Un Canto necessario per un credente sul cammino della fede
Il «matematico impertinente e impenitente» Piergiorgio Odifreddi parte in pellegrinaggio per Santiago di Compostela. E quindi parte, immantinente, la nostra Victoria Haziel (Prima parte)
«Pellegrini comuni»
e «Pellegrini (d)a Vinci»
Partiamo dalla premessa, un dato di cronaca.
Oggi 24 aprile il «matematico impertinente e impenitente»
Piergiorgio Odifreddi parte in pellegrinaggio per Santiago di
Compostela, una delle mete classiche dei cammini a piedi verso
santuari da secoli ambiti dai fedeli di culto cattolico. Vie
francigene o di San Michele in Italia e all'estero, strade che
portano a Roma o a Gerusalemme, e via pellegrinando.
Ma che ci fa un ateo come Odifreddi su un cammino di fede? La
richiesta provocatoria gli è stata fatta da Sergio Valzania,
direttore dei programmi radio della Rai: mettere sulla stessa
strada un credente (lui stesso, alternato al medioevalista Franco
Cardini) e un ateo (Odifreddi).
Per 800 chilometri e la durata di un mese si troveranno fianco a
fianco - di piedi e di testa - «ma col privilegio di avere un'auto
al seguito, quindi senza il gravame dello zaino e di altri pesi da
portarsi dietro», confessa lo stesso Odifreddi in una recente
conferenza di lancio dell'iniziativa al «Circolo dei lettori» di
Torino.
Leggo poi qualche pillola di intervista su Vanity Fair. «Ci
confronteremo a botte di eresie… Dimostrerò che la fede è fuori
della ragione.» Una diretta radio seguirà lo speciale
cammino.
E qui, parto io, mossa da un ben diverso «santuario» come meta e da
un ben più universale «santo» da venerare.
Ma innanzitutto spinta dall'ondata della provocazione che mi viene
da questi due «Assoluti» a confronto: fede e ragione. Faccio un
«fischio» e virtualmente chiamo a raccolta quelli della «terza
via»: i «Pellegrini (d)a Vinci». Atei e credenti che
siano: ma non in contraddizione, visto il denominatore comune:
Leonardo, mio Maestro e guida da più di vent'anni.
Per comodità di chi scrive e di chi legge, ricorrerò a due sigle:
«p c», che sta per «pellegrino comune» e «P (d)a V», che sta per
«Pellegrino (d)a Vinci», appunto. Sembra una formula matematica o
di calcolo algebrico. Ma d'altra parte, se dobbiamo fare il
controcanto a Odifreddi, serviamoci anche noi delle nostre belle
formulette.
Mi sono occupata a lungo di pellegrinaggi per una serie di incontri
da me ideati e condotti con esperti e testimoni, letture da diari
di viaggio e «colonne sonore» di pellegrini, ma più che altro ho
fresco nella memoria e sulle carte dei miei taccuini il
«pellegrinaggio (d)a Vinci».
Il caso vuole che mentre Odifreddi parte per la sua meta, io sia
appena tornata dalla mia: «Vinci».
Vinci - è bene precisarlo, mi dicono gli indigeni - è il borgo che
ha dato i natali a Leonardo. Insomma, «da Vinci» non è un cognome
come d'Ambrosio o d'Amato, indica il luogo di provenienza del genio
toscano. Nel nostro caso, la «d» messa tra parentesi serve a
indicare sia il pellegrinaggio «a», sia quello «da» Vinci.
Il luogo di partenza e d'arrivo, borgo incantevole tra le colline
toscane della valle tra Empoli e Fucecchio, sta metaforicamente a
indicare il nostro «santo» laico: proprio lui, appunto: Leonardo.
In questo caso eletto a meta agognata, a Maestro di via. Non
dell'ateo, né del credente. È quella che ho chiamato «la terza
via», che andremo a conoscere lungo il cammino.
Genericamente possiamo dire che è la via non degli Assoluti (come
vorrebbero Scienza e Fede, l'una contro l'altra armate), ma del
Relativo. È la via che non separa, ma comprende gli opposti, tutti
i contrari. Un po' come ci si presenta Leonardo: solitario e
mondano, disordinato e preciso, umile e superbo, incostante e
ostinato, lento e veloce, pratico e fantasioso, amante della
bellezza suprema e inventore di ordigni di morte, combattuto in
ugual modo dal desiderio e dalla paura, altalenante in questa
compulsiva dualità tra la massima serietà e l'estrema futilità, il
gioco (l'hostinato rigore nello studio e l'amore mi fa
sollazzare, motivo ispiratore di un rebus).
