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Rassegna concertistica «Chi ha paura del Novecento?»

L'appuntamento è per giovedì 26 maggio all’Auditorium del Dipartimento di Lettere e Filosofia – Elsa Maria Paredes Bertagnolli intervista il direttore Marco Uvietta


 
La rassegna concertistica «Chi ha paura del Novecento?», diretta dal professore Marco Uvietta, chiude con la musica di Kurtág eseguita dal Quartetto Prometeo.
L’appuntamento è domani, 26 maggio 2016, alle ore 18 presso l’Auditorium del Dipartimento di Lettere e Filosofia (via T. Gar 14).
Di seguito l’intervista raccolta da Elsa Maria Paredes Bertagnolli.

L’appuntamento del 26 maggio, l’ultimo dei quattro “antidoti” di «Chi ha paura del Novecento?», s’intitola «Vibrazione, sintonia, caratterizzazione sonora». Sembrerebbe che questi fattori appartengano a qualunque forma di espressione musicale.
Prof. Uvietta, perché in questo contesto costituiscono connotazioni specifiche?
«In primo luogo in un quartetto d’archi la vibrazione è un insieme complesso di azioni e reazioni: il gesto specifico dell’esecutore, l’attrito del crine sulla corda, la trasmissione della vibrazione della corda metallica ai diversi componenti lignei del corpo dello strumento (di questo parlerà il prof. Gialanella, docente di Scienza e Tecnologia dei materiali al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Trento, nell’Approfondimento scientifico di martedì 24 maggio)
«Infine, fattore che sfugge completamente a qualunque misurazione scientifica, la sintonia delle vibrazioni dei quattro strumenti – e degli esecutori – che fa sì che un grande quartetto, come quello che ascolteremo, si trasformi in un unico strumento.
«La caratterizzazione sonora riguarda invece la composizione di György Kurtág che ascolteremo e commenteremo in questa lezione-concerto, che coglie in modo straordinario l’essenza di alcuni aspetti fondamentali della tessitura sonora quartettistica.»
 
Ognuna delle composizioni eseguite nelle lezioni-concerto di questa rassegna esemplifica un modo diverso di affrontare la materia sonora nella seconda metà del secolo scorso. Qual è il modo specifico di Kurtág in Hommage à Mihály András, 12 microludi op. 13? C’è una ragione particolare per chiudere il ciclo con questa composizione?
«Quando la musica di Kurtág si diffuse in Europa, fra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90, produsse un effetto salutare e salvifico sui compositori ancora imbrigliati nelle pastoie di un’avanguardia ormai di maniera: Kurtág insegnava a riscoprire ciò che già si conosceva, ma con una freschezza e un’immediatezza che si era perduta nei meandri della complessità ad ogni costo.
«Il suo pensiero è complesso, ma perlopiù la necessità di efficacia espressiva si concretizza in forme e gesti sonori di straordinaria essenzialità.
«I 12 microludi – riferimento piuttosto scoperto al Mikrokosmos del connazionale Béla Bartók – sono brevissimi frammenti estremamente caratterizzati, ognuno incentrato su una singola possibilità di strutturazione sonora.
«Non negano la storia del quartetto d’archi, bensì la rileggono, insegnandoci che si può essere moderni senza essere d’avanguardia
 
Parliamo del Quartetto Prometeo: cosa rappresenta nel panorama musicale attuale?
«Il Quartetto Prometeo è uno dei quartetti d’archi più apprezzati e rinomati del panorama internazionale.
Ciò è dovuto, a mio parere, al fatto che il loro repertorio è estremamente vario, cosicché l’impegno costante nell’ambito della musica contemporanea ha determinato un’enorme crescita dell’intelligenza musicale (dei singoli componenti così come dell’ensemble), mentre la frequentazione assidua del repertorio classico-romantico ha mantenuto sempre altissima l’esigenza di un suono, di una perizia tecnica e interpretativa che solo la grande tradizione quartettistica può garantire.
«Il Quartetto Prometeo è la formazione perfetta per rivelare l’essenza del pensiero musicale di Kurtág, così attuale e al tempo stesso così radicato nella tradizione.»
 
Il Quartetto Prometeo sarà protagonista dell’ultimo incontro della rassegna: possiamo tentare un bilancio di questa esperienza?
«È stata senza dubbio un’esperienza molto positiva, tanto da convincere me e il mio staff a proseguire; stiamo valutando se proporre Chi ha paura del Novecento? ogni anno oppure se alternarlo con un’iniziativa di avvicinamento graduale al Novecento, partendo dal passato più remoto.
«Il pubblico ha partecipato con grande interesse a ciascun evento, manifestando un’insolita attitudine a interagire, con domande, osservazioni e condivisione di esperienze personali.
«Gli antidoti hanno funzionato: lo dimostra il fatto che il pubblico ha generalmente apprezzato molto di più la seconda esecuzione del brano, dopo la spiegazione dei principali riferimenti formali e percettivi. Anche i musicisti hanno ammesso, con soddisfazione, di aver suonato meglio la seconda volta…»
 
Insomma, a Trento, abbiamo ancora paura del Novecento?
«Certo! Ma un po’ meno che altrove… D’altra parte, un po’ di soggezione è necessaria: citando Rilke, il bello non è che il tremendo al suo inizio…»
 
Elsa Maria Paredes Bertagnolli


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