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Chi ha paura dell'uomo nero? – Di Francesco Bricolo

Un nuovo collaboratore arricchisce le pagine de l’Adigetto.it con una nuova rubrica

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Ho accettato volentieri la proposta che Guido de Mozzi, direttore di questo giornale online mi ha fatto, di tenere una rubrica d'opinione dal titolo «Chi ha paura dell’uomo nero?».
L'accordo prevede che io scriva in libertà un pezzo alla settimana per quattro settimane e, se ci piaceremo, continuerò mentre, nel caso contrario, ci saluteremo senza rimpianti.
Di volta in volta sottoporrò il pezzo scritto al direttore per il suo placet prima della pubblicazione e, se ci saranno disaccordi, possibili in ogni gruppo di lavoro, ve ne renderò conto nei limiti dell’educazione e del buon senso.
Siccome questo impegno è a costo zero per il giornale, cioè lo faccio gratuitamente, vi dico subito che lo porterò avanti con passione e serietà fino a quando portafoglio ed energie me lo consentiranno.
Quello che ho a cuore è poter dialogare con voi su tematiche che mi appartengono e poter fare questo in un giornale che ha un forte radicamento sul territorio come questo mi fa piacere. Per questo ho accettato.
 
Mi pare di non dover dire nulla di più, se non due parole su di me.
Lavoro a Verona, nel 2012 ho festeggiato i miei primi vent’anni come medico e dalla fine degli anni ’90 faccio lo psichiatra nel servizio pubblico per le dipendenze.
Sono sposato e abbiamo due figli.
 
Credo che ora possiamo entrare nel merito di questo primo mio pezzo della rubrica, il titolo come vedere pesca nel nostro immaginario collettivo.
Recentemente, con i miei figli, ho visto l’uomo nero al cinema nel film «Le 5 leggende», dove gli fanno fare una brutta fine.
Giusi Fasano ha pubblicato un interessante articolo sul Corriere mettendo assieme i pezzi di quell’evento drammatico che è accaduto al numero 87 di Corso Bergamo a Lecco dove Edlira Dobrushi avrebbe ucciso le tre figlie Simona, Casey e Sindey di 13, 11 e 4 anni.
Non so nulla di questa storia come non so nulla di altri crimini terribili che come voi ho memorizzato tra nomi di paesi, Cogne e cognomi di famiglie, Maso.
Anche solo andando a mente liberta vengono in mentre luoghi e volti in cui genitori e figli si uccidono senza che sia chiaro un motivo ed è questo che è sconvolgente effettivamente.
Edlira Dobrushi è solo l’ultima di una lunga lista di domande aperte, ci chiediamo il perché e troviamo sempre un’unica risposta: pazzia.
 
La mancanza di un motivo apparente ci angoscia per un motivo preciso.
A noi appartengono un paio di pensieri, ci tengono in piedi alcuni principi. Togliere la vita ad un altro è un crimine da sempre compiuto e condannato, a meno che non sia per legittima difesa.
Possiamo accettare senza scandalizzarci che persone vengano uccise, ma quando è un figlio che toglie la vita a una madre o a un padre, o a tutti e due, o all’inverso è un genitore che toglie la vita ai figli e alle figlie, ci mettiamo una mano sulla bocca come a coprire un conato di vomito che a volte non ha nemmeno la forza di uscire.
 
Una volta sarebbe stato il demonio, adesso è la pazzia, certo meglio così. Ma che pazzia è quella di una madre che toglie la vita a tre figlie? Era sola? Sì. Era abbandonata? Sì. E’ un buon motivo per uccidere le figlie? No. Se tutte le donne sole ed abbandonate uccidessero le proprie figlie o i propri figli ne resterebbero poche.
Allora cosa è scattato in quelle mente?
 
Come ben sapete sono state scritte valangate di libri su queste domande e non sarò certo io qui ora a chiarirvi le idee e darvi le risposte.
Tra l’altro come sapete bene i talk show spesso vivono di questi eventi che fanno girare bene la macchina oliata di queste chiacchiere televisive sulle quali è molto facile anche per me sputare sopra e dire che sono monnezza.
Volendo però provare ad essere seri possiamo partire da lontano e citare Medea.
Chi ha fatto il liceo classico qualcosa ricorderà.
Per cominciare è la figlia della maga Circe e già questo la dice lunga, da lei infatti eredita i poteri magici. S’innamora di Giasone e pur di impossessarsi del vello d’oro arriva ad uccidere il proprio figlio.
 
