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Oltre l’interventismo statale: la Cassa Depositi e Prestiti

Bassanini: «Liberalizzare per salvaguardare il debito pubblico» (Questo vale anche per l'acqua...)

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Da riflessione sul ruolo dello Stato nell'economia e sul compito della Cassa Depositi e Prestiti, a dibattito sulle ragioni dei referendum e sull'opportunità di procedere nelle liberalizzazioni in alcuni settori chiave, come l'acqua.
L'intervento di Franco Bassanini, grande protagonista della scena politica italiana dalla fine degli anni Settanta, attualmente presidente della Cassa Depositi e Prestiti, non è certo passato inosservato al Festival dell'Economia di Trento.

Soprattutto per le sue nette prese di posizione sulle liberalizzazioni: «Se alcuni settori torneranno alla gestione dello Stato, tutti gli interventi necessari all'ammodernamento saranno affossati o finiranno per incidere sul debito pubblico. Dobbiamo invece salvaguardare le risorse per i settori che non possono essere privatizzati, come scuola, sicurezza e giustizia».

L'incontro con Bassanini su «Cassa Depositi e prestiti: una nuova IRI?», moderato dal direttore del quotidiano l'Adige, Pierangelo Giovanetti, si è aperto nell'aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento con la riflessione sui rischi legati all'ingerenza eccessiva dello Stato nel mercato economico e finanziario.

Focus, in particolare, sul ruolo della Cassa Depositi e Prestiti: si tratta di una banca che raccoglie il risparmio degli italiani (e quindi lo deve difendere) o è invece un soggetto di intermediazione finanziaria controllato dal Tesoro e interviene da protagonista nell'economia, acquisendo partecipazioni in aziende ritenute strategiche?
Esiste un problema di commistione tra l'interesse dei risparmiatori e le strategie industriali?

A introdurre la discussione il quadro delineato da Fausto Panunzi, docente di Economia politica all'Università Bocconi di Milano.
«La Cassa Depositi e Prestiti finanzia e promuove lo sviluppo Paese raccogliendo i risparmi postali che alimentano il proprio capitale, posseduto per il 70% dallo Stato e per il restante da 66 fondazioni bancarie. Opera erogando mutui a enti pubblici, fondi a sostegno imprese e fondi per edilizia a scopo sociale.
«Dal marzo 2011 su modello delle altre realtà europee, può assumere partecipazioni dirette o indirette in società di rilevanza strategica nazionale, sulla base dei criteri di redditività dei progetti, con orizzonti di impegno di medio periodo attraverso partecipazioni di minoranza.
«Da più parti, negli ultimi tempi, si è invocato invano un suo intervento, soprattutto per ricapitalizzare le banche italiane e per difendere Parmalat contro Lactalis.
Ma la domanda che rimane di forte attualità riguarda gli strumenti che la Cassa Depositi e Prestiti (analogamente alla nuova Cassa del Mezzogiorno) ha per correggere le imperfezioni del mercato».

«Il nostro è un sistema chiuso con scarsità di grandi gruppi industriali - commenta Gianni Dragoni, inviato del quotidiano "Il Sole 24 Ore" - e, come si è visto anche nei casi emblematici di Parmalat, Antonveneta e Alitalia, ad aggravare le cose, si è diffuso di un principio di difesa dell'italianità dall'acquisto delle grandi aziende da parte di gruppi stranieri che ha portato lo Stato ad intervenire, anche per giustificare l'assenza di imprenditoria privata.
«Un concetto pericoloso, perché in realtà ha nascosto interessi privati. Proprio il reticolo di relazioni nel capitalismo degli affari, particolarmente evidente nel caso di Mediobanca, rendono il sistema finanziario italiano poco trasparente e fragile.
«Esiste dunque un problema di ritorno dell'ingerenza da parte dello Stato nel sistema economico e finanziario con il ritorno di esperienze, come quelle dell'IRI, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, divenuto espressione di questa ingerenza?»

A queste perplessità ha provato a dare risposta proprio il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini.
«L'intervento dello Stato nell'economia deve essere rigorosamente delimitato e deve essere votato alla regolazione del mercato, non soggetta dalla politica.
«La Cassa Depositi e Prestiti non è una banca e non svolge le funzioni tipiche delle banche, perché non fa raccolta ed è sottoposta ad una vigilanza diversa rispetto alle altre da parte della Banca d'Italia. Le sue risorse ammontano a 250 miliardi di attivi, in gran parte provenienti dal risparmio postale di 12 milioni di famiglie italiane raccolti dalle Poste).
«La sua missione primaria non è la tutela del risparmio, piuttosto l'utilizzo del risparmio per promuovere l'economia e la crescita soprattutto attraverso il finanziamento delle infrastrutture. La Cassa è stata per 150 anni un'amministrazione pubblica. È sì uno strumento dei governi, ma con la riforma Tremonti del 2003 è diventata un soggetto privato, una spa, e si è allargata all'ingresso delle fondazioni bancarie che hanno posto delle condizioni decisive per escludere che la Cassa possa diventare una nuova IRI».

«Il risparmio postale - ha aggiunto Bassanini - quando viene acceso, non è più debito pubblico, ma è un prestito ad un privato, e quindi non fa aumentare il deficit dello Stato. Anche i finanziamenti che la Cassa eroga ai privati attraverso i risparmi dei cittadini non finiscono nel debito pubblico.
«Fino al 2003, infatti, Cassa Depositi e Prestiti impiegava i propri fondi solo per erogare mutui e prestiti agli enti pubblici. Ora è più simile alle sue consorelle europee ed eroga mutui per tante altre cose, come finanziare le infrastrutture direttamente o tramite prestiti o capitale di rischio. È stata un'evoluzione importante perché abbiamo sempre più bisogno di spostare il finanziamento dell'economia e dell'infrastrutture in particolare, fuori dal circuito del finanziamento pubblico verso i privati.
«In alcuni casi, come per la sicurezza, la giustizia, la scuola o una parte della sanità e delle infrastrutture ferroviarie, è impossibile privatizzare perché sono servizi essenziali e sono "a fallimento di mercato". Quindi bisogna concentrare su questi tutte le poche risorse disponibili».

Un punto, questo, che ha inevitabilmente portato la discussione anche sul tema caldo dei referendum del 12 e 13 giugno, stimolando accese reazioni anche tra il pubblico del Festival.
«Se dovessero passare i referendum con il ritorno alla gestione statale in quei settori - ha commentato Bassanini - sarebbe un passo indietro. Qui non è in discussione il valore del bene pubblico, quanto piuttosto il modo di gestirlo.
«Se beni come l'acqua dovessero tornare ad essere gestiti direttamente dall'ente pubblico, la conseguenza immediata sarebbe che tutti gli investimenti finirebbero sul debito pubblico o non si farebbero. Ma dato che il nostro Paese è obbligato a ridurre il debito pubblico, come facciamo a investire su questi settori che ne hanno tanto bisogno?
«Nel finanziamento delle infrastrutture c'è spesso un clamoroso problema di equità. Le conseguenze della crisi economica e il venir meno dei contributi a fondo perduto incidono sulla possibilità di recuperare finanziamenti per avviare progetti a medio e lungo termine, come le infrastrutture. Se non intervengono investitori di lungo termine che per loro struttura azionaria possano fare prestiti con ammortamenti diluiti nel tempo, come può fare la Cassa Depositi e Prestiti».

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