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A Sanremo? Manca solo... la musica

Cento parole per le 14 canzoni che difficilmente ricorderemo – Di Roberto Vivaldelli

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Hanno dovuto chiamare Patti Smith e farla cantare la sempre eterna «Because The Night» – scritta col Boss – per farci ricordare che il Festival di Sanremo non è solo il tatuaggio malizioso sulla patonza di Bèlen, i monologhi del molleggiato o gli sketch dei Soliti Idioti.
L’esibizione della leggendaria cantante americana con i Marlene Kuntz è stata davvero memorabile e ha dato un po’ di ossigeno artistico al Festival.
 
Se andiamo ad analizzare i pezzi presentati, non si capisce esattamente come abbiano fatto in tutta Italia a non trovarne di migliori.
Ci si deve accontentare e adeguare ad uno standard davvero basso, a volte infimo.
Andiamo ad analizzare una per una le 14 canzoni del sessantaduesimo festival di Sanremo.
 
D’Alessio e Bertè: L’esibizione più disastrosa.
Certo, da Gigi D’Alessio non ci si poteva attendere niente di buono, ma oltre al pezzo insipido – e poteva andare peggio – la performance fa acqua da tutte le parti.
Mal assortiti e assolutamente incompatibili.
Dispiace vedere la Bertè ridotta a cantare con D’Alessio e sempre più caricaturale.
Seriamente.
 
Dolcenera: Oltre alle notorie simpatie naziste – vedere il video di youtube per credere – una delle artiste più sopravvalutate della canzone pop italica degli ultimi anni.
Voce carismatica, nulla da dire, ma pezzo pomposo e inutile.
Il suo fare da «impegnata» non convince nessuno.
Bocciata.
 
Emma: Più impegnata alla costruzione del suo personaggio – l’arrivo in Limousine è delirante, manco fosse Obama – che non sul lato musicale.
E purtroppo si sente.
È la strafavorita più per simpatia che per capacità.
O meglio: «È brava ma non si applica».
Qualche urletto fa intravedere una gran tecnica e un’ottima espressività ma purtroppo non è abbastanza da scrivere una buona canzone.
 
Noemi: «Sono solo parole».
Scritto da Fabrizio Moro. Ritornello ripetuto all’infinito – troppo - e finale epico.
Meglio di altre, vuoi per la voce perlomeno originale e aggressiva, vuoi per il personaggio meno costruito a tavolino.
Potrebbe vincere.
Ma non è Janis Joplin come qualcuno dice.
 
Irene Fornaciari: Il grande mistero è come sia possibile scrivere un pezzo così Irritante.
Ci mette grande foga ma non basta.
 
Marlene Kuntz: per chi li conosceva già, uno dei più grandi e rispettati gruppi rock italiani degli ultimi 20 anni, autori di capolavori come «catartica» e «Il Vile».
Negli ultimi anni hanno perso i vecchi fan perché si sono dati al cantautorato e si sono «rammolliti».
Eh, la vecchiaia.
Con questa «Una canzone per un figlio» hanno fatto un vero e proprio buco nell’acqua.
Testo sottotono – per chi ci aveva abituato a parole meravigliose come Cristiano Godano – pezzo poco ispirato e fuori dai loro canoni.
Cristiano è più bravo ad urlare che non a cantare.
Peccato.
Speriamo non sia l’inizio della fine.
Da incorniciare però la loro esibizione con Patti Smith.
 
Samuele Bersani: Non vincerà mai, ma è sicuramente uno dei pezzi migliori del Festival.
Elegante e sobrio come al suo solito, bravissimo con le parole.
Forse non trascinante e un poco ripetitivo – complici anche i limiti vocali – ma non importa.
 
Arisa: Vuole far dimenticare un pò quella che è stata in passato e il cambio d’immagine lo dimostra.
Intonatissima, il pezzo non è male e se la cava. Niente di memorabile ovviamente ma tra le donne è la migliore a mani basse.
Mauro Pagani è l’asso nella manica.
 
Matia Bazar: Si trovano sempre a loro agio a Sanremo, è il loro habitat.
Peccato che fosse veramente difficile scrivere una canzone così brutta.
Negli anni ’80 hanno fatto grandi cose, ma erano altri tempi e poi c’era la Ruggero.
Superati.
 
Dalla/Carone: Segati dalla giuria – giustamente – e ripescati per la finale.
Il giovane Pierdavide e il caro vecchio Dalla in un pezzo scialbo e che sprizza retorica da tutti i pori.
Terrificante.
 
Francesco Renga: Cantava nei Timoria ma c’è chi dice che a lui, in realtà, il rock non è mai piaciuto.
A vedere la sua carriera solista, come dargli torto.
Si presenta con un pezzo sulla bellezza ed è tra i papabili vincitori.
Se non altro, la voce non gli manca.
Il talento compositivo, invece, si.
 
Eugenio Finardi: Forse non è più quello degli anni ’70.
Forse il pezzo non è un capolavoro.
Forse non vincerà mai.
Di sicuro è pregevole, di qualità e merita grande rispetto.
 
Chiara Civello: Viene da altri universi musicali e probabilmente Sanremo non è decisamente nel suo DNA.
Indubbiamente talentuosa ma questa canzone ce la scorderemo presto. Di sicuro.
 
Nilla Zilli: Ricorda un pò Amy Winehouse.
E poi? Canzone discreta.
Rispetto ad altre del Festival sembra quasi decente.
 
Roberto Vivaldelli

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