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Conclusa ieri la quarta edizione delle Rotte del Mondo

Rigoberta Menchù: L’energia positiva dell’umanità deve risvegliarsi

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Si è conclusa ieri sera con Rigoberta Menchù, premio Nobel per la pace 1992, la quarta edizione de «Sulle Rotte del Mondo», la manifestazione che ogni anno riporta in Trentino i suoi missionari impegnati in uno dei cinque continenti (quest'anno l'Europa).
Introdotta dall'assessore provinciale alla solidarietà internazionale e convivenza Lia Giovanazzi Beltrami e da Francesco Comina del Centro per la pace di Bolzano, la Menchù, guatemalteca, una famiglia sterminata durante gli anni bui della dittatura e del genocidio degli indios, ha parlato al cuore dei tanti presenti, evocando i valori profondi della cultura Maya e delle altre culture «indigene» dell'America e spezzando una lancia in favore di «un'agenda comune per lottare insieme», ma anche per imparare a conoscerci, e a riconoscerci, di là da ogni confine.
«La società può trasformarsi, ma prima la trasformazione deve avvenire dentro a ciascun individuo», ha detto ancora, auspicando un risveglio dell'energia positiva dell'umanità.
 

 
Pubblico delle grandi occasioni ieri sera alla sala della Cooperazione di Trento per l'ultimo evento pubblico del programma delle Rotte del Mondo, dedicato a Rigoberta Menchù, la portavoce dei diritti degli indios, ed in particolare dei Maya del Guatemala, che nella sua biografia - pubblicata nel 1983 - denunciò a gran voce gli orrori della dittatura e della guerra civile.
«Siamo qui a 122 anni dalla nascita del cooperativismo in Trentino, grazie a don Guetti - ha detto in apertura l'assessore Beltrami -  per ribadire un concetto già emerso con forza durante queste giornate spese assieme ai nostri missionari: la solidarietà non è dare il proprio surplus all’altro, è rendere l'altro protagonista di uno scambio. E', quindi, uno stile di vita. Concludiamo non a caso questa settimana con una donna molto speciale, una donna con una fortissima spiritualità, quella Maya, che ritorna a quattro anni di distanza da una sua precedente visita in Trentino.»
 
Una donna, ha aggiunto Comina, che ha ricevuto il Nobel nel 1992, nel Cinquecentenario della scoperta delle Americhe, ovvero «di quell'evento che inaugurò una stagione devastante per gli indios, con 70 milioni almeno di persone immolate sulla «spada» dell’era moderna, iniziata proprio con il viaggio di Colombo».
Comina ha letto quindi uno stralcio di una poesia del compianto padre Turoldo, dedicata proprio a Rigoberta Menchù, ma anche ai suoi genitori e fratelli, uccisi dal regime militare, di stampo fascista, che a lungo ha governato il Guatemala. Su padre Turoldo, è arrivata subito anche la testimonianza, molto toccante, della Menchù.
«A quei tempi il genocidio in Guatemala era ancora in corso. Quando padre Turoldo partì per Parigi per curarsi dal cancro, disse: forse con questo denaro posso salvarmi la vita, ma se lo dò a Rigoberta può salvare diverse vite. Era il denaro che aveva messo da parte per la sua salute. E me lo diede. Era una persona straordinaria. Ma tutti noi possiamo essere persone straordinarie, se abbiamo una coscienza. La spiritualità ci aiuta a pensare non solo a noi stessi ma anche in favore degli altri. Spesso vediamo che ci sono individui che lottano da soli. Penso sia importante che le persone possano lottare assieme. Lottare per migliori condizioni di vita, ma anche per cambiare nel profondo di noi stessi. Quali sono i problemi più grandi, che vedo oggi intorno a me? Innanzitutto la mancanza di felicità fra la gente. Al tempo stesso la gente è insaziabile. Vediamo persone che hanno molto successo ma questo successo non le rende felici. Anzi, odiano gli altri, coltivano il razzismo. Per questo è importante avere un’agenda comune, anche se viviamo in paesi diversi. L'energia positiva dell'umanità deve risvegliarsi.»
 