Insomma, come l'eclettico artista di Vinci diceva nel suo Trattato
di pittura, si tratta dell'ombre compagne dei loro lumi. È
comunque la via del piacere e non del dolore. Una strada anche
metaforica e virtuale, che si allarga a comprendere un cammino non
definito nei luoghi e nel tempo della durata. È il cammino stesso
della nostra vita, il pellegrinaggio di conoscenza e di emozioni
fatto da persone senza etichette, spogliati di tutto. Insomma,
partiamo nudi e lungo la via ci togliamo e ci mettiamo solo quello
che scegliamo. Niente imposizioni, divieti, obblighi, negazioni,
che non vengano da noi stessi.
La guida è lui: punto di partenza e d'arrivo, nel cammino della
mente e del cuore. Il Maestro del libero pensiero, l'uomo «più
inesorabilmente curioso della storia», come è stato definito. Il
Maestro della conoscenza (il grande amore nasce dalla grande
conoscenza dell'oggetto che si ama). Amore, ma anche odio,
naturalmente (aggiungo io, umile allieva).
La proposta qual è? Quella di fare anche noi qualche ideale tappa
di questo grande e affascinante cammino nel mondo che abbiamo a
disposizione, specie dopo aver acquisito le consapevolezze
basilari, che sono poi il nostro bagaglio interiore inaccessibile
ai ladri di anime e di passi altrui. E impareremo anche a conoscere
sistemi di «antifurto» da attivare per rendere inespugnabile il
bagaglio.
Una volta aperto lo scenario abbozzato a larghe pennellate del «p
c» e del «P (d)a V», non ci resta che partire.
Con che mezzo partiamo? Limitiamoci ai reali strumenti di
locomozione, contraltare del pellegrinaggio tradizionale fatto
rigorosamente a piedi (non dimentichiamo che c'è chi si fa i
gradini delle «Scale Sante» in ginocchio!).
Dunque, stando al mio recente mezzo di trasporto, da Torino un
comodo «Eurostar» mi ha portata a Firenze. Di lì un altrettanto
comodo taxi ha sostituito il trenino per Empoli e poi il mezzo per
Vinci. Una coincidenza fortuita, perché da Firenze l'autista doveva
andare proprio a quell'ora e quel giorno in un paese vicino. Il
caso ha molta parte nei pellegrinaggi (metaforici e non), e a volte
può essere decisivo per un incontro o una scelta. Ce l'abbiamo già
in dotazione nel kit di sopravvivenza: non sottovalutiamolo (Quando
fortuna vien, prendila a man salva. Davanti, dico, perché di dietro
è calva). Il da Vinci la sapeva lunga sul fatto di prendere al volo
«treni» importanti che potrebbero passare una volta sola.
Sempre il caso - stavolta le condizioni meteorologiche di pioggia
continua - ha voluto che nel mio recente pellegrinaggio a Vinci non
abbia potuto giovarmi della scorciatoia che da «Casa Eden» porta
alla dirimpettaia collina del borgo di Vinci: parlo del cammino
ripieno d'incanto in mezzo al bosco di ulivi bassi, con la chioma
all'altezza degli occhi, quasi sagome anche loro di pellegrini
tanto, che ti viene voglia di farne dei bozzetti o di fotografarli
per portarteli via di lì (la pittura è nipote di essa natura e
parente d'Iddio, sembra bisbigliare la collina). Gli ulivi
sono a modo loro pellegrini anch'essi, compagni nel cammino ideale
della natura verso le pietre del Borgo, solide testimoni e
costruttrici del «santuario» (laico) da Vinci. Luogo profano per
gli uomini di chiesa, che invece si può definire senza timore
«sacro». Proprio perché ha dato i natali all'uomo che sull'altare
metteva la sacralità della vita.
No, dicevo. Stavolta ho dovuto sempre dirigere i miei passi verso
la strada tra le ville che raccorda con la provinciale, e poi
continuare su questa, spesso con l'ombrello aperto. I pellegrinaggi
agli stessi luoghi in certi casi per necessità devono seguire
cammini diversi. Anche la necessità è in dotazione nel kit.
Pensiamo solo che il mondo è progredito «grazie» a uno stato di
necessità dietro l'altro: dalla ruota al fuoco alla leva, fino alla
posta elettronica.
Dunque, anche di questa facciamo buon uso durante il cammino. Per
esempio, è proprio quel pellegrinaggio per costrizione, due o tre
volte al giorno (c'è anche di mezzo qualche passaggio in macchina
rimediato da amici, altrimenti i conti non tornano) mi ha fatto
venire in mente il paragone tra i due tipi di pellegrini. Il «P
(d)a V» ha non una, ma parecchie marce in più rispetto al «p
c».
Cominciamo con quella fondamentale: la motivazione della partenza e
la natura del viaggio. Il «p c» deve quasi sempre espiare una
colpa. E per fare questo si sottopone innanzitutto alla tortura dei
piedi, che lungo il cammino si riempiranno di piaghe, di bolle,
richiederanno cure, ma il pellegrino peccatore li sottoporrà a
sofferenze ripetute e a lungo. Zitto e soffri, perché devi espiare.
Per non parlare della sopportazione di ogni condizione
meteorologica estrema: dal caldo che fiacca il corpo e lo carica di
arsura, al freddo e alla pioggia che lo caricano materialmente di
oggetti utili da infilare nel pesante zaino, insieme a quelli per
ripararsi dai venti furiosi o dagli animali. E perché no?
Dall'assalto di banditi specializzati nel ripulire i viandanti.
Il «P (d)a V», invece, fa il suo viaggio libero dal fardello
pesante e pericoloso dei sensi di colpa, dalla maledizione del
peccato, dal dovere dell'espiazione e della penitenza, dal gusto
sadico della autoflagellazione. L'allievo del Maestro di Via
insegue percorsi di piacere, si inventa strumenti per alleggerire
le fatiche (era l'ossessione prima di Leonardo, i suoi taccuini
sono zeppi di invenzioni di macchine per agevolare i lavori
dell'uomo, persino in cucina!). Il «P (d)a V» segue la strada più
breve e meno tortuosa, cerca di evitare i pericoli e di pensare
prima di agire (Chi poco pensa molto erra).
Non dimentichiamo: tra gli Assoluti dell'ateo e del credente ci
siamo noi, con il nostro relativismo. Ognuno con il suo universo a
sé stante, alla ricerca di sintonie che uniscano universi opposti
ma simili. Parlo di sintonie alte, perché il «P (d)a V» è persona
che quasi viene dal futuro o da un mondo «extra» che nulla ha a che
fare con questo, e cammina a una spanna da terra. Quasi sulle acque
(non per nulla la sua sigla è scritta con la maiuscola). È capace
di volare (sulle umane miserie e sulla stolta
moltitudine). Tanto capace di alzarsi da terra, che certe
volte si muove proprio con l'aereo: mezzo assolutamente escluso dal
«p c», che impiega un mese per coprire una tratta che l'aereo fa in
due ore. Meraviglia della tecnologia, conquista del progresso che
il Maestro prefigurava con esperimenti arditi, precursore di
tutto.
O altrimenti, il «P (d)a V» si muove a bordo di comode vetture,
treni, biciclette, motorini, bus, taxi. Talvolta ama andare anche
lui a piedi, a passi lenti o veloci. Magari per sudare e far calare
chili di troppo. Insomma, sempre a fin di bene e con moderazione.
Altre volte approfitta di passaggi da amici o parenti.
Ma soprattutto, lo speciale pellegrino si fa portare dalla
fantasia, dal gioco, dal sogno, dall'illusione, dalla speranza.
Tutto l'impalpabile, il «vuoto» che la Scienza (e la Ragione) di
Odifreddi non può toccare e quindi nega.
I «santuari» del «P (d)a V» sono dappertutto. Persino nei luoghi
speciali dove può sedersi e gustare cibi e bevande che lo mettono
in pace con il mondo, lo riconciliano con la vita. Un buon
bicchiere e un buon piatto, possibilmente in buona compagnia.
Questa è la sua comunione e non ha bisogno di confessare a un altro
i suoi peccati per accedere alla mensa. Anzi, spesso pecca di gola
mentre compie il rito della tavola.
La magia, il miracolo sono quelli indicati dal Maestro.
«Facciamo nostra vita coll'altrui morte…Nella cosa morta riman
vita dissensata, la quale ricongiunta alli stomaci de' vivi
ripiglia vita sensitiva e 'ntellettiva».
Il «P (d)a V» non è transito di cibo. Non riempie lo
stomaco (anche metaforicamente) purché sia. Sa discernere il
genuino e sincero dal falso e contraffatto. Sa «mangiare» la vita.
E' onnivoro, sì: la vorrebbe inglobare tutta, ma sta attento alle
indigestioni e alle allergie, sa scegliersi i compagni di mensa,
amici veri che sanno come trattare tra di loro (riprendi
l'amico in segreto e laudalo in paleso).
E per qualche traditore che non manca mai, il «P (d)a V» non passa
alla Storia, pensa piuttosto come rendergli prima o poi la pariglia
o confida che il Caso lo faccia. Ha al massimo due guance, esaurite
le quali preferisce rendere lo schiaffo e non farsi venire l'ulcera
per il rospo inghiottito senza reagire. Tira in ballo anche la
scienza e le sue leggi estensibili ai rapporti umani.
«A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria»…
Prendete dunque un «foglio di via», voi che avete voglia di
indossare i panni del «P (d)a V», e seguitemi nella prossima tappa.
Perché il viaggio continua.
Vi saluto con un lasciapassare leonardesco «Chi non stima la vita
non la merita».
Vale per tutti i pellegrini. Anche per i «p c», compresi Odifreddi
e compagni, ai quali auguro buon viaggio.
Alla prossima tappa. Davincianamente vostra,
Vittoria Haziel
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