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Trentino Rock, dagli anni '60 a oggi/ 8 – I Randagi

Bertagnolli e Finadri: Una storia infinita, entrata nella leggenda

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 «Non sono i fenomeni e le prime donne che decretano il successo di 
 una band bensì la condivisione di un progetto e l’armonia che vi regna 
 al suo interno»  
  


Nel lontano 1968, quattro ragazzi di Taio e dintorni, poco più di quattordicenni, suonano presso l’oratorio e propongono le messe beat in chiesa.
Sono Franco Berti al Sax, Paolo Chilovi alle tastiere, Carlo Ziller al basso e Umberto Bergamo alla batteria.
 
Nessuno di loro sa ancora che sarebbero entrati nella storia della musica trentina.
Ma in quel tempo in vacanza in val di Non dalla lontana Trento, ogni estate arrivava Ferruccio Bertagnolli, che la chitarra sa già suonarla molto bene (nella foto qui sopra).
 
Quando questo ragazzotto scopre che i suoi amichetti suonano così bene, rimane entusiasta.
«La musica beat, invece di suonarla in chiesa, da domani la suoniamo nei locali».
Inizia così la storia infinita dei Randagi.
 
Cominciano a suonare la Domenica pomeriggio nella taverna dell’albergo Cristallo di Cles, con il permesso dei genitori perché sono ancora minorenni.
Suonano la musica dei Creedence, dei Rolling Stones, dei Beatles, dei Nomadi.
 
I loro concerti sono un successo e attirano tutti gli studenti della regione.
Da quel momento è una ascesa irresistibile. Suonano dappertutto, in regione e fuori.
Sono acclamati e cercati da tutti a tal punto da dover ingaggiare un loro servizio d’ordine a ogni loro concerto per essere protetti dai fan più aggressivi.
 
Nel 1974 la formazione subisce delle nuove influenze musicali.
«Eravamo tutti affascinati dalla nuova musica pop, – ricorda il loro Leader Ferruccio Bertagnolli. – Ascoltavamo i Genesis, i King Crimson e gli Area.»
 
Questa influenza li convince a cambiare qualcosa. La formazione acquisisce il sassofonista Renzo Paolini. E dopo alcuni avvicendamenti trova il batterista giusto in Arrigo Finadri.
I Randagi cambiano anche il nome e diventano «La Strada».
 
Ma pur cambiando nome, protagonisti [con La Strada entra Renzo Micheletti alla fisarmonica ed esce Renzo Paolini - NdR] e proposta musicale, il successo continua.
«Suonavamo e guadagnavamo molti soldi, – ricorda Arrigo Finadri. – Fare i concerti era il nostro lavoro, facevamo solo quello.»
Fanno anche da spalla ai Newtrolls e agli Area del mitico Demetrio Stratos.
 
La luce però comincia a spegnersi alla fine del 1981.
Una grande restrizione delle normative legate ai concerti live e la volontà da parte del batterista Arrigo Finadri di fare altre esperienze musicali diverse decretano la fine di 15 meravigliosi anni di musica.
Ma fra i cinque ragazzotti dell’oratorio rimarranno sempre un grande rispetto e una grande amicizia.
 
Tanti di loro continueranno per molti anni con esperienze diverse prima di smettere definitivamente.
Ferruccio Bertagnolli rimane tutt’ora sulla cresta dell’onda esibendosi oltre 50 serate all’anno da solo con le basi elettroniche. Oltre a lui, sono ancora attivi sia Paolo Chilovi che Franco Berti.  
 
Oggi Intervistiamo proprio Ferruccio Bertagnolli (foto in basso) insieme ad Arrigo Finadri (foto sotto il titolo), che casualmente sono gli artefici dell’inizio e della fine di questa inarrestabile avventura.
Entrambi sono visibilmente emozionati.
Dopo averci raccontato alcuni aneddoti di quei tempi rompiamo il ghiaccio con una domanda secca. 
 

 
Che ne pensa di questa grande avventura? – chiediamo a Finadri
«La mia storia sarà sempre legata alla musica eseguita con i Randagi e con La Strada.
«Mi ritengo fortunato, – continua Finadri. – Prima di sostituire il batterista originario dei Randagi guardavo con ammirazione i loro concerti. Mi sembravano irraggiungibili, erano il mio mito, per cui il diventarne improvvisamente parte integrante (1975) mi ha dato delle scariche adrenaliniche pazzesche.»
 
Lei da molti anni suona nei pub da solo con le basi elettroniche, – domandiamo a Bertagnolli. – Alla lunga questo non le pesa?
«Certamente non è facile. Avere dei musicisti con cui confrontarsi quando suoni è molto importante, ma ho imparato a isolarmi durante i miei concerti e quindi raramente ne sento la mancanza.»
 
Ricordate qualche aneddoto simpatico legato ai primi passi della vostra carriera?
«La cosa più simpatica e drammatica nello stesso tempo che ricordo, – risponde Bertagnolli – è legata all’acquisto degli strumenti. Di nascosto dai nostri genitori avevamo comprato l’intera strumentazione a Padova spendendo sei milioni di lire di allora – continua Bertagnolli – ed eravamo ancora minorenni.
«I nostri genitori purtroppo vennero a saperlo e inviarono una lettera al negozio dicendo che non sarebbero stati responsabili per eventuali mancati pagamenti.
«Per fortuna alcuni nostri amici maggiorenni garantirono per noi. Comunque in poco più di un anno di concerti pagammo tutto.»
 
Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un buon batterista?
«Tecnica, sensibilità, equilibrio. – Risponde Finadri. – Un unico colpo di batteria può essere trasformato in mille modi, in nuove sonorità sempre diverse. Ecco perché dipende dalla creatività del musicista, dalla sua sensibilità.»
 
E per un chitarrista? – Ci rivolgiamo a Bertagnolli.
«Nella musica e con le chitarre di oggi credo che la conoscenza del proprio strumento possa fare la differenza. Ritengo sia importante personalizzare i suoni della propria chitarra e soprattutto ascoltare con molta umiltà gli altri chitarristi.
«Molti anni fa ho avuto l’occasione di suonare con il grande Irio de Paula, ebbene, rimasi stupito dalla sua umiltà e il suo altruismo.»
 
Quali sono stati i vostri miti?
«Eric Clapton su tutti.» – Risponde Bertagnolli.
«Bill Bruford, Michael Giles, Jim Capaldi e Capiozzo.» – Afferma Finadri. 
 
Cosa vi ha dato la musica in tutti questi anni?
«Ci ha fatto ridere, piangere, superare i momenti di tristezza, di dolore. – Confessa Finadri. – La musica è come una bella donna ammagliante che non riesci mai a conquistare. Quando pensi di averla capita, amata, interpretata, lei fugge nuovamente via. Ma chi fa musica ha una lingua in più e una capacità di adattamento superiore a tutti.»
 
In 40 anni di musica siete legati a qualche vostro strumento un particolare?
«Come non ricordare la mia Stratocaster 07 (foto) importata appositamente dagli Stati Uniti? – Racconta Bertagnolli. – Credo di essere stato uno dei primi ad averla in Italia, era il 1969.»
 
Che consiglio vi sentite di dare ai giovani di oggi?
«Di credere sempre in se stessi, – è Bertagnolli a rispondere. – E di rispettare il proprio carattere. Ma soprattutto di essere consapevoli che condividere su un palco la musica significa comunicare».
 
Vi è rimasto dentro qualche rimpianto in questi lunghi anni?
«Per quanto riguarda la musica, – interviene Finadri – direi proprio di no. Forse il rimpianto e la tristezza di aver perso lungo la strada degli amici cari. Uno su tutti, il grande chitarrista Dario Franceschini morto di leucemia.
«Ricordo – continua Finadri – quando andai all’ospedale di Genova dove era ricoverato a passare un ultimo dell’anno insieme a lui. Io all’esterno dei vetri con le percussioni e lui dentro la stanza dell’ospedale con la chitarra. È stato l’ultimo suo concerto, io ho voluto salutarlo cosi…»
 
 
 
Poi i due protagonisti ci parlano del cambiamento della musica dettato dai tempi e dalle tecnologie. Di quanto purtroppo a volte gli ascoltatori non siano preparati a sentire la musica, delle mode, dei momenti e di tanti ricordi.
Bertagnolli ci parla dei propri figli, che sono consapevoli di chi era suo padre e che hanno seguito le orme del padre.
Ma e’ proprio quando parliamo dei figli che Finadri abbassa lo sguardo, ricurva le spalle in avanti… Sembra solo un lungo momento, ma è un duro nodo alla gola.
«Ho perso mio figlio appena nato, – ci confida. – Mi sarebbe piaciuto vederlo mentre guarda le mie vecchie foto o sente la mia musica. E magari ridere insieme a lui per quanto è cambiata adesso la musica.
«La morte di un figlio, – osserva Finadri – è come l’ordine dell’universo che si frantuma, senti il senso della vita in un vortice confuso di rabbia, pena e ansietà e pensi che sia davvero finita…»
 
Siamo sicuri che la più grande sofferenza nella vita sia la perdita di un figlio.
Allora capiamo il senso delle sue risposte, il coraggio e il conforto che la musica può avergli dato in questi anni, sentiamo il suo cuore battere forte e cercare con gli occhi qualcosa che da tempo non esiste più.
Ora ne siamo sicuri… In questi lunghi anni Finadri ha sempre suonato solo per lui…
Poi, alla mia domanda se oggi esiste la possibilità di una reunion dei Randagi, i due amici si guardano fissi negli occhi, dapprima imbarazzati, poi con un sorriso ironico rispondono che «potrebbe succedere…».
La storia infinita continua.
 
Roberto Conci
r.conci@ladigetto.it

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