 
 
Nel sui intervento, Rigoberta Menchù ha toccato il tema della tutela dei diritti degli indios, per la quale si è lungamente impegnata anche in seno alle Nazioni Unite, contribuendo a fare approvare una nuova convenzione, la 169.
«Questa convenzione ci  dà il diritto di essere consultati, prima nessuno ci chiedeva nulla. Ed è già un bel risultato. Ma spesso i nostri interlocutori, i governi, non ci capiscono, neanche quelli di sinistra, che dovrebbero essere più attenti alla nostra cultura e ai nostri valori. Prendiamo la nostra concezione della terra. Per noi la terra è madre, è l'utero in cui ci insediamo dopo la nascita. Per i governi è una cosa da sfruttare; quello che importa loro è che le multinazionali del settore minerario paghino le giuste royalties. Noi non possiamo accettare il fatto che la terra venga svenduta.»
 
Dopo avere salutato il marito, presente in sala, e i genitori adottivi, di Torino, Mariarosa e Piero, la Menchù ha inoltre parlato del suo progetto di dar vita, nei pressi della capitale del Guatemala, ad un museo della memoria.
«Abbiamo raccolto per vent'anni le testimonianze delle violenze commesse nel nostro paese, delle persone uccise, delle persone che non hanno nemmeno una tomba, come mio padre. Adesso per i prossimi 20 anni voglio dedicarli a preservare la memoria. Deve essere un museo che abbia anche una valenza mistica. Bisogna uscire di lì pensando che l’uomo deve trascendere tutto questo. Porterò qui la medaglia del Nobel, che ora è a Città del Messico, perché all’epoca, quando mi venne conferito, ero in esilio, e con me altri 200.000 guatemaltechi. Con il Nobel è iniziato di fatto il ritorno a casa. Le donne hanno iniziato a dire che non volevano più che i loro figli andassero in  guerra, né con l’esercito né con i guerriglieri.»
 
Infine, la politica, che fino ad oggi non ha premiato l'impegno di Rigoberta. Ma lei non si scoraggia.
«8 anni fa abbiamo creato un partito, il 96% dei suoi membri è Maya, il 44,5% dei rappresentanti locali sono donne. Per noi è stata una conquista già partecipare alle elezioni. Non ci sentiamo sconfitti anche se non abbiamo vinto. Ovviamente dobbiamo rinvigorire la leadership. Il cambiamento deve arrivare dai Comuni, dal basso. Dobbiamo coltivare questa visione comunale, municipale. Alle presidenziali ci dovremo alleare. Ma sappiamo che se anche vincessimo ci sconfiggerebbero in un giorno, perché i poteri economici non sono con noi, perché il razzismo è molto forte. 
«Noi non abbiamo risorse da distribuire, neanche in campagna elettorale. Molte elezioni in Guatemala si vincono facendo dei regali, regalando fagioli, fertilizzanti. La gente mi dice: Rigoberta, ti vogliamo bene, ma tu non hai niente da regalarci! Non credo che io sia destinata a governare il Guatemala. Ma voglio proseguire su questa strada.  Dobbiamo formare i quadri, dobbiamo imparare a fare politica all’occidentale ma senza dire bugie.
«Nessuno è penetrato nei recessi della nostra cultura ancestrale. Hanno sempre visto tutto questo come un movimento campesino, di contadini, e basta. Ad esempio il calendario Maya. Se lo si vede solo come un sistema di calcolo del tempo non si capirà mai la sua filosofia. Marx non ha capito queste cose. Neanche Che Guevara. 
«In Nicaragua, Ortega capisce di più la questione dell’identità dei popoli. Ed Evo Morales in Bolivia la capisce più di tutti, lui è un fratello, un amico, ma governa un paese molto complesso, molto povero. Il suo esempio dimostra comunque che le cose possono cambiare. Se lottiamo assieme.»

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