, ma il titolo di poeta non mi si addice: non scrivo poesie e quindi non sono un poeta.
Il mio rapporto con la poesia è un altro, diverso anche se particolarmente intenso: recito poesie d’autore e, sebbene personalmente non scriva poesie, insegno agli altri a produrre testi poetici.»
 
Quale di queste due attività preferisce?
«Non saprei scegliere una delle due. Posso dire che la recita di poesie è la prima in ordine di tempo e risale alla fine degli anni ’50 quando avevo 16 anni. Mi venne regalato un disco a 45 giri in cui Arnoldo Foà recitava il Lamento per la morte di Ignazio. Fui folgorato dall’interpretazione di Foà e alla prima occasione volli cimentarmi a scuola nella recita di una poesia.
«Quando la professoressa di lettere mi chiamò alla cattedra per dimostrare di aver imparato a memoria L’ora di Barga, con voce grave iniziai a scandire Al mio cantuccio donde non sento/ se non le reste brusir del grano….
«Non riuscii neppure a terminare quattro versi che la professoressa mi cacciò bruscamente a posto gridando che quello non era il modo di presentare i versi di Pascoli.
«Non mi persi d’animo e le mie recite di versi continuarono fuori dalle aule scolastiche presentando libri di poeti per poi ritornare a scuola con alcuni recital rivolti agli alunni, quasi un itinerario di scoperta della poesia articolato in quattro tappe:
1. L’omino delle filastrocche per alunni di prima e seconda elementare.
2. Poesiapoesia, avventura nel mondo della poesia per alunni di terza, quarta e quinta elementare.
3. Filastrocche filastrocche, alla scoperta di Gianni Rodari, poeta per bambini.
4. Che cos’è la poesia?, viaggio alla scoperta della poesia per studenti della scuola media.» 
 
E per quanto riguarda la sua attività di scrittura poetica nella scuola, quando è cominciata?
«Circa una trentina di anni fa. Ricordo che alla scuola media di Cavalese, nella conversazione successiva al recital Che cos’è la poesia?, uno studente mi chiese se anche gli alunni potevano scrivere poesie invitandomi a ritornare con qualche proposta pratica.»
 
Accettò quella nuova sfida?
«Era davvero una sfida e come punto di partenza scelsi due versi di un mio amico di liceo M’inebrio/ d’azzurro, una palese imitazione di Ungaretti e del suo M’illumino/ d’immenso.
«Proprio partendo dal breve testo ungarettiano e variandone la parole cominciai a far produrre testi poetici sempre sull’inizio del giorno, poi sulla sera, sulle quattro stagioni e sulle età della vita.
«Una tecnica che poi negli anni ho proposto alla scuola elementare, partendo dalla classe seconda, alle medie, alle superiori e all’Università della terza età: è un testo che funziona per tutte le età e che offre dopo pochi minuti l’occasione di provare singolarmente a scrivere versi.»
 
Ricorda alcuni testi che sono stati prodotti in questi suoi incontri?
«Il più bello lo ricordo e lo cito sempre prima di invitare i partecipanti a cimentarsi personalmente: è di alunno che allora frequentava la quinta elementare e che ora ha quasi quarant’anni. Sotto i miei occhi scrisse Emergo/stupito.
«La poesia di Ungaretti ancora più essenzializzata e ridotta ad un verbo e un aggettivo e quella bellissima metafora che soggiace al verbo: la notte come un mare oscuro dal quale ci si tira fuori al mattino. Quel mio alunno non sa che io ancora lo ricordo e chissà non legga questa intervista e rivendichi la paternità di questi versi.»
 
Diceva che questa tecnica è stata sperimentata anche all’Università della terza età.
«Degli incontri all’Università della terza età ricordo, parlando dell’infanzia, di un’infanzia travagliata e vissuta senza genitori, i due versi Calzavo/ dolori, anche in questo caso un’essenzializzazione del testo ungarettiano.»
 
Ma le sue proposte non si limiteranno, credo, a proporre testi lunghi soltanto due versi. Mi sbaglio?
«Il riferimento al testo di Ungaretti è sempre il punto di partenza nei miei incontri di scrittura poetica; poi l’attività prosegue con la produzione di testi più elaborati che di volta in volta sfruttano alcune caratteristiche del linguaggio poetico: metafora, anafora, allitterazione, sinestesia, iperbole, rima, verso, ritmo e musicalità.» 
 
E in questo modo lei concorre a creare dei nuovi poeti.
«Assolutamente non è questa la finalità dei miei interventi. Tanto meno, quando si tratta di scuola elementare, occorre creare dei poeti in erba.
«Il fine principale è quello di far maneggiare i materiali della poesia in modo che i partecipanti vengano a conoscere sperimentalmente che cos’ è la poesia.
«Chi trae guadagno da questa attività è poi la comprensione dei testi poetici d’autore.»
 
Torniamo all’altra sua attività riguardante la poesia: la recita di poesie.
«Ai recital rivolti agli alunni della scuola elementare e media gradualmente negli anni si sono aggiunti dei recital riguardanti poeti italiani e stranieri, rivolti agli studenti delle scuole superiori o ad un pubblico di adulti.
«Sono nati così i recital dedicati a Ungaretti, Montale, Pavese, realizzati anche con la collaborazione di alcuni amici che recitano insieme a me o di musicisti che accompagnano la recita con musiche appropriate.
«Sono nati pure i recital su Rafael Alberti, su Prévert e quello su Lorca in cui ho potuto finalmente realizzare il mio sogno di recitare A la cinco de la tarde con il supporto di una chitarra, di una cantante e di un’attrice. Invece due poeti, Orazio e Leopardi, sono stati presentati a mo’ di intervista, quindi con l’alternarsi di domande e risposte, queste ultime sempre tratte dalle loro opere.
«L’intervista è stata usata anche per Dante e per il suo viaggio all’Inferno; in questo caso ho aggiunto due gustosissime interviste, presentate alla Rai negli anni ’70, a Francesca da Rimini e a Beatrice.»
 
Come risponde alla domanda «A cosa serve la poesia?».
«L’utilitarismo insito in tale domanda è stato superato dal linguista Vigotski con la sua risposta al quesito di cui sopra e che faccio mia: La poesia serve proprio perché in apparenza non serve a nulla.
«Ma non voglio eludere la domanda e per una risposta più esauriente parto da una delle molteplici definizioni che sono state date della poesia, quella di Paul Ricoeur: La poesia è il linguaggio vestito a festa. Viene messa in luce la ricchezza, la festosità, la diversità che il linguaggio poetico possiede rispetto al linguaggio grigio, standardizzato della comunicazione quotidiana.»
 
Ma del vestito festivo possiamo fare a meno; ciò vale anche per la poesia che secondo lei è il linguaggio vestito a festa?
«Sì, tale definizione potrebbe insinuare l’idea che della poesia si possa fare a meno.
«Ma dobbiamo considerare che scrivere e leggere poesia sono atti linguistici, comportano un lavoro sulla lingua scoprendone e usandone le grandi molteplici possibilità della comunicazione verbale; infatti verso, rima, ritmo, metafora sono competenze linguistiche che aprono e ampliano le possibilità infinite che ha il linguaggio verbale.
«In questa prospettiva il lavorare sulla poesia nella scuola non è un lavoro superfluo o un bizzarro vezzo da aristocratici, significa invece dare a tutti la possibilità di usare lo strumento linguistico nelle sue molteplici possibilità.»
 
In una scuola sempre più multietnica in che modo la poesia trasmette un linguaggio condiviso?
«Parlare di poesia significa parlare di un dato comune a tutte le culture. Secondo me la poesia era presente anche nell’uomo primitivo: quando questi, guardando il cielo e usando una metafora, lo chiamò uccello di fuoco e con dei sassi si mise a ritmare quelle parole, allora nacque la poesia e ogni popolo, ogni cultura possiede e usa il linguaggio poetico.
«Cambia la lingua che veicola la poesia, ma la poesia in quanto tale è presente, anche se non in tutte le culture emergono grandi figure di poeti.
«A scuola l’integrazione fra culture diverse può avvenire anche grazie alla poesia in quanto gli studenti di culture diverse possono recitare testi poetici nelle loro lingue e gli alunni italiani possono ascoltarne la musicalità che viene perduta in qualsiasi traduzione.»
 
Progetti per il futuro? A quando un nuovo recital?
«Per la scrittura di nuovi recital mi trovo in un momento di stasi, di mancanza di estro creativo; sarei contento che qualcuno scrivesse per me, senza dedicarmi al lungo lavoro di lettura, documentazione e stesura che un recital comporta prima della successiva recita in pubblico.
«Ciò che invece intendo fare è portare nelle scuole i recital che ho già scritto e in questo modo diffondere l’amore alla poesia, quella poesia che, secondo Donatella Bisutti, salva la vita e mette in contatto non con libri o fogli di carta, ma avvicina all’uomo con i suoi sentimenti, i suoi problemi e le sue aspirazioni.»
 
Alfonso Masi - alfonsomasi@libero.it – 340 3735565
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande