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Novembre 2015: i profughi trentini nella Grande Guerra

La lacerazione delle comunità in una regione di frontiera – Online la 19ª puntata del calendario digitale «La Grande guerra +100»

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Si sa con certezza, per esempio riguardo al Trentino, che almeno il 70% delle persone allontanate non fu evacuato sulla base di motivazioni economiche o puramente militari, ma sulla base di motivazioni parzialmente militari, cioè per motivi polizieschi, e questi in realtà non furono evacuati – questo è un termine eufemistico – ma esiliati.
(Alcide De Gasperi, discorso al Parlamento di Vienna, 12 luglio 1917)

In seguito all’ingresso in guerra dell’Italia contro l’Austria-Ungheria, la porzione meridionale del Trentino si trovò a cavallo della linea del fronte. Le autorità militari di entrambi gli Stati dovettero confrontarsi di conseguenza con la problematica del trattamento dei civili residenti in questa fascia di territorio.
La soluzione scelta dai militari austriaci e italiani fu analoga: allontanare dalla zona del fronte tutte le persone potenzialmente pericolose o che non fossero funzionali allo sforzo bellico.
Il risultato fu l’evacuazione di circa 110.000 persone dall’area meridionale del Trentino, in parte allontanate dalle autorità austriache (75.000), in parte da quelle italiane (35.000).
Un numero enorme, se si pensa che all’epoca la regione contava 380.000 abitanti.
Ingresso di uno dei campi che più ha ospitato profughi trentini.
 

 
Le autorità austriache avevano pianificato da tempo l’evacuazione di parte della popolazione trentina.
Nonostante ciò, a causa dell’ingerenza dei militari che fecero pressioni affinché venissero sfollate più persone possibile, il numero degli evacuati superò del doppio le previsioni iniziali.
Le modalità di allontanamento furono altrettanto traumatiche: la partenza avveniva nel caos più totale, con solo 24 ore di preavviso e con soli 5 kg di bagaglio a testa, mediante carri bestiame e senza conoscere la meta di destinazione.
I trentini vennero ripartiti in piccoli gruppi nelle regioni centrali dell’Impero: si ritrovarono così tra popolazioni di lingua tedesca e ceca, che non sempre accoglievano di buon grado i nuovi arrivati.
Questi, tacciati di «tradimento» e percepiti come competitors per l’accaparramento delle scarse risorse alimentari, vennero infatti inviati rispettivamente in Moravia (18.622 profughi), Boemia (16.390 profughi), Austria Inferiore (14.910 profughi), Austria Superiore (10.153 profughi), Salisburghese (1.851 profughi) e Tirolo (13.500 profughi).
 

 
 
L’elemento che più caratterizzò l’esperienza del profugato in Austria-Ungheria va individuato nella particolare forma che assunse lo stanziamento dei trentini in Bassa Austria ed Alta Austria.
In queste regioni, venendo incontro alle richieste della popolazione locale e per razionalizzare l’approvvigionamento alimentare e lo sfruttamento della forza lavoro dei rifugiati, furono creati due campi profughi di grandi dimensioni a Mitterndorf e Braunau am Inn.
Questi, che contenevano rispettivamente 10.500 e 8.000 persone, accoglievano le famiglie numerose, gli inabili al lavoro e gli elementi che potevano turbare l’ordine pubblico.
Le tristi condizioni sanitarie delle «città di legno» e le misure restrittive delle libertà personali rappresentarono il punto più basso dell’esperienza di profugato dei trentini in Austria.
 

Giovani profughi trentini durante l'evacuazione.
 
Un discorso analogo vale per i 35.800 trentini che ripararono in Italia. La maggior parte di questi venne infatti allontanata con la forza dall’autorità militare italiana: si tratta di circa 27.000 persone, evacuate a più riprese tra il 1915 ed il 1916, che furono a tutti gli effetti trattate come profughi o confinati, al pari di quanto accadde all’interno dell’Impero austro-ungarico, sebbene la propaganda li dipingesse come «fratelli irredenti».
Essi vennero dislocati in tutto il Regno (6.131 profughi nel Nord-Est, 21.701 nel Nord-Ovest e 8.058 nel Centro-Sud), furono soggetti ad un controllo poliziesco e il loro trattamento si mostrò in molti casi peggiore rispetto a quello dei profughi veneti e friulani riparati in Italia dopo la rotta di Caporetto.
Malgrado la situazione alimentare fosse migliore rispetto a quella dei profughi dislocati in Austria-Ungheria, l’impreparazione dello Stato italiano all’alloggiamento dei profughi, le lentezze burocratiche nell’erogazione dei sussidi, la diffidenza generalizzata nei confronti degli stranieri e le condizioni precarie degli alloggi nelle piccole comunità del Centro-Sud Italia resero l’esperienza del profugato a Sud del fronte non meno traumatica di quella dei trentini evacuati in Austria, Boemia e Moravia.

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