Ma Medea sarà tradita proprio da Giasone che s’innamora di un’altra donna. Medea si vendica in modo terribile.
Si finge dalla sua parte tanto da tessere il vestito per la nuova moglie di Giasone. Ma il tessuto è intriso di veleni e la poveretta morirà.
Come se non bastasse, Medea uccide anche i figli di Giasone baciandoli prima molte volte.
 
Qualsiasi esperto mi direbbe che ho fatto un pessimo riassunto di Medea e qualsiasi psicologo direbbe che la sindrome di Medea va spiegata meglio. E avrebbero ragione, ma lo scopo di queste poche parole è mostrarvi come fin dall’antica Grecia s’è sentita l’esigenza si dare corpo a questi comportamenti nefasti con una storia vera e propria.
Questo è il primo segno che dimostra come «l’uomo nero» ci accompagni da sempre e che in ogni epoca le nostre parti oscure occupano sia la narrativa che la saggistica.
 
È l’insegnamento che la psicanalisi ci ha fatto nel ’900, descrivendo e raccontando l’inconscio come quella parte del conscio che non è pienamente conscio.
Siamo ancora lì? Pensiamo di non aver fatto neanche un passo avanti? Non abbiamo capito qualcosa in più?
Qualcosa possiamo dire in effetti, ma non novità rivoluzionarie. La psichiatra non è in grado di spiegare questi fatti anche se ovviamente ci sarebbero tante cose da dire in merito.
A me però preme una considerazione di fondo che poco ha a che a vedere con la psichiatria almeno in senso stretto.
 
Il nostro stare assieme come persone in un determinato luogo geografico può assumere vari nomi, come comunità, stato, gruppo, etnia e via dicendo.
Certo il nome comunità è quello che maggiormente si adatta a ciò che sto dicendo, perché la comunità ha nel suo DNA l’accoglienza e l’integrazione della diversità e non l’espulsione del diverso o peggio la finta integrazione.
Ora si fa presto a essere d’accordo con queste parole, comunità, integrazione delle diversità, ma poi si fa fatica (o proprio non si riesce) quando nella scuola di tuo figlio è proprio tuo figlio a subire violenza o quando gli ubriachi imbrattano proprio la porta di casa tua nel tuo quartiere.
 
Le belle parole, i valori, i principi poi devono confrontarsi con le risorse che abbiamo per realizzarli e qui si pone il vero problema.
La domanda che molti mi fanno è se davvero noi non abbiamo strumenti per capire prima cosa succede dopo.
Davvero nessuno poteva cogliere la follia di Pietro Maso prima e davvero nessuno poteva cogliere in anticipo la follia di Edlira Dobrushi?
 
La risposta sincera e disarmante è che anche se qualcuno avesse intuito qualcosa, cosa poteva fare?
Io ho sentito in TV l’intervista che è stata fatta all’amica di Edlira Dobrushi, la quale ha detto che Edlira Dobrushi sapeva dell’amante del marito o ex marito che dir si voglia.
Le si può offrire aiuto, la si può invitare a un compleanno, a una pizza; si può provare a starle vicino, certo, ma non c’è un segno magico da cui lo psichiatra o lo psicologo possa capire che Medea sta covando dentro di sé uno dei suoi folli omicidi. Ed è esattamente questa totale impermeabilità che ci getta nell’angoscia più totale.
 
Dentro di noi ci può essere l’uomo nero, dentro di noi ci può essere Medea, tutti possiamo all’improvviso impazzire e fare cose terribili?
Posso anche dirvi di sì, che ognuno di noi all’improvviso può dare di matto, ma più di tutto voglio farvi vedere quello che vedo io con i miei occhi.
Che sia insegnate, medico, avvocato, prete o genitore è sempre il singolo a fare la differenza.
È il singolo che si carica delle sua responsabilità, che prende le decisioni di compassione e di amore che fanno la differenza. Ed è a questo che dobbiamo meditare quando pensiamo all’uomo nero che mostra il suo volto in questo crimini terribili.
 
La capacità della nostra comunità di accogliere dipende da come la singola persona si comporta e quindi anche il nostro piccolo gesto fa la differenza.
Noi invece purtroppo abbiamo la sindrome del NIMB, terribile acronimo di Not In My Backyard, cioè non nel giardino di casa mia.
Se proprio Medea e l’uomo nero vogliono mostrare il loro volto, l’importante è che non lo facciano in casa mia: basta che riguardi l’altro e questa non è comunità.
Ho la fortuna di fare un lavoro che mi pesa molto ma chi mi fa sperimentare che anche nelle situazioni più disastrate, anche nel letamaio più puzzolente ci sono dei diamanti, ci sono delle persone che sono in grado di portare amore e verità perché fanno delle scelte di amore e di verità 
 
Francesco Bricolo

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