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Fatti e misfatti della campagna elettorale per le provinciali

Dalla gaffe di Rossi alla mossa sbagliata di Mosna, dagli assi nella manica di qualcuno alle figuracce mediatiche di altri

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Ieri sera Crozza, in una trasmissione Rai ha detto che si sono concluse le elezioni provinciali in Trentino, «più noiose della finale di Miss Italia».
Si riferiva alla vittoria, evidentemente per lui scontata, del Centrosinistra e alle sconfitte del Movimento Cinque Stelle, di Forza Italia (da noi Forza Trentino) e della Lega.
Vista dall’esterno può sembrare un’indicazione per il resto del Paese, ma il Trentino fa testo a sé, se non altro per la presenza del Partito Autonomista nel Centrosinistra.
Ma su una cosa ha ragione: la campagna è stata un po’ noiosa. E scontata.
Vediamo di analizzarla un momento.
 
La presenza di ben 11 candidature alla presidenza e di 23 partiti sta a indicare che l’uscita di scena di Dellai ha fatto pensare alla gente che sarebbe stato possibile farcela.
In parte si è trattato di semplice presunzione, perché abbiamo assistito a tante presenze di dilettanti, cioè persone che non avevano mai frequentato un partito, né tantomeno vi avevano militato.
E non ci riferiamo solo al simpatico Agostino Carollo, che ha ottenuto i suoi bravi 829 voti, ma al fatto è che i risultati dimostrano che i Trentini preferiscono i professionisti. Chi ha dato prova di sé
 
La scesa in campo di Diego Mosna ricordava il generoso gesto di Cincinnato, che abbandonava l’aratro per fare il dittatore pro tempore, cioè il tempo necessario per salvare la situazione.
Nessun riferimento alla dittatura, per carità, ma all’emergenza sì. Solo che in Trentino non c’erano emergenze tali da chiamare Cincinnato.
La novità ha peraltro interessato i Trentini di centro orientate più a destra che a sinistra, e in particolare a quella destra moderata che non riusciva a trovare un leader da anni.
Fatto sta che la tenzone si è concentrata sui due candidati alla presidenza Ugo Rossi e Diego Mosna.
 
Rossi partiva avvantaggiato. Sulla carta aveva già vinto, quindi poteva solo commettere errori. Di qui la sua decisione di pronunciare interventi moderati e di non attaccare mai la concorrenza. Quasi mai, come vedremo dopo.
Mosna aveva tutto da costruire, quindi soprattutto doveva attaccare. La cosa non gli è stata facile, anche perché ha condiviso (sinceramente) gran parte dell’operato della Giunta Dellai.
Ed è qui che Mosna ha perso: alla ricerca della battaglia campale.
Quello che non ci saremmo aspettati è stato lo scarso successo di Mosna, sul quale spenderemo un pensiero in più.
 
Come dicevamo, Mosna ha militato in tutta eleganza per gran parte della campagna, finché non ha dovuto attaccare: altrimenti aveva perso, punto.
L’attacco avvenne una settimana prima dell’antivigilia, quando Mosna tenne una conferenza stampa per fare il suo j’accuse! contro la Giunta uscente.
Gli argomenti portati in campo erano sostanzialmente l’indebitamento della Provincia e l’atteggiamento morbido di Trento nei confronti di Roma.
Ma è stato un errore, perché in questa maniera ha dimostrato di conoscere poco quella provincia che lui si proponeva di governare per cinque anni.
 
I giornali dapprima cavalcarono la polemica di Mosna, poi dovettero abbandonarlo perché era insostenibile.
«Tutti contro Mosna», intitolava un quotidiano, dopo averlo sostenuto in un primo momento.
D’altronde, era innegabile che l’aver virtualmente scoperto l’acqua calda, dava agli avversari ampi argomenti di attacco.
E così Rossi lo ha atterrato con una mossa di judo: attendere che l’avversario ti attacchi per buttarlo a terra sfruttando la sua stessa energia.
E qui dobbiamo aprire una parentesi quadro sulle campagne elettorali cui abbiamo assistito.
 
Lo staff di un candidato è virtualmente formato da un insieme di persone che svolgono varie funzioni, un organizzatore, un redattore, un pubblicitario, un promotore, un PR, un logistico, un amministratore e, dulcis in fundo, uno «spin doctor».
In realtà accade però che non si attornia di professionisti, ma da amici. Decisione più che comprensibile, dato che in politica è bene non fidarsi.
Quanto allo spin doctor, però, è un ruolo che in provincia non viene mai preso in considerazione dal candidato, perché generalmente pensa di essere il miglior consulente di se stesso.
Visto che la figura di questo personaggio è chiave per la riuscita di una campagna, è bene spiegare che lo spin doctor è un il consulente assunto per dare ai media un'interpretazione favorevole degli eventi organizzati, per interpretarne le reazioni e per progettare le contromosse.
 
Si tratta dunque della persona chiave se non altro per evitare gaffe.
Lo diciamo perché la sua assenza è stata evidenziata da una serie di capitomboli di personaggi di alta statura. Delle gaffe di Mosna abbiamo parlato. Ma anche Rossi non è stato esente.
Appena avviata la campagna, Rossi uscì con un manifesto il cui slogan recitava «Vincere!». Ora, non occorre essere esperti navigati per intuire le battute degli avversari.
La frase, pronunciata da Mussolini alla dichiarazione di Guerra, è passata alla storia come la promessa più importante mai mantenuta.
«La parola d’ordine è Vincere! – aveva detto Mussolini davanti a una folla oceanica. – E vi dico… che vinceremo!»
 

 
Insomma, la frazione di secondo può essere definita come il lasso di tempo che è passato dalla presentazione della campagna di Rossi e le battute che ha generato.
Facebook si è divertito alle sue spalle. Niente di male, per carità, ma i detrattori e gli avversari avevano gongolato: bastava che il pubblicitario avesse avuto un minimo di sensibilità storica, che quella frase non sarebbe mai uscita.
Nell'immagine qui sopra vediamo la caricatura di Rossi davanti al palazzo di Piazza Venezia all'epoca del fascismo. Sottile il fatto che sia stato scelta la Casa del fascio di Trento e non di Roma... Anche il carattere usato, lo Yugendstil (Art Nouveau nel mondo non tedesco), è quello dell'epoca fascista; un capolavoro.
 
Gaffe ne hanno fatte un po’ tutti coloro che hanno chiamato a Trento personaggi di rilievo nazionale affinché trasferissero all’elettorato trentino la simpatia nutrita presso l’intero paese.
Il concetto è di per sé un ossimoro [cioè un’incongruenza voluta anche se riconosciuta come tale – NdR], perché è difficile trovare elementi di simpatia in politici che hanno lasciato debiti nelle proprie amministrazioni (come l’ex sindaco di Roma Alemanno) o disastri ambientali (come il presidente della regione Puglia Nichi Vendola), o crolli annunciati (come Beppe Grillo), o battaglie perdute (come Daniela Santanché).
Di tutte queste figure e da rilevare la battuta di Michela Bancofiore: «Non è una sconfitta di Forza Italia». Infatti, è stata la sconfitta di «Forza Trentino», che si è bruciato una donna interessante come Franca Penasa.
 
Un discorso a sé meritano l’UPT e il PD.
Il primo ha visto Lorenzo Dellai portare avanti i propri valori di sempre, senza però incidere in maniera significante presso il proprio elettorato. In pratica ce l’hanno fatta solo Mellarini e Gilmozzi della vecchia guardia, uno dei quali troverà certamente posto in Giunta.
Ma l’avventura dellaiana porta alla logica che il Trentino deve rivedere un po’ l’intero collocamento del Grande Centro. Patt, UPT e altre liste dovranno convergere a una formazione unica, altrimenti la prossima campagna politica nazionale potrebbe essere un bagno.
Per quanto riguarda il PD, Matteo Renzi è venuto a fare la propria campagna per la corsa alla segreteria nazionale del partito. Così facendo, ha comunque trasferito presso l’elettorato locale la propria simpatia, indipendentemente dagli argomenti affrontati (non ha accennato ai problemi dell’Autonomia).
Il PD ha portato un altro personaggio certamente più importante di Renzi, ma molto meno testimonial di lui: Massimo D’Alema. Quest’ultimo anzitutto è la storia del nostro Paese, ma è anche la storia delle autonomie di Trento e di Bolzano, perché sotto il suo governo sono avvenuti passi importanti nel passaggio di competenze. Eppure, D’Alema non ha pronunciato discorsi: è venuto solo a sostenere i suoi e a concedere una conferenza stampa.
 
Per tornare agli errori di casa nostra, la portante sbagliata che ha generato i veri anticorpi sono state le promesse fatte sulla falsariga (involontariamente, per carità) di Silvio Berlusconi.
Il promettere benzina gratis agli elettori sarebbe un’ottima idea. Prima ancora il pasto gratuito alle mense per i pensionati sotto una certa soglia di povertà, argomento che riprenderemo.
Ma in entrambi i casi sono cosa da fare e non da promettere.
O da fare in tempi non sospetti, cioè da inserire nel programma condiviso dalla coalizione che lo esprime. Nel caso specifico, si è voluto fare una sorpresa finale, alimentando invece l’idea che – messi alle strette – si era tentato di giocare l’asso nella manica («gli assi nella manica li tengono i bari», aveva commentato Rossi nella Conferenza stampa di conclusione).
 
Ma il colpo da maestro l’ha fatto Grisenti, quando ha predicato la lotta contro il «malaffare».
Non sappiamo esattamente quale sia stato il pronunciamento di Silvano Grisenti, ma rifacendosi alla locandina pubblicata dal giornale l’Adige quella mattina (foto qui sopra), quella precisazione pubblicata «noi esempio», ha suonato terribilmente come un’autoironia distruttiva.
Si, perché una persona coinvolta (ancorché se innocente) in una vicenda giudiziaria che lo ha investito mentre era un politico in carica, non può parlare di lotta al malaffare. Sarebbe come parlare di corsa in casa dell’impiccato.
Grisenti è una brava persona, lo sappiamo. Qui l’errore è stato fatto da chi non lo ha consigliato a desistere da quell’affermazione, peraltro doverosa di principio per un qualsiasi uomo politico.
Fosse anche stato assolto in pieno (una piccola condanna l’ha avuta), uno spin doctor gli avrebbe vietato di fare questa dichiarazione: l’effetto semantico della comunicazione avrebbe sollevato un mare di argomenti che in campagna elettorale sarebbe stato meglio dimenticare
Sarebbe come se Brerlusconi (Grisenti ci perdoni se il paragone può suonare irriverente) predicasse la lotta allo sfruttamento della prostituzione. Sappiamo che Berlusconi non si è mai macchiato di simili infamie, ma la sua figura chiacchierata avrebbe fatto ridere se avesse predicato un appello alla moralità sessuale.
 
In realtà chi ha fatto vincere i candidati sono stati i promotori: quelli che si sono mossi per andare a cercare i propri consensi nel territorio.
Ma di questo parlerenmo in altro articolo.
 
Guido de Mozzi

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