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Cosa sta succedendo dalla Libia alla Siria/ 3 – Algeria

Dove gli equilibri potrebbero entrre in crisi con la scomparsa di Bouteflika – A cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale

A scuotere la scena politica algerina è stata la notizia, il 14 novembre, dell’improvviso ricovero del settantenne Presidente Abdelaziz Bouteflika, colto da un malore e trasferito d’urgenza in una clinica privata francese di Grenoble specializzata in patologie cardio-vascolari.
Per Bouteflika, da tempo affetto da gravi problemi di salute, si tratta del secondo ricovero d’urgenza nel giro degli ultimi due anni.
Le reali condizioni fisiche del Presidente, da poco rieletto al vertice dello Stato per la quarta volta consecutiva, rappresentano un dossier strettamente classificato per la maggioranza del popolo e delle più influenti personalità istituzionali algerine.
In ogni caso, le sempre più rare apparizioni pubbliche di Bouteflika, durante le quali si è resa evidente la palese precarietà delle sue condizioni fisiche, continuano a destare pesanti dubbi sulle reali capacità di esercizio delle sue funzioni politiche.
Le condizioni di salute del Presidente rappresentano una fonte di preoccupazione per tutta l’architettura di potere algerina.
Infatti, la permanenza al potere di Bouteflika costituisce la garanzia degli attuali equilibri all’interno del pouvoir (l’apparato burocratico-militare che governa l’Algeria sin dalla sua indipendenza nel 1962), faticosamente stabilitisi nell’ultimo biennio, soprattutto nei mesi della campagna elettorale del 2014.
 
Tali equilibri, che vedono la centralità e la prevalenza delle Forze Armate e del Ministero della Difesa sui Servizi di Sicurezza e Intelligence e sul Ministero dell’Interno, potrebbero essere messi in crisi qualora venisse a mancare o sparisse dalla scena pubblica Bouteflika, con una inevitabile rinegoziazione delle quote di potere nelle istituzioni del paese.
Inoltre, un ipotetico conflitto interno al pouvoir rischierebbe di destabilizzare profondamente un sistema come quello algerino che, nonostante sia passato indenne al contagio rivoluzionario delle «Primavere Arabe», è tutt’ora caratterizzato da criticità economiche, sociali, politiche e di sicurezza che lo rendono una vera e propria polveriera.
Infatti, nonostante l’ampiezza del settore terziario, la diffusione del welfare finanziato con gli introiti energetici, il capillare controllo sulla popolazione esercitato dagli apparati di polizia e di sicurezza e la memoria della Guerra Civile del 1991-2002 - tutti elementi che, in maniere differenti, svolgono la funzione di dissuasore di proteste popolari su larga scala- la società algerina mostra elementi evolutivi che lasciano presagire lo scoppio di una possibile crisi.
L’alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, la crescente autoreferenzialità della classe dirigente, la dilagante corruzione e il nepotismo dei quadri sia civili che militari, l’aumento delle tensioni interetniche tra arabi e berberi nelle remote regioni meridionali, sono tutti fattori che hanno complessivamente contribuito ad erodere il consenso attorno al Fronte di Liberazione Nazionale (FLN, il partito di governo, fautore dell’indipendenza dalla Francia) e ad accrescere il malcontento verso le autorità centrali.
Inoltre, non bisogna dimenticare che le giovani generazioni, quelle nate dopo la fine della Guerra Civile dell’inizio degli Anni ’90, non ricordandone gli orrori e gli spargimenti di sangue, sono maggiormente inclini ad intraprendere azioni violente, a immaginare un rovesciamento bellicoso dell’ordine attuale e a guardare al panorama politico islamista con occhi diversi rispetto alla popolazione più anziana.
Per questa ragione, qualora una ulteriore modifica degli equilibri all’interno del pouvoir mettesse in discussione il controllo statale sulle dinamiche socio-politiche nazionali e la tenuta stessa dell’apparato di potere si potrebbero verificare eventuali fenomeni allargati di protesta che potrebbero far precipitare il paese nel caos.
 
