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Ficarra e Picone da Santoro «I politici ci rubano il lavoro»

I comici-conduttori di Striscia ospiti insieme a Sgarbi, Bonolis, Marcorè a Servizio Pubblico.

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C’era da immaginarselo. Per l’ultima puntata (di quest’anno?) di Servizio Pubblico, Santoro ha voluto fare le cose in grande.
Numerosi gli ospiti di eccezione che hanno vivacizzato l’ultima serata della serie (a tratti forse un po’ più noiosa dello scorso Annozero), puntando diritti sullo «scandalo delle Authority».
 
Ognuno ha voluto dire la propria sulle recentissime (e scontate) nomine del 6 giugno, che hanno riguardato i consiglieri preposti al controllo dei mezzi di telecomunicazione (e della Privacy).
Il primo a buttarsi nella polemica è stato Paolo Bonolis, che sulla crisi della televisione, i cui ascolti stanno crollando, ha deplorato «E’ venuto meno un fattore importante: la passione. Non solo la passione da parte di chi la interpreta, ma anche di chi la scrive, l'amministra e la dirige. Quando si smette di domandarsi «cosa vogliamo fare» e ci si chiede solo «cosa vorranno vedere», quando è la convenienza alla base di ogni progetto televisivo, tutto diventa grigio e omogeneo, e chi ci lavora finisce per farlo solo per i privilegi che la tv ti dà».
 
Gianni Boncompagni, intervistato dall'inviato, è andato oltre, raccontando (come un nostrano Orson Welles de La guerra dei mondi)l’occupazione della direzione generale Rai nientemeno che da parte di un’orda di extracomunitari (ovvero gli interessi-extra della Rai) che tengono in ostaggio i lavoratori, sfamandoli a suon di salsicce e cibi etnici e decidendo al posto loro stipendi e palinsesti.
Poi è stata la volta di Vittorio Sgarbi, che rivolgendosi a Santoro l’ha elogiato.
«Per qualche tempo ho pensato che tra le espressioni più alte di arte contemporanea ci fosse Blob. Ho un’adorazione per Ghezzi, capace di tradurre in una straordinaria sinfonia jazzistica l’altrimenti irrimediabilmente noioso e inerte prodotto televisivo.
E trovo che oggi quello tu hai fatto (Servizio Pubblico) sia l’unica forma civile di tv, fatta con la volontà di chi la guarda e non con l’imposizione di una serie di deficienti che fanno i palinsesti sbagliati, decidendo arbitrariamente chi far lavorare e chi no (che si riferisse alla chiusura anticipata del suo programma «Ci tocca anche Sgarbi»?).»
 
Infine il critico d’arte ipotizza che la diminuzione degli spettatori di Canale5 e Rai1 corrisponda esattamente al calo dei partiti politici, e che il crollo dello share e dei partiti significhi anche la disaffezione dei cittadini rispetto alla democrazia.
Nell’illustrare questa teoria Sgarbi rispolvera una massima di Gheddafi (deceduto il 20 ottobre 2011), secondo il quale «se dieci stanno in Parlamento, non è democrazia ma diecicrazia ».
 
Semplicemente «ognuno rappresenta se stesso».
Ne discende che quanto più è ampia la platea che decide tanto più c’è democrazia.
«I deputati che affollano il Parlamento decidono solo per se stessi, non per gli italiani», così come «il mondoantico della televisione ha perso il proprio rapporto di realtà con i cittadini».
 
Ribadisce Sgarbi, rinnovando aSantoro la sua stima per il primo esperimento di televisione concretamente voluta dal pubblico che la segue.
E conclude «Occorre una rivoluzione!», a cui Santoro replica «Finisce che in vecchiaia facciamo un partito insieme» suscitando l’ilarità generale (probabilmente anche di chi non ha visto la puntata).
 
La parola passa poi a Ficarra e Picone, che ironizzano «Siamo preoccupati dall’età media dei politici, i loro delfini hanno più di settant’anni! Per favore morite (politicamente, ovvio) e lasciate spazio agli altri».
Sull’applauso del pubblico chiudono «i partiti a noi comici servono, non toccateci i politici! Ultimamente però ci mettono in difficoltà; la laurea di Renzo Bossi in Albania non l’avremmo mai potuta pensare, così come l’acquisto della casa «a mia insaputa». Questa è concorrenza sleale, ci rubano il lavoro!»
 
E così, tra una battuta e un servizio sulla crisi di Cinecittà, scivola via anche l’ultima puntata della stagione.
Un esperimento, quello di Servizio Pubblico, che pur con le sue pecche ha fatto parlare di sé, ed è probabile che l’anno prossimo Santoro trovi nuovamente una collocazione tra le reti «maggiori».
Si parla ancora una volta di La7 e non a caso ospite in studio questa volta c’era anche Freccero (direttore di Rai4), reduce da una dichiarazione piuttosto esplicita sull’argomento, datata 27 maggio «Santoro a La7 sarebbe il trionfo della tv generalista».
 
Eppure, malgrado l’imponente introito pubblicitario del programma faccia gola a molti (si parla di 15 milioni di euro nella stagione 2010-2011 di Annozero), non c’è ancora nulla di certo.
Chissà che non tocchi ancora una volta ai 100mila fedelissimi finanziatori (citati sempre nella sigla) mettere mano al portafogli.
 
Insomma, la via crucis di Santoro (con Travaglio e Vauro al seguito) ricorda tanto la storiella di «sora Camilla».
Tutti lo vogliono ma nessuno se lo piglia.
Staremo a vedere.
 
Francesca Mazzalai
f.mazzalai@ladigetto.it

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