A testimonianza della tendenza ci sono le decine di manifestazioni di piazza che hanno infuocato le principali città algerine negli ultimi sei mesi.
Tra queste, la più significativa è stata quella del 16 ottobre ad Algeri, quando alcune centinaia di poliziotti hanno protestato contro il governo nei pressi del palazzo di el-Mouradia, sede della Presidenza della Repubblica.
Parte della stampa nazionale ha etichettato questa manifestazione come «artificiale» e organizzata dal Ministero dell’Interno per delegittimare la classe dirigente e le Forze Armate.
Tale interpretazione apparentemente «cospiratoria» potrebbe avere delle radici di fondatezza in quanto è presumibile credere che i servizi di sicurezza abbiano soffiato sul fuoco del malcontento dei poliziotti spingendoli ad una spettacolare, e alquanto rara, dimostrazione di dissenso.
In ogni caso, la discesa in piazza dei membri della Sûreté Nationale (l’equivalente della Polizia italiana) è avvenuta per chiedere il miglioramento delle condizioni di lavoro e salariali, ritenute pessime e assai inferiori rispetto ai colleghi della Gendarmerie Nationale (l’equivalente dei Carabinieri).
Occorre sottolineare come, in risposta alle crescenti proteste popolari, alla richiesta di più incisive politiche di miglioramento della situazione economica e occupazionale e alla embrionica, ma preoccupante, mobilitazione di settori disaffezionati dell’apparato di sicurezza statale, il governo abbia valutato l’ipotesi di un generale aumento salariale nel pubblico impiego, della concessione di bonus per le categorie sociali meno abbienti e dell’avvio di un massiccio programma di costruzione di opere pubbliche.
Tuttavia, a gravare sulla realizzabilità della consueta strategia paternalista da parte dell’establishment di governo è un fattore esogeno internazionale non controllabile dalle autorità di Algeri: il prezzo del petrolio. Infatti, in un paese in cui oltre il 90% della ricchezza nazionale dipende dalle esportazioni idrocarburiche, il prezzo del greggio a 80 dollari al barile rischia di ridimensionare il bilancio dello Stato, calcolato con l’oro nero ad oltre 100 dollari al barile, e costringere l’amministrazione a dolorosi tagli alla spesa pubblica.
 
Uno degli aspetti più preoccupanti del crescente malcontento sociale algerino, che, per inciso, è molto più forte nel meno sviluppato entroterra rurale rispetto alle ricche città costiere, riguarda la sua manipolazione da parte delle realtà salafite orbitanti attorno all’universo jihadista regionale.
In particolare, le autorità di Algeri temono un rinvigorimento delle attività terroristiche e d’insorgenza di matrice estremista islamica dovute all’eco mediatica regionale dell’azione dello Stato Islamico in Siria e Iraq. Infatti, già lo scorso settembre, l’uccisione del turista francese Hervé Pierre Gourdel da parte del gruppo Jund al-Khalifa (JK, i Soldati del Califfato), autoproclamatosi affiliato al movimento jihadista siro-iracheno di Abu-Bakr al-Baghdadi, aveva fatto suonare il campanello d’allarme dei servizi di sicurezza e delle Forze Armate.
Algeri, in un momento in cui è riuscita a mettere alle corde sia al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) sia i gruppi scissionisti da essa derivati, guarda con particolare preoccupazione alle potenzialità operative, propagandistiche e di reclutamento rappresentate da organizzazioni eversive che si ispirano allo Stato Islamico.
Per questa ragione, il Ministero della Difesa e il Ministero degli Interni, oltre a lanciare numerosi e ripetuti proclami sull’impermeabilità algerina rispetto al fenomeno dello Stato Islamico, hanno deciso di intraprendere, da metà ottobre, una vasta operazione congiunta contro-terrorismo sulle Montagne delle Cabilia (nord est del paese) e lungo il confine con la Tunisia.
Si tratta di due aree dove si presume operi ed abbia le proprie basi logistiche Jund al-Khalifa.
Per quanto riguarda le relazioni internazionali, particolarmente rilevante è stato il bilaterale di Algeri del 2 dicembre tra il Primo Ministro Abdelmalek Sellal e il Premier italiano Matteo Renzi.
 
Diversi i punti al centro dell’agenda dell’incontro, dalla cooperazione politica e di sicurezza nel Mediterraneo e nel Sahel alla partnership strategica in campo economico. Per quanto riguarda il primo punto, Renzi ha sottolineato come il dialogo italo-algerino sia fondamentale per la definizione di una strategia efficace e condivisa per la sicurezza del bacino dell’intero bacino del Mediterraneo.
Per quanto riguarda il secondo punto, occorre segnalare la stipula dell’accordo di vendita della società acciaieria Lucchini di Piombino al colosso dell’agroalimentare algerino Cevital.
Promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico, l’affare Cevital-Lucchini garantirà alla società toscana investimenti per 400 milioni di euro e, soprattutto, nessuna decurtazione del personale, ad oggi consistente in 1.860 lavoratori.
 
Ce.S.I
(Prossimo: Algeria